13.8.13

Freud, Huston, Sartre e il film che non si fece (Irene Bignardi)


Un vecchio articolo di “Repubblica” rievoca la storia curiosa di un film su Freud, che non si fece, o almeno non si fece come era stato pensato. Credo che vicende e notazioni abbiano ancora qualche motivo di interesse. (S.L.L.)
L' epoca è il 1958. L' ambiente una bella casa in Irlanda, a St. Clerans, piena di amici e di animali. I personaggi si chiamano John Huston, Jean-Paul Sartre e Sigmund Freud, più una serie di illustri comparse che vanno da Montgomery Clift a Susannah York a Marilyn Monroe. E la storia è quella di un film. Che non si è fatto come si pensava di farlo all' inizio, che è stato fatto, quattro anni più tardi, su cui si sono rotte amicizie e sono esplose discussioni acerbe, che a suo modo è diventato un cult movie, ma che soprattutto riemerge oggi dal passato, a venticinque anni di distanza, perché in questi giorni in Francia l'editore Gallimard pubblica una sceneggiatura inedita firmata appunto da Sartre, rifiutata da Hollywood, trasformata da Huston e destinata a diventare a sua volta un caso letterario.
Siamo dunque nel 1958, e John Huston, in cerca di idee, pensa che non sarebbe male fare un film basato sulla vita e le opere di Freud. Sarebbe dovuto essere, secondo Huston, "una discesa di Freud nell'inconscio, terrificante come la discesa di Dante nell' Inferno". C' è un piccolo dettaglio. Il nostro dichiara di non credere assolutamente nell' inconscio. Ma poco importa. Assieme all' amico e collaboratore Wolfgang Reinhardt (figlio del grande Max) decide di andare a Parigi e di proporre a Sartre di scriverne la sceneggiatura. Poco importa anche che consideri Sartre un "antifreudiano". Anzi, questo è un atout in più.
E in ogni caso Sartre dice sì. Per puro bisogno di denaro, probabilmente. Chiede la bella somma di 25.000 dollari (di allora), il produttore in pectore del film dice sì, e Sartre si accinge con calma al lavoro. A fine anno arriva a John Huston un "trattamento" di novantacinque pagine dattiloscritte spazio due che si intitola laconicamente Freud. Poi, ottenuto il via di Huston, l'anno successivo Sartre si mette a scrivere la sceneggiatura.
Quando la sceneggiatura arriva, Huston constata purtroppo che è di ben trecento pagine fitte. "E immaginando una pagina per minuto" calcola Huston nella sua autobiografia An Open Book, "ne veniva un film di più di cinque ore". La vicenda, come la raccontava Sartre, era centrata sullo sviluppo della teoria freudiana del complesso d' Edipo. Niente da obiettare da parte di Huston, "salvo che Sartre esplorava una dopo l'altra tutte le piste sbagliate in cui si era avventurato Freud". Un po' troppo per un solo film, e perfino Sartre riesce a essere autocritico: "Il pubblico del Texas non sopporterebbe quattro ore di complessi", concede, e buono buono decide di rinchiudersi con Huston nell'eremo di St. Clerans per adattare la sceneggiatura.
Ma è proprio nell'allegra clausura di St. Clerans che scoppia la rissa. Ricorda Huston (impietoso, nelle sue memorie, perfino nella descrizione fisica di Sartre: "una specie di barilotto, e brutto come è umanamente difficile esserlo"): "Non ho mai lavorato con nessuno così testardo e categorico. Mentre parlava, prendeva appunti... di quello che stava dicendo. Impossibile interromperlo. Mi è capitato di lasciare la stanza, distrutto dalla fatica. Quando tornavo, Sartre non aveva neanche notato che me ne ero uscito".
Dal canto suo Sartre non è meno agitato dal clima della collaborazione: "Che storia, oh, che storia! Tutti qui sono pieni di complessi, che vanno dal masochismo alla ferocia. Non crediate comunque che siamo all'Inferno. Piuttosto in un grande cimitero. Tutti sono morti, con dei complessi surgelati". E ancora: "Siamo tutti riuniti in una stanza, parliamo tutti e poi, di colpo, in piena discussione, Huston scompare. E siamo fortunati se lo si rivede prima di pranzo o di cena".
Dopo quindici giorni di questi drammi e di queste interpretazioni rashomoniane della verità, Sartre se ne riparte per Parigi, con generale sollievo, e con la richiesta di rimandare la sceneggiatura accorciata sulla base delle discussioni avute. Qualche mese dopo rispedisce la nuova versione: buona per un film di dieci ore... Freud viene rinviato, anche perché a John Huston viene affidato di girare Misfits. E sarà solo a conclusione di quest'altro miticamente difficile film che i dirigenti della Universal, nel frattempo elettasi produttrice di Freud, decidono che basta con Sartre, che si tenta con altri sceneggiatori. Ma per conservarne la prestigiosa e assai pagata firma, la versione finale viene spedita al filosofo francese per l' approvazione. La risposta di Sartre è una lettera di fuoco, ancora riposta, purtroppo, negli archivi di tutti. Ed è la rottura. Il film si fa, come è noto, ed è un'altra tragedia. Il gossip hollywoodiano racconta che Huston ha esercitata nei confronti del fragile, malato, nevrotico Montgomery Clift, scelto per interpretare Freud, ogni possibile crudeltà e persecuzione (di cui Huston, nella sua autobiografia, si dichiara invece innocente). Certo è che Monty, da buon nevrotico, si considera un esperto di cosa freudiana, interviene in sede di sceneggiatura, e corto di memoria com'è, avendo messo gli occhi sulle precedenti versioni (quella sartriana compresa) intreccia in una drammatica confusione tutte le battute. La bella Susannah York, chiamata a interpretare il ruolo di Cecily, come si chiama nel film la prima paziente di Freud, è presuntuosa e saccente. Aleggia il rimpianto di Marilyn Monroe, che era stata la prima scelta per il personaggio, ma che è stata sconsigliata dal suo psicanalista a interpretare un film che, si pensava, avrebbe offeso Anna Freud. I tempi si allungano drammaticamente.
Freud, passioni segrete (come lo titola lo studio per dargli un pizzico di appeal) viene drasticamente tagliato dopo le "previews", che lo accusano di essere troppo lungo. Ora gli appassionati (di Sartre, di Huston e/o di Freud) hanno l' occasione di conoscere integralmente il Freud rifiutato. Lasciamo agli esperti di psicoanalisi il compito di illustrare la visione "totalizzante" di questo Freud ebreo, borghese, neurologo, nevrotico, viennese, senza frontiere, padre, figlio... Noi aspettiamo la corsa che potrebbe aprirsi, in epoca di "serial", di fronte a un "tutto Freud minuto per minuto" che garantirebbe dieci ore di spettacolo firmato Sartre.

“la Repubblica”, 31 maggio 1984

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