Dal paginone de “la Repubblica”
per il trentennale di G. B. Shaw riprendo questo accurato profilo del
drammaturgo e critico. (S.L.L.)
All’età di vent'anni George
Bernard Shaw abbandona Dublino (dove è nato il 26 luglio 1856) per Londra, deciso
a intraprendere la carriera letteraria. A Dublino lascia il padre e un impiego
presso un'agenzia immobiliare; a Londra troverà la madre, che insegna musica, e
le due sorelle, tette trasferitesi in Inghilterra qualche anno prima.
Carriera letteraria, per Shaw
allora, significa ricchezza e gloria. Infanzia e adolescenza sono state
abbastanza grige. I. suoi appartengono alla buona borghesia irlandese, ma sono
vissuti sempre in ristrettezze. Il padre, George Carr, debole di carattere, ma
non di rado rissoso per via dell'ubriachezza («in teoria un convinto astemio»,
dirà di lui il figlio, « ma spesso, in pratica, un bevitore furtivo»), è stato
soprattutto un incapace, che ha mandato in rovina la famiglia con le sue
speculazioni sbagliate. Quanto alla madre, Lucinda Elizalbeth, l'unico legame tra
lei e i figli è stata la musica. Per al resto, non si è mai curata di loro.
Il vizio paterno
Queste circostanze hanno influito
in modo determinante sulla vita del futuro Premio Nobel. La scoperta del vizio
paterno è all'origine del suo rifiuto per l'alcool e il tabacco, e le cattive
condizioni economiche gli hanno instillato un odio per la povertà che non verrà
mai meno: «è il più grande dei mali e il peggiore dei delitti », scriverà.
Unici risultati positivi, la vasta
cultura musicale (a soli quindici anni Shaw sapeva a memoria, o quasi, brani e
opere di Haendel, Beethoven, Mozart, Bellini, Rossini, Donizetti, Mendelssohn,
Verdi e Gounod) e le molte letture che lo ripagano delle delusioni scolastiche
(Shakespeare, soprattutto; e poi anche Shelley, Dickens, Samuel Butler e John
Bunyan, il grande predicatore puritano del XVII secolo).
In una commedia scritta quasi
trent'anni dopo, L'altra isola di John
Bull (1904), Shaw chiarisce il motivo che l'ha indotto ad abbandonare
l'Irlanda. Il conflitto fra l'ingegnere irlandese Doyle e l'uomo d'affari
inglese Broadbent è risolto in pratica in favore di quest'ultimo, che
rappresenta un mondo reale, con possibilità di agire, contro quello dell'altro
che è un mondo immaginario, ricco soltanto della facoltà di sentire. E' lo
stesso conflitto che ha travagliato Shaw e che lui ha risolto lasciando Dublino
per Londra.
« Io non ho mai lottato; sono
sempre salito per semplice levitazione », dice in uno dei suoi scritti
autobiografici. Ma è una dichiarazione fatta molti anni dopo, nello spirito del
mito che Shaw ha costruito di se stesso, in realtà, i primi anni sono stati
difficili, motto difficili. Per scrivere bastano carta, penna e calamaio. E Shaw
scrive. Cinque romanzi, nei nove anni che vanno dal 1876 al 1885: Immaturità, Il nodo irrazionale, La
professione di Cashel Byron, Amore
tra gli artisti e Un socialista asociale.
Sono tutti rifiutati più volte dagli editori. In compenso, quando Shaw sarà
celebre, verranno stampati anche abusivamente.
Gloria e ricchezza, dunque, si
fanno aspettare. In quei nove anni il lavoro letterario frutta a Shaw un
guadagno complessivo di 6 sterline, cosi suddiviso: 15 scellini per un articolo
sull'onomastica pubblicato da un settimanale, 5 sterline per un testo
pubblicitario di una spedalità medicinale e 5 scellini per un verso. Un record
degno di figurare nel Guinness dei primati, e tale, in ogni caso, da
scoraggiare anche la più radicata delle voca zioni.
Non, comunque, quella di Shaw.
Quegli anni difficili non lo sgomentano troppo. Si adatta a mangiare e dormire
in casa della madre e occupa il tempo, oltre che a scrivere, a frequentare la
biblioteca del British Museum, dove legge Marx e studia gli spartiti di Wagner,
e i circola politici progressisti (prima la Zetetical Society, poi, dalla
fondazione, nel 1884, la Fabian Society), obbldigandosi per giunta a tenere
ogni settimana un discorso in pubblico, per vincere la sua fondamentale
timidezza. Nel frattempo stringe amicizia con alcune delle personalità più
significative del tempo: il sociologo Sidney Webb, l'economista americano Henry
George, il poeta preraffaellita Wil liam Morris e il critico teatrale William
Archer, traduttore di Ibsen.
E' appunto Archer che, mentre gli
fa conoscere Ibsen, permette a Shaw di cominciare a lavorare nel giornalismo.
Prima critico letterario della “Pall Mall Gazette” (1885), poi critico d'arte
di “The World” (1886) e infine critico musicale di The Star (1888-90), dove
firma i suoi articoli con lo pseudonimo di «Corno di Bassetto», il vecchio
strumento caro a Mozart. La sigla che doveva diventare famosa, « G.B.S. »,
appare per la prima volta in calce agli articoli di critica teatrale er la “Saturday
Review” (1895-98).
