7.8.13

Marcello Catanelli ricorda Enzo Forini

Su Enzo Forini, che ci ha lasciato alla fine di giugno, esiste nella Perugia di sinistra una ricca aneddotica emblematica della sua intelligenza e del suo spirito rivoluzionario. Sapeva essere arguto fino alla ferocia anche nelle antipatie e idiosincrasie. A una compagna cattolica che nel “manifesto” era insistente fino alla petulanza sui temi della Chiesa dei poveri, del dialogo e simili, pare che una sera, fattosi serio fino alla compunzione, dicesse: “La radice di tutti i nostri problemi è antica: l’inappetenza dei leoni”. Ho assistito, con molti compagni, nella sala del Commiato alla cerimonia degli addii. Nel ricordo di Enzo è sembrato prevalere il ruolo di dirigente e animatore culturale dell’Università per gli stranieri sulla figura del comunista. Ho trovato perciò assai pertinente e utile la lettera con cui Marcello Catanelli ha inteso, perfino con qualche accento provocatorio, ricordare il “compagno” rispetto al “dottore” e ho deciso di postarla nella speranza che abbia qualche lettore in più. (S.L.L.)

Perugia, 2 luglio 2013
Mi hanno colpito favorevolmente le tante parole pronunciate nella Sala del Commiato riferite al dottor Forini. Facevano riferimento ad un periodo lungo e significativo vissuto da Enzo nell’Università per Stranieri di Perugia, di cui ero a conoscenza, ma non in modo tale da apprezzarne fino in fondo il valore e l’originalità.
Invece non era il dottor Forini quello con cui facevo la guardia di notte sulle terrazze di Palazzo Manzoni durante l’occupazione della Facoltà di Lettere e Filosofia nel 1967, non era il dottor Forini a condividere con me ed altri la militanza nella “tendenza” trotzkista dentro la Fgci ed il Pci negli ultimi anni sessanta, non era il dottor Forini il dirigente del circolo Karl Marx in via Alessi e poi in via Bontempi, non era il dottor Forini il comunista che divideva con noi l’eresia de “Il Manifesto”.
Era il compagno Enzo Forini.
Così l’ho conosciuto, così l’ho frequentato e così lo ricordo. Una comunanza non priva di conflitti né di contraddizioni, perché Enzo era un leninista convinto, un assertore del primato dell’organizzazione di partito sulla spontaneità dei movimenti, della necessità di una avanguardia coesa e determinata. Non arrivava però a chiedere disciplina e fedeltà assolute, ma coerenza ed onestà intellettuale e di essere soprattutto compagni. Per questo era impossibile litigare con lui né tantomeno gestire una contrapposizione aperta e duratura, perché non la voleva né la cercava, non considerandola una variante possibile tra persone libere ed uguali. Al massimo la stemperava nella sua sottile ironia e la sdrammatizzava con poche e puntuali battute.
Io credo che ad allontanarlo dalla politica attiva, a parte il fatto che il suo lavoro nel Centro sociale dell’Università per stranieri è stato in piena continuità con il suo pensiero politico, sia stato non solo una valutazione molto critica della fase storica e delle possibilità e potenzialità di un altro mondo terreno, ma soprattutto il venir meno della fratellanza e della solidarietà tra compagni. Già l’uscita dal Pci era stata per lui uno strappo doloroso e credo che per lui siano state insopportabili tutte le altre scissioni e frantumazioni di cui è stata protagonista e vittima la sinistra comunista, non solo a livello nazionale ma anche e soprattutto a livello internazionale. Anche perché la fratellanza tra compagni era per lui il presupposto se non la base dell’amicizia ed Enzo aveva e meritava di avere tanti amici.

micropolis, luglio 2013

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