Figure di un presepio napoletano |
Facciamo un viaggio nell’itinerario perduto del Natale, rievocando antiche credenze e leggende. Un evento fondamentale per la storia del mondo affonda nella banalità del consumismo, ha perduto i ritmi dei suoi significati poetici, che non toccano soltanto fanciulli incantati per il favolare della nonna, ma lo spessore interno della coscienza degli uomini. Poiché dietro la semplicità apparente di queste storie, tuttora così vive nel mondo contadino e pastorale italiano e resta una saggezza antica, il cancellare per un attimo affanni e violenze e aprire gli occhi dinanzi alla nostra interiorità seppellita.
Un testo antico di almeno milleottocento anni, il Protevangelo di Giacomo, apocrifo cristiano scritto in greco, narra che, mentre la Vergine Maria partoriva nella grotta di Bethlehem, Giuseppe era in giro a cercare una levatrice. E intanto il bambino diede il primo vagito, e a Giuseppe apparve un inatteso spettacolo: «Ora io, Giuseppe, camminavo e non camminavo. E levai gli occhi al cielo e vidi che l'aria era presa da stupore e che gli uccelli del cielo restavano senza moto... E volsi gli occhi alla corrente del fiume, e vidi capretti che toccavano con i loro musi l'acqua fluente e non riuscivano a bere. E improvvisamente tutte le cose ripresero il loro corso». E’ un tema di singolare bellezza che, nella sua ingenuità, esprime in modo incidente la partecipazione dell'intero cosmo alla irruzione della speranza in mezzo al mondo. Tutta la natura, quasi protesa nelle doglie del parto, secondo il detto dell'Apostolo Paolo, volge gli occhi verso l'alto nella partecipazione alla nascita divina: animali, piante, pietre attendono il riacquisto della gloria edenica perduta. Natale è, perciò, il momento del silenzio, proprio perché in esso, ogni volta, gli uomini si riaprono alla loro sepolta autenticità, riscoprono di essere coinvolti nello sbaraglio quotidiano che esige soste e ripensamenti. E soltanto un santo meridionale, Alfonso Maria de' Liguori, percepì tale immagine di antica sapienza, quando nella umiltà dei suoi versi cantò:
Fermarono i cieli
la loro armonia
cantando Maria
la nanna a Gesù.
Un motivo natalizio che corre dall'Europa centrale alla Sicilia ricorda che, nella notte santa, proprio nel momento in cui Gesù nasce, tutti gli animali, nelle loro stalle, acquistano la parola. I cervi nel loro soffocato bramire, i buoi nel profondo muggito, le allodole nel breve verso cinguettante, le formiche agitando le antenne dicono: «Signore che nasci per tutto ciò che vive, anzitutto ti gridiamo nelle lingue che ci hai concesso la tua gloria, e poi ricordati il male che gli uomini compiono, quando ci inseguono nelle selve, ci colpiscono con i fucili, ci aggiogano all'aratro, ci calpestano quasi non fossimo tue creature». E soltanto un bambino innocente o una vergine senza peccato riesce ad ascoltare questo immenso grido della natura sofferente, a mezzanotte, e poi il silenzio copre ogni cosa.
Presso un focolare abruzzese i vecchi, nel loro parlare senza tempo, sigillato nei gesti della liturgia contadina, mi hanno ripetuto una storia antica che corre per tanta parte dell'Europa. Qui il mondo dei morti non è cancellato nella taciturnità delle tombe, non aggredisce con i terrori delle sue presenze nefaste, ma convive con quanti sono rimasti. Bene, nella notte di Natale i morti tornano sulla terra, in lunghe teorie processionali, e non guardateli alle spalle, poiché hanno consistenza umbratile e soltanto sono visibili nella parte anteriore del corpo. E vanno in giro per le strade dei paesi, a riconoscere le povere cose abbandonate, il pane e il vino loro lasciati sulla mensa, e i sentieri campestri e montani ben noti, e il volto dei figli e delle mogli. Ed entrano in una chiesa deserta, dove un prete morto celebra una messa dei morti, e chi intende assistervi si ponga presso l'entrata e abbia sulla spalla destra un gatto nero e appoggi il mento su un'asta forcuta. E poi svaniscono, per tornare, in molte nostre regioni, ogni notte fino al giorno dell'Epifania, per la quale un proverbio dei morti proclama nei differenti dialetti: «Le feste vadano e vengano, mai venga l'Epifania», la data in cui ogni cosa si fa, per chi non è più, sofferenza e nostalgia.
