15.8.13

Andrea Camilleri racconta. Quando la mafia s'impadronì della Dc

A molti, me incluso, il commissario Montalbano, continua a piacere, vuoi per l’ambientazione nel complesso credibile, vuoi per l’ingegnosa costruzione dell’enigma, vuoi per il carattere del personaggio. Ma capisco quelli – e non sono pochi – che ne sono stufi sia per gli elementi di serialità e ripetitività caratteristici del genere, sia per l’impasto linguistico che a lungo andare diventa stucchevole, sia per l’abuso televisivo delle storie di Montalbano. E so che ci sono quelli a cui non è mai piaciuto.
Ma a tutti voglio consigliare un libro di Andrea Camilleri uscito qualche mese fa per le edizioni di Chiarelettere che ha come titolo Come la penso e come sottotitolo Alcune cose che ho dentro la testa. Si tratta di una raccolta di saggi, articoli, lezioni di diverso carattere, ampiezza, tono e destinazione. Questa eterogeneità porta a spaziare dall’autobiografia alla riflessione sulla propria e altrui narrativa, dalla riflessione critica sulla letteratura al ricordo di maestri e compagni, dal recupero originale di pagine poco note di storia patria (specialmente siciliana) all’intervento su temi politici, dalla linguistica alla riflessione etica. 
Credo che  tutto questo materiale abbia tuttavia una forte coerenza, garantita dalla qualità dell’affabulazione di Camilleri, dalla spregiudicata intelligenza che anima i suoi sondaggi sulla realtà, da una vena di sicula follia che qua e là affiora, ma soprattutto dal rigore morale. Questa personalità complessa e armonica è in evidenza sia negli scritti più seri e meditativi sia nelle pagine apparentemente più frivole. Tra i temi trattati spiccano la mafia e la sua natura intrinsecamente politica, la Sicilia e la sua storia ricca, il berlusconismo che Camilleri legge alla maniera di Gobetti, come rivelazione degli italiani a sé stessi.
Qualsiasi cosa si pensi e si possa pensare su queste o altre materie il rammentare e ragionare di Camilleri non lascia quasi mai indifferenti, ma stimola altre memorie e altri ragionamenti, perfino prese di posizioni e battaglie civili.
Volendo “postare” qualche frammento, a titolo esemplificativo, riprendo uno scritto intitolato Storie di mafia e di Dc a uso degli smemorati. E’ questo un tempo in cui istituzioni un tempo prestigiose si impegnano a ridurre Cosa Nostra a un puro fatto di criminalità, a negare l’interazione e, spesso, l’integrazione sistematica dell’organizzazione mafiosa con la politica, iniziata con la Liberazione angloamericana della Sicilia nel 1943 e proseguita attraverso le cosiddette “trattative Stato-mafia” per arrivare alla permeabilità dell’era berlusconiana, purtroppo non ancora conclusa.
Qui recupero un pezzetto su come la mafia entrò nella Dc negli anni del dopoguerra e di formazione della repubblica. Posterò altrove un’altra paginetta dallo stesso scritto, relativa alla storia del mio paese natio.
Non guasterà, in qualche altro post, alla vigilia di clamorose riabilitazioni, probabilmente anticostituzionali, utilizzare qualche altro frammento del nostro grande Andrea, sul berlusconismo e sul suo eroe eponimo. (S.L.L.)

