Da un più ampio articolo riprendo la parte finale sul modo di raccontare caratteristico di Robert Walser e sulla fisionomia di scrittore. (S.L.L.)
È una specie di intimità allargata la lettura dei libri, dove però quasi sempre c'è uno in posa da persona importante, da scrittore, si camuffa da autorità, talvolta si mette in castigo da solo. Walser non fa niente di tutto questo, ci dona invece l'impressione di un libro aperto, ma non su di sé anche se parla continuamente di sé, sul mondo invece.
Ora che perfino gli scienziati si sono accorti che il divagare è il modo basilare della mente umana, l'andamento naturale del pensiero sul quale si innesta o si innerva tutto il resto, dalla concentrazione all'attenzione, dai calcoli ai bei ragionamenti, leggere i libri di Walser può somigliare a un allenamento, primo a vedere che c'è sempre qualcosa sotto gli occhi, non sta mai fermo e cambia di continuo, poi a incontrare una mente molto simile, e in quell'incontro c'è qualcosa di autorevole.
«Decisivo è piuttosto un qualcosa che arricchisca la vita, qualcosa che può cadere nell'oblio ma che in seguito si torna poi ad amare, che per un certo tempo viene magari censurato, ma che forse proprio per questo avrà in avvenire effetti più profondi». Non male per uno che ha raccontato le circostanze della sua morte, a faccia in giù nella neve il giorno di Natale, uno che nessuno nel paese dove viveva da più di vent'anni sapeva fosse uno scrittore, per cui nessun giornale ha speso un rigo di necrologio.
“il manifesto”, 27 settembre 2011
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