Ancora poco tempo addietro, in Casentino, la gente mi confermava la presenza di lupi mannari che con alti ululati turbano la quiete stellare. Per le strade, d'improvviso, quando la luna piena è alta nel cielo, si levano urli disumani.
I lupi mannari, secondo la leggenda popolare, sono coloro che nascono nella mezzanotte del Natale, e, quindi, hanno violato, con la loro nascita non verginale, la grandezza dell'evento, quasi sovrapponendosi, con una profanazione, alla santità di esso. La leggenda riflette un criterio assurdo: quale colpa ha un infante se preme al ventre materno proprio quando Gesù nasce? Perché per l'intera vita dovrà, in ogni notte di plenilunio, sentire la sua pelle trasformarsi, divenire irsuta, e avvertire in sé mutamenti profondi che lo portano a levare ululati e a cercare sangue? La pietà delle plebi ha riparato all'ingiustizia, perché una leggenda che trovo in Calabria sana ogni cosa. Chi ha osato far coincidere la sua nascita con quella di Gesù è costretto a soffrire, se battezzato, soltanto per sette mesi, perché il Bambino di Bethlehem lo visita di notte nei giorni che precedono la sua nascita e lo tocca con la sua manina implume, e gli dice: «Non temere, poiché me aspetta la morte, tu avrai la vita».
Un grande studioso della storia delle plebi, il Pitrè, ricorda che in Sicilia la paglia raccolta nella notte di San Giovanni (24 giugno), a distanza di sei mesi, rifiorisce improvvisamente, e a Castroreale fioriscono altre erbe, si vestono di fronde e di frutta, ed è una vegetazione che dura soltanto due o tre secondi, per l'istante in cui Gesù venne alla luce e per quello in cui gli fu imposto il nome. I villani di Chiaromonte, narra sempre Pitrè, dicono che in quel tempo, fra il principio della messa di mezzanotte e il primo Evangelo, ha luogo una fiera incantata presso un campo, e lì si contrattano in silenzio buoi, galline, porci. Ma non appena il prete arriva al primo Evangelo tutto sparisce, e coloro che hanno acquistato trovano le loro merci trasformate in oro. Antica prostrazione delle genti del sud, che proiettano a livello del mito il loro sogno di riscatto.
Ma dall'Emilia alla Puglia ho riscontrato un documento popolare in forma costante. Natale è preceduto da una novena, che ancora si recita nelle case e nelle chiese della periferia subalterna. Penso a Bitti, in Sardegna, dove le donne, raccolte nei loro mantelli neri, gridano la cristiana passione dei pastori, dei briganti, dei sofferenti in presenza delle loro Madonne dei Sette Dolori, traversate dalle sette spade dolenti. Ora, in queste novene, le donne, che gestiscono il sacro, non possono recitare, nel periodo di Natale, le orazioni e gli scongiuri che servono ad allontanare le streghe e i demoni. E le streghe ne profittano, poiché fruendo di un'inattesa libertà, nella notte di Natale, possono trasmettere alle iniziate il loro segreto magico, il loro potere, o, per dirla in termini popolari, di antica ascendenza latina, la loro «virtù». Ho incontrato in Val di Chiana un potente stregone, e mi ha detto che solo l'alto silenzio della notte natalizia consente di dare ad altri i segreti del mestiere di incantare, rendere impotenti e distruggere la gente.
Il testo ufficiale o canonico degli Evangeli è muto. Siamo abituati a immaginare che Gesù sia nato in una grotta, raggiunta in lungo peregrinare attraverso le vie di Bethlehem (questo nome significa la «casa del pane»), che Diego Valeri ricorda in una sua splendida cantata ai bambini delle elementari. Gesù, nelle varie tradizioni, è nato in una osteria, o in un mercato orientale, o in un al-khan, che era luogo di ricovero dei pellegrini. Né lo hanno riscaldato con il loro soffio il bue e l'asino, secondo una falsa interpretazione di un passo del profeta Isaia. Ciò che maggiormente riempie di fascino e di incredulo stupore, giacché tante rappresentazioni sembrerebbero, invece, molto chiarificatrici, è la sua nascita così incertamente collocata nel tempo anche perché, in realtà, noi non sappiamo come sia nato, dove sia nato, poiché le fonti evangeliche sono assolutamente mute. Un testo di un grande mistico, Eckart, rinnova il segnale: «Convenne che fosse in mezzo a noi nel silenzio».
“Qui Touring”, dicembre 1980
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