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STORIE DI MAFIA E DI DC  

 Andrea Camilleri
Il capo della mafia Giuseppe Genco Russo (in piedi) banchetta con (da sinistra) 
il sindaco di Acquaviva Platani, il prefetto di Caltanissetta  e Nino Gullotti,
all'epoca segretario regionale Dc, poi ministro e vicesegretario nazionale
(…) Era successo che nel corso del 1947 la situazione in Sicilia era politicamente mutata. L'autonomia regionale, ma non solo quella, provocò lo scioglimento effettivo del Movimento indipendentista. Il Movimento aveva avuto un peso politico non indifferente. Le province più separatiste erano state Agrigento, Ragusa, Catania, Palermo e Caltanissetta.
In quest'ultima provincia c'erano i Comuni appartenenti al cosiddetto «Vallone» tra i quali: Villalba ufficialmente rappresentata da Calogero Vizzini e Mussomeli rappresentata da Giuseppe Genco Russo (che succederà a don Calò Vizzini quale capo supremo della mafia). In conclusione: una volta sciolto il Movimento restavano a vagare dentro i confini dell'isola più di 150.000 voti. Prendiamo ad esempio quello che capitò a Caltanissetta dove già l'Amgot, nominando prefetto l'avvocato Cammarata, aveva, secondo le parole dell'onorevole Francesco Pignatone, emesso «un segnale positivo rivolto a quel coacervo di forze che col passare dei giorni si sarebbero manifestate come forze di qualità mafiosa».
Il deputato Calogero Volpe (al centro con la coppola)
a Serradifalco (Cl) durante una campagna elettorale
Racconta l'onorevole Giuseppe Alessi, uomo di punta della sinistra democristiana in Sicilia:
Alla riunione del comitato provinciale si presentò un gruppo guidato dall'allora soltanto dottore Calogero Volpe, che accompagnava i rappresentanti dello schieramento del «Vallone», da lui capeggiato, fino allora vivacemente separatista e prosperato sotto il patronato del prefetto Cammarata; ora che prefetto era Aldisio, quello schieramento col suo capo si era deciso a entrare nel partito della De. Da parte mia non espressi alcuna opposizione di carattere personale verso i singoli; ma pretesi che ognuno presentasse singolarmente la domanda nelle sezioni, già costituite nei paesi del «Vallone». Il dottor Volpe fu preciso e deciso nella replica: tutto il gruppo entrava nel suo complesso organico, senza che il partito si permettesse di esaminare la posizione di ognuno dei componenti. Obiettai che in tal caso si trattava non già della richiesta dei singoli di entrare nel nostro partito, ma di una fusione tra due partiti; aggiunsi francamente che mi opponevo alla proposta così formulata, anche perché quello schieramento aveva dei contrafforti nella onorata società, che a Mussomeli si esprimeva nella figura di Genco Russo. Si badi, e lo sottolineo con vigore: dissi, e ancora affermo, che non intendevo esprimere giudizi di carattere morale o di carattere religioso, perché non ne avevo diritto; debbo precisare che pronunziavo un giudizio di carattere strettamente politico.
Parole rivelatrici da parte di un cattolico: nessun giudizio morale o religioso, solo politico, strettissimamente politico. A soccorrere l'onorevole Alessi, in quel pericoloso momento, fu un'anima santa (così viene chiamata dallo stesso Alessi). L'anima santa in questione è quella del cavaliere Benintendi, presidente della Conferenza di San Vincenzo, il quale, chiamato in disparte Alessi, testualmente gli dice: «Caro il mio giovane avvocato, qui non siamo in sede di Azione cattolica, per formulare simili discriminazioni, siamo in piano politico. Lei sa che i comunisti usano tali violenze contro i nostri da non consentire loro nemmeno le libere manifestazioni, i cortei. Ebbene, abbiamo bisogno della protezione di persone forti per fermare le violenze dei comunisti». Non me la sto inventando io, che sono abituato a scrivere romanzi, questa frase. L'elenco dei morti che precede ampiamente dimostra come quelle «persone forti» entrarono immediatamente in azione per far sì che i democristiani potessero fare i loro cortei. Così continua il racconto della sua pena l'onorevole Alessi: «Il cavalier Benintendi era persona estremamente retta e anima candida, veramente cristiana; ma, secondo me, sbagliava. Rimasi in minoranza, il "gruppo" entrò in massa e da quel momento si appropriò del partito».
Ipse dixit. Lo stesso accadde nelle altre province siciliane.

Postilla
Il Volpe di cui si parla, per lunghissimo tempo deputato democristiano, sarà anche Sottosegretario alla Sanità, alle Poste e ai Trasporti in diversi governi. Camilleri informa in nota che le dichiarazioni degli onorevoli Alessi e Pignatone si trovano in Chiesa e società a Caltanissetta all'indomani della Seconda guerra mondiale, Edizioni del Seminario, Caltanissetta 1984. 

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