Quello che segue è un necrologio
(un “coccodrillo” lo chiamano in gergo), un articolo che - in occasione della
morte di una persona celebre - disegna il profilo della sua vita. Ma in questo
caso la rievocazione, sia pure sintetica, della vita del generale Salan
consente alla giornalista Guicciardi di riproporre, se non altro come problema,
una pagina drammatica della storia francese del Novecento. (S.L.L.)
PARIGI - Martedì 3 luglio, alle 6 del mattino, si è spento
all' età di 85 anni, all' ospedale militare del Val de Grce dove era ricoverato
da alcune settimane, il generale Raoul Salan, ex comandante supremo delle Forze
armate francesi in Indocina, poi in Algeria, diventato nel 1961 il capo dell'
Oas, la famigerata "organizzazione dell' armata segreta". Il suo nome
rimarrà legato ad uno dei capitoli più tormentati della storia recente della
Francia. Quest'uomo, che chiamavano il "mandarino", il
"budda", la "sfinge", per la sua impassibilità orientale e il
suo gusto del mistero, è un vero enigma. Nulla sembrava predestinarlo a
diventare il capo di un movimento insurrezionale e terrorista. Non è un uomo di
destra, e neppure un uomo di casta, come molti ufficiali della sua generazione.
Figlio di un modesto funzionario fiscale, passa anzi per aver idee di sinistra.
Tant'è vero che, quando sarà nominato comandante supremo in Algeria gli
"ultras" che lo sospettano di voler liquidare l'Algeria
francese" ordiscono contro di lui un complotto, il famoso "attentato al
bazooka", del gennaio 1957, da cui egli uscirà indenne per miracolo.
Salan ha fama di essere legalitario e buon repubblicano. Di
poche parole, privo di qualsiasi potere carismatico, non possiede né le doti né,
a priori, le ambizioni di un agitatore politico. E' un valoroso ufficiale, il
più decorato di Francia (trentasei medaglie). Tutto quel che apparentemente gli
interessa è la sua carriera militare.
Volontario nella Prima guerra mondiale, Salan è stato poi
formato all'Accademia militare di Saint-Cyr. Nel 1921 combatte e viene ferito
in Oriente. Nel 1924 è inviato per la prima volta in Indocina: l'esperienza
dell'Estremo Oriente lo influenzerà in modo notevole. L'altra esperienza
determinante sarà quella dei servizi segreti, in cui entra nel 1937, incaricato
dell'"azione psicologica" in vari territori africani (in particolare
avrà il compito di preparare una "guerra sovversiva" nelle colonie
italiane).
Durante la Seconda guerra mondiale partecipa allo sbarco in
Provenza con le forze della Francia Libera. Dopo la liberazione torna in
Indocina, diventando il più giovane generale di brigata francese. Il generale
Lecler lo utilizza come negoziatore nelle delicate trattative con Ciang
Kai-Scek, che occupa allora una parte del Tonchino. Nel 1950, dopo la partenza
del comandante supremo, generale de Lattre de Tassigny, Salan ne assume la
pesante successione. Non crede alla possibilità di stroncare la guerriglia, ma
manovra bene, per cui, al termine della sua missione in Indocina nel 1954, è
ricevuto in Francia con tutti gli onori. Una missione altrettanto gravida di
responsabilità lo attende in Algeria: e questa volta gli sarà fatale. Sarà Guy
Mollet a designarlo nel 1956 al comando supremo delle forze francesi impegnate
in Algeria in una guerra infida e sanguinosa: questa nomina, da parte di un
presidente del Consiglio socialista, conferma che egli non è sospetto di
tendenze estremiste.
Nei primi mesi del 1958, mentre la Quarta Repubblica
agonizza, Salan non fa nulla per incoraggiare le agitazioni dei partigiani
dell'Algeria francese, che mirano a rovesciare il governo legale. Quando però
il 15 maggio si assiste ad Algeri a una gigantesca manifestazione
antigovernativa, orchestrata dai fautori di De Gaulle, Salan si affaccia al
balcone del Palazzo residenziale e, fra i clamori della folla, grida a sua
volta:"Viva De Gaulle!". Questa presa di posizione pubblica - che gli
è stata "soffiata" da un emissario del generale, Lèon Delbecque -
precipiterà il crollo del governo Pflimlin e il trionfale ritorno di De Gaulle
al potere.
