Leggero come l’argomento di cui
tratta, ma non privo di ambizioni filosofiche il Contributo alla teoria del bacio dello scrittore-giornalista
Alexandre Lacroix (a cura di Chiara Pastorini, Gremese editore). Lo lascia
intendere il titolo, chiaro riferimento a un saggio di Soren Kierkegaard, e il
rimando al filosofo danese persino nell’incipit «esistenzialistico»: «Una sera di
dicembre mia moglie mi si avvicinò e mi rimproverò come già aveva fatto molte volte:
tu non mi baci abbastanza, mi disse. Come al solito, anche quella volta mi
limitai ad alzare le spalle».
Già edito in Francia, dove
Lacroix dirige il mensile Philosophie,
questo saggio di scorrevole lettura passa in rassegna il bacio in tutte le
epoche e nelle arti per giungere alla conclusione che il postmoderno ne ha
decretato la sua crisi, forse irreversibile. Banale, evanescente, inflazionato,
travolto dalla pornografia, questo «parente povero della sessualità» appare
superato in un’epoca in cui il voyerismo di massa non lascia spazio alcuno
all’allusione. A esemplificarlo è il modo in cui il bacio viene rappresentato.
Ad esempio al cinema: nel primo James Bond, Sean Connery seduce l’irresistibile
Eunice Gayson al tavolo di un casinò, poi entra nella sua stanza e la bacia
appassionatamente per venti secondi. Cinquant’anni più tardi l’ultimo agente
007, Daniel Craig, fa subito sesso con la sua Bond girl, senza baciarla.
Non che baciare sia un atto
«naturale»: negli anni Settanta dell’800 l’esploratore inglese Samuel White
Baker, visitando l’Africa equatoriale, si accorse che alcune tribù non si
scambiavano baci bensì, in segno di tenerezza e intimità, si leccavano gli
occhi. Dal che si desumerebbe che di esso l’uomo potrebbe benissimo fare a
meno. Ma, se non tutte le culture hanno conosciuto l’arte di baciare, è
altrettanto vero che di esso si hanno tracce fin dall’antichità: «Baciami con i
baci della tua bocca», dice la donna all’amante nel Vecchio Testamento. Dalla
prima codifica romana – il basium tra
padre e figlio, senza lingua, l’osculum
che si scambiava tra persone dello stesso ordine sociale e il suavium degli amanti – passando per il Rinascimento
dove il bacio diviene finalmente «la pietra angolare di ciò che chiamiamo amore»,
si arriva a Voltaire che lo dichiara inadatto all’epoca della ragione
trionfante e allo scontro tra il «bacio romantico» di Rousseau e quello
«libertino» del marchese de Sade. Fino al French
kiss degli amanti davanti all’Hotel de Ville di Robert Doisneau: il bacio
come segno di sovvertimento dell’ordine borghese - che separa il privato dal pubblico
- e come riappropriazione dello spazio pubblico.
Il caso più recente – erede di
questa cultura - è quello dei due giovani contestatori canadesi finiti sulle
prime pagine dei giornali di tutto il mondo per un appassionato viluppo di
lingue sullo sfondo di una carica della polizia durante una manifestazione del
movimento Occupy. Un’immagine trasformata in icona e in brand pubblicitario.
Non c’è esempio migliore per
descrivere la stagione che ci troviamo a vivere: un’epoca che non riesce più a
produrre l’equivalente evocativo del Bacio
di Klimt – solo sfiorato, sulla guancia – o degli amanti di Via col vento. E quando ci prova viene
immediatamente fagocitata – e trasfigurata - dal dio mercato.
“il manifesto”, 20 luglio 2013
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