A molti, me incluso, il
commissario Montalbano, continua a piacere, vuoi per l’ambientazione nel
complesso credibile, vuoi per l’ingegnosa costruzione dell’enigma, vuoi per il
carattere del personaggio. Ma capisco quelli – e non sono pochi – che ne sono stufi
sia per gli elementi di serialità e ripetitività caratteristici del genere, sia
per l’impasto linguistico che a lungo andare diventa stucchevole, sia per
l’abuso televisivo delle storie di Montalbano. E so che ci sono quelli a cui
non è mai piaciuto.
Ma a tutti voglio consigliare un
libro di Andrea Camilleri uscito qualche mese fa per le edizioni di
Chiarelettere che ha come titolo Come la
penso e come sottotitolo Alcune cose
che ho dentro la testa. Si tratta di una raccolta di saggi, articoli,
lezioni di diverso carattere, ampiezza, tono e destinazione. Questa
eterogeneità porta a spaziare dall’autobiografia alla riflessione sulla propria
e altrui narrativa, dalla riflessione critica sulla letteratura al ricordo di
maestri e compagni, dal recupero
originale di pagine poco note di storia patria (specialmente siciliana)
all’intervento su temi politici, dalla linguistica alla riflessione etica.
Credo che tutto questo materiale abbia tuttavia una forte coerenza, garantita dalla qualità dell’affabulazione di Camilleri, dalla spregiudicata intelligenza che anima i suoi sondaggi sulla realtà, da una vena di sicula follia che qua e là affiora, ma soprattutto dal rigore morale. Questa personalità complessa e armonica è in evidenza sia negli scritti più seri e meditativi sia nelle pagine apparentemente più frivole. Tra i temi trattati spiccano la mafia e la sua natura intrinsecamente politica, la Sicilia e la sua storia ricca, il berlusconismo che Camilleri legge alla maniera di Gobetti, come rivelazione degli italiani a sé stessi.
Credo che tutto questo materiale abbia tuttavia una forte coerenza, garantita dalla qualità dell’affabulazione di Camilleri, dalla spregiudicata intelligenza che anima i suoi sondaggi sulla realtà, da una vena di sicula follia che qua e là affiora, ma soprattutto dal rigore morale. Questa personalità complessa e armonica è in evidenza sia negli scritti più seri e meditativi sia nelle pagine apparentemente più frivole. Tra i temi trattati spiccano la mafia e la sua natura intrinsecamente politica, la Sicilia e la sua storia ricca, il berlusconismo che Camilleri legge alla maniera di Gobetti, come rivelazione degli italiani a sé stessi.
Qualsiasi cosa si pensi e si
possa pensare su queste o altre materie il rammentare e ragionare di Camilleri
non lascia quasi mai indifferenti, ma stimola altre memorie e altri
ragionamenti, perfino prese di posizioni e battaglie civili.
Volendo “postare” qualche
frammento, a titolo esemplificativo, riprendo uno scritto intitolato Storie di mafia e di Dc a uso degli
smemorati. E’ questo un tempo in cui istituzioni un tempo prestigiose si
impegnano a ridurre Cosa Nostra a un puro fatto di criminalità, a negare
l’interazione e, spesso, l’integrazione sistematica dell’organizzazione mafiosa
con la politica, iniziata con la Liberazione angloamericana della Sicilia nel
1943 e proseguita attraverso le cosiddette “trattative Stato-mafia” per
arrivare alla permeabilità dell’era berlusconiana, purtroppo non ancora
conclusa.
Qui recupero un pezzetto su come
la mafia entrò nella Dc negli anni del dopoguerra e di formazione della
repubblica. Posterò altrove un’altra paginetta dallo stesso scritto, relativa alla
storia del mio paese natio.
Non guasterà, in qualche altro
post, alla vigilia di clamorose riabilitazioni, probabilmente
anticostituzionali, utilizzare qualche altro frammento del nostro grande
Andrea, sul berlusconismo e sul suo eroe eponimo. (S.L.L.)
***
STORIE DI MAFIA E DI DC
Andrea Camilleri
(…) Era successo che nel corso
del 1947 la situazione in Sicilia era politicamente mutata. L'autonomia
regionale, ma non solo quella, provocò lo scioglimento effettivo del Movimento
indipendentista. Il Movimento aveva avuto un peso politico non indifferente. Le
province più separatiste erano state Agrigento, Ragusa, Catania, Palermo e
Caltanissetta.