Ma Salan, come ha ricordato oggi il generale Massu, con
questo grido non ha inteso compiere un atto sedizioso: esprimeva soltanto la
convinzione, condivisa dalla maggior parte degli ufficiali superiori, che De
Gaulle, uomo provvidenziale, fosse il solo in grado di salvare la Francia dal
caos, preservando al tempo stesso la sovranità francese in Algeria. In questo
si illudeva, come si sono illusi tutti, perché fin da quel giorno De Gaulle
considerava la causa dell'Algeria francese come una causa perduta. Col suo
senso acuto della Realpolitik, egli manovrerà però ancora per anni, prima di
riconoscere il diritto dell' Algeria all'"autodeterminazione", che
aprirà la via all'indipendenza. Nelle sue memorie, pubblicate nel 1970 sotto il
titolo significativo La fine dell' Impero,
Salan scrive che la storia dei suoi rapporti con De Gaulle è quella di
"una grande menzogna". La menzogna, o l'ambiguità, che De Gaulle
intrattiene intorno alle sue autentiche intenzioni politiche, col ricorso a
frasi sibilline che vengono fraintese. Come quel famoso "Je vous ai
compris" ("Vi ho capito") che lancia ad Algeri, il 4 giugno
1958, affacciandosi a fianco di Salan per la folla che manifesta in nome dell'
Algeria francese. Quando poi Salan e gli altri generali dello Stato Maggiore
richiedono più ampie spiegazioni, De Gaulle rimane altrettanto evasivo.
"De Gaulle non si spiega. Esige un'obbedienza incondizionata", noterà
il politologo J. R. Tournoux nel suo libro intitolato La tragedia del generale.
Con Salan, che pure gli ha spianato la via del ritorno al
potere, De Gaulle - che lo considera "un fantoccio gonfiato" dagli
ultrà - si comporta con molta disinvoltura. Nel dicembre 1958 lo priva del
comando supremo in Algeria. Nel 1960, dubitando sempre più della volontà del
presidente della Repubblica di mantenere l' Algeria francese, il
"mandarino" denuncia il progetto di abbandono di una terra su cui si
esercita la sovranità nazionale. La sanzione non tarda: gli sarà interdetto il
soggiorno in Algeria. Allora Salan si esilia volontariamente in Spagna, da dove
manterrà i contatti con i vari clan attivi. Quando il 21 aprile 1961 scoppia ad
Algeri il putsch dei generali, capeggiato da Challe, Jouhaud e Zeller, Salan li
raggiunge immediatamente entrando a far parte di quel quadrumvirato di
"felloni", che De Gaulle stigmatizza col più duro disprezzo. "In
nome della Francia", egli ordina alle truppe rimaste fedeli di
"arrestare l'insurrezione, spezzarla, poi liquidarla con tutti i mezzi, se
necessario con il ricorso alle armi". Seguono ore drammatiche, in cui a
Parigi si teme uno sbarco dei parà ribelli. Ma il putsch si sgonfia subito,
Challe e Zeller si arrendono. Salan e Jouhaud entreranno invece nella
clandestinità. Salan assume ufficialmente il comando dell'"Organizzazione
dell' armata segreta" che si era costituita in marzo come una
organizzazione di lotta rivoluzionaria, essenzialmente civile. Egli cerca di
strutturarla sul piano militare, dividendola in due rami, "Oas
metropolitana" e "Oas Algeria-Sahara". L' obiettivo dichiarato è
di preservare l'Algeria francese e l' ambizione di Salan è di presentarsi come
una alternativa democratica a De Gaulle, che ha "tradito" questa
causa. In questo senso egli moltiplica gli appelli ai parlamentari, ai sindaci,
perfino ai vescovi di Francia. All'Assemblea nazionale ha dei partigiani, ma in
realtà, costretto dalla vita clandestina a spostarsi continuamente (cambierà
rifugio sessanta volte in un anno), non ha modo di esercitare la sua autorità
su un'Oas divisa fra un'infinità di clan avversi. I più estremisti lo fanno
deviare verso forme di terrorismo cieco (bilancio: 1800 morti e tremila
attentati criminali), verso il banditismo e il racket.
De Gaulle intanto continua imperterrito per la sua strada.
Salan sarà arrestato ad Algeri il 20 aprile 1962, un anno dopo il fallimento
del putsch dei generali, un mese dopo la firma degli accordi di Evian che
consacrano l'indipendenza algerina. L'Alto tribunale militare, che ha già
condannato a morte il generale Jouhaud, si dimostrerà più clemente verso il
"mandarino" condannandolo soltanto alla reclusione perpetua. Una
sentenza che manda in bestia il presidente della Repubblica: "Hanno fatto
il processo non di Salan, ma di De Gaulle", afferma in privato. Manifesterà
la sua collera sciogliendo l'Alto tribunale militare. Tuttavia, nel 1968,
finirà per concedere l'amnistia ai generali "felloni". Dopo sei anni
trascorsi nel carcere di Tulle, Salan si deciderà a scrivere le sue memorie.
Capitava di incontrarlo nel Faubourg Saint-Germain: un bel vecchio dal volto
impassibile. Ha lasciato disposizioni per essere sepolto nella più stretta
intimità, nel suo Tarn natale. "Era un grand
patron", dichiara il generale Bigerad, deputato gollista. "Ha
lottato tutta la sua vita per l'onore della bandiera", è il commento del
generale Jouhaud, suo compagno di clandestinità e di prigionia.
"la Repubblica", 4 luglio 1984
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