Shaw critico fa chiasso, scandalizza,
interessa. In un'epoca in cui la musica consumata è soprattutto quella dei concerti
di beneficenza e delle romanze da salotto, gli articoli suoi spiccano come veri
e propri corsi di educazione musicale. Si batte per Wagner, ma non trascura di
rivelare al pubblico inglese Mozart, a quel tempo quasi ignorato.
Ma le maggiori punte polemiche si
trovano negli scritti di critica teatrale. Agitando la bandiera di Ibsen, Shaw
comincia a spiegare agli inglesi, che cos'è il teatro: «Una fucina di pensieri,
una guida della coscienza, un commentario della condotta sociale, una corazza
contro la disperazione e la stupidità e un tempio per l'Elevazione dell'Uomo». I
suoi lettori non lo avevano mai supposto. «Shaw demagogo», ha scritto
Chesterton, « aveva finalmente avuto lo sgabello e il megafono; ed era ben
deciso a farne il Pulpito dei Destino e la Tromba del Giudizio».
Guerra personale
Parole sante. Shaw inizia in
fatti subito la sua guerra personale contro il teatro contemporaneo. Attacca
senza misericordia l'artigianato dell'evasione, difende a spada tratta ogni
tentativo di fare del nuovo, insegna agli attori come si recita e ai registi
come si dirige; e per finire prende di petto la più rispettata, la più intangibile
delle istituzioni inglesi: Shakespeare. «Stiamo facendo un feticcio del nostro
Cigno», scrive. E per mostrare che Shakespeare non è quel genio infallibile che
si crede, comincia a smontare uno dopo l'altro i drammi più celebri e a
rivalutare, per dare una lezione agli studiosi e ai critici, quelli considerati
minori. E' puro gusto dell'eresia, che tuttavia gli permette di scoprire, una
volta per tutte, la bellezza e il significato di opere che in quel periodo non
godono eccessiva reputazione, come Misura
per misura e Troilo e Cressida.
A questo punto, illustrare come
vanno intesi i sermoni altrui non gli basta più, Shaw vuole predicare in
proprio. E comincia a scrivere commedie.
Tra la prima, Le case del vedovo, che è del 1892, e
l'ultima, Buoyant Billions, del 1948,
passano cinquant'anni esatti. E una cinquantina sono le commedie prodotte In
questo periodo, tra brevi, lunghe e lunghissime (per rappresentare Torniamo a Matusalemme senza grandi
tagli ci sono volute quattro sere). E' difficile, se non impossibile, ridurre
una produzione tanto vasta ad un criterio, una ragione o una dottrina che non
si identifichino con il temperamento dall'autore.
Perché Shaw ha detto tutto, e il
contrario di tutto. Spirito di contraddizione e partito preso del paradosso
sono il vero motore della sua ispirazione. Ateo, ha dato con Santa Giovanna il ritratto più sincero e
meno convenzionale della pulzella d'Orléans. Socialista e rivoluzionario, ha
dichiarato in più d'una occasione che il progresso è un'illusione. Ibseniano
arrabbiato, non ha esitato a prendere in giro i patiti dell'ibsenisimo con L'uomo amato dalle donne; e con Candida ha quasi rovesciato il mito di Casa di bambola. Umanitario, nella
prefazione a Fra gli scogli si è espresso
con paradossale cinismo a favore d'uno sterminio «posto su basi scientifiche ».
Puritano e pacifista, scrive con Il
discepolo del diavolo una satira del puritanesimo e con Il maggiore Barbara un'apologia dei mercanti
di cannoni. E così via.
Nel 1898 Shaw sposa Charlotte Francesi
Payne-Townshend, una facoltosa irlandese che l'aveva amorosamente curato
durante una malattia. Il successo è già arrivato, e con esso la gloria. Alla
ricchezza provvede il matrimonio. Da questo momento la biografia dello
scrittore non presenta più elementi d'interesse, se si eccettua l'amicizia «
sentimentale » per due attrici, la Terry e la Patrick - Campbell (dal carteggio
con quest'ultima Jerome Killfy ha tratto una commedia, Caro bugiardo, data anche da noi); e nel 1926 il conferimento del
Premio Nobel per la letteratura.
Nell'autunno del 1950, una caduta
nel giardino della sua casa di campagna, ad Ayot St. Lawrence, gli procura la
rottura d'un femore. Muore serenamente il 2 novembre, alla venerabile età di
novantaquattro anni e quattro mesi.
Dopo di che, è il silenzio. Shaw
è ormai un classico, e come tale messo in naftalina. Cecchi scrive che Shaw ha
vissuto troppo, e ha stancato la fama. Sarà davvero così?
C'è una famosa vignetta, dello
scrittore e caricaturista Max Beerbohm, in cui si vede Shaw che consegna il suo
vestito all’impiegato del Monte di Pietà. L'impiegato osserva l'indumento e
dice: «Ma questi sono i calzoni di Nietzsche, il panciotto di Schopenhauer, la
giacca di Ibsen. E in cambio di questa roba lei vorrebbe l’immortalità? ». E
Shaw tutto serio: «Guardi però come sono messe le toppe!».
Beerbohm ha trascurato il
soprabito (di Wagner) e l’ommbrello (di Marx), che certo avrebbero fatto il
ritratto più completo.
Non so se la risposta di Shaw,
però, sia giusta. So che quelle toppe si vedono benissimo. Perché, per fortuna
sua sono motto più nuove dei vecchi calzoni, del vecchio panciotto e della
vecchia giacca.
Per non dire del soprabito e dell'ombrello,
naturalmente.
“la Repubblica”, 18 gennaio 1980
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