In quest'ultima provincia c'erano
i Comuni appartenenti al cosiddetto «Vallone» tra i quali: Villalba
ufficialmente rappresentata da Calogero Vizzini e Mussomeli rappresentata da
Giuseppe Genco Russo (che succederà a don Calò Vizzini quale capo supremo della
mafia). In conclusione: una volta sciolto il Movimento restavano a vagare
dentro i confini dell'isola più di 150.000 voti. Prendiamo ad esempio quello
che capitò a Caltanissetta dove già l'Amgot, nominando prefetto l'avvocato
Cammarata, aveva, secondo le parole dell'onorevole Francesco Pignatone, emesso
«un segnale positivo rivolto a quel coacervo di forze che col passare dei
giorni si sarebbero manifestate come forze di qualità mafiosa».
Il deputato Calogero Volpe (al centro con la coppola) a Serradifalco (Cl) durante una campagna elettorale |
Racconta l'onorevole Giuseppe
Alessi, uomo di punta della sinistra democristiana in Sicilia:
Alla riunione del comitato provinciale si presentò un gruppo guidato dall'allora soltanto dottore Calogero Volpe, che accompagnava i rappresentanti dello schieramento del «Vallone», da lui capeggiato, fino allora vivacemente separatista e prosperato sotto il patronato del prefetto Cammarata; ora che prefetto era Aldisio, quello schieramento col suo capo si era deciso a entrare nel partito della De. Da parte mia non espressi alcuna opposizione di carattere personale verso i singoli; ma pretesi che ognuno presentasse singolarmente la domanda nelle sezioni, già costituite nei paesi del «Vallone». Il dottor Volpe fu preciso e deciso nella replica: tutto il gruppo entrava nel suo complesso organico, senza che il partito si permettesse di esaminare la posizione di ognuno dei componenti. Obiettai che in tal caso si trattava non già della richiesta dei singoli di entrare nel nostro partito, ma di una fusione tra due partiti; aggiunsi francamente che mi opponevo alla proposta così formulata, anche perché quello schieramento aveva dei contrafforti nella onorata società, che a Mussomeli si esprimeva nella figura di Genco Russo. Si badi, e lo sottolineo con vigore: dissi, e ancora affermo, che non intendevo esprimere giudizi di carattere morale o di carattere religioso, perché non ne avevo diritto; debbo precisare che pronunziavo un giudizio di carattere strettamente politico.
Parole rivelatrici da parte di un
cattolico: nessun giudizio morale o religioso, solo politico, strettissimamente
politico. A soccorrere l'onorevole Alessi, in quel pericoloso momento, fu
un'anima santa (così viene chiamata dallo stesso Alessi). L'anima santa in
questione è quella del cavaliere Benintendi, presidente della Conferenza di San
Vincenzo, il quale, chiamato in disparte Alessi, testualmente gli dice: «Caro
il mio giovane avvocato, qui non siamo in sede di Azione cattolica, per
formulare simili discriminazioni, siamo in piano politico. Lei sa che i
comunisti usano tali violenze contro i nostri da non consentire loro nemmeno le
libere manifestazioni, i cortei. Ebbene, abbiamo bisogno della protezione di
persone forti per fermare le violenze dei comunisti». Non me la sto inventando
io, che sono abituato a scrivere romanzi, questa frase. L'elenco dei morti che
precede ampiamente dimostra come quelle «persone forti» entrarono
immediatamente in azione per far sì che i democristiani potessero fare i loro
cortei. Così continua il racconto della sua pena l'onorevole Alessi: «Il
cavalier Benintendi era persona estremamente retta e anima candida, veramente
cristiana; ma, secondo me, sbagliava. Rimasi in minoranza, il
"gruppo" entrò in massa e da quel momento si appropriò del partito».
Ipse dixit. Lo stesso accadde nelle altre province siciliane.
Postilla
Postilla
Il Volpe di cui si parla, per
lunghissimo tempo deputato democristiano, sarà anche Sottosegretario alla
Sanità, alle Poste e ai Trasporti in diversi governi. Camilleri informa in nota
che le dichiarazioni degli onorevoli Alessi e Pignatone si trovano in Chiesa e società a Caltanissetta
all'indomani della Seconda guerra mondiale, Edizioni del Seminario,
Caltanissetta 1984.
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