«Ecco George Sand, nostra
contemporanea» annuncia il mensile Magazine
Littéraire in apertura del dossier dedicato, in occasione del bicentenario della
nascita, che cade in questo luglio, alla scrittrice che si permise tutte le
audacie, pubbliche e private: indossava abiti maschili, fumava il sigaro e la
pipa, denunciava l’alienazione della vita matrimoniale e affermava il diritto
all’amore-passione; ebbe non pochi amanti - «non più di una ventina» a suo dire
-, credeva nel genio del popolo e scriveva secondo il proprio istinto. Combatté
l’oscurantismo della Chiesa e rimase fedele agli amici e all’ideale di una
Repubblica pacifica, contro l’oppressione delle dittature ma anche contro la
violenza delle rivoluzioni. Credeva nella supremazia dell’arte e nella
profondità delle tradizioni popolari, e in nome della missione sociale della
letteratura inventò la moderna scrittura impegnata; odiava il culto del denaro,
intravvedendo le malefatte che avrebbe causato l’onnipotenza dell’economia. Denunciò
la schiavitù delle donne e lottò in favore della loro indipendenza.
Amandine Aurore Lucile Dupin –
questo il suo vero nome - nacque a Parigi il 1° luglio del 1804, in pieno
apogeo dell’Impero napoleonico, da una popolana, sarta al Palais Royal, e da un
brillante ufficiale dell’esercito napoleonico. La nonna paterna, figlia
naturale del maresciallo di Sassonia, crescendola del castello di Nohant, le
insegnò i Lumi e la «grazia». Fra il popolo e l’aristocrazia, due modelli di
vita e di cultura, scelse le convinzioni democratiche: «Sono figlia di un
patrizio e di
una bohémienne. Io sarò sempre con lo schiavo e con la donna del
popolo, mai con i regnanti e i loro seguaci» andava ripetendo.
Orfana di padre, e proprietaria
del castello in seguito alla morte della nonna, correva nei boschi e si
esprimeva in dialetto. Sposò nel 1822, per pura convenienza, il barone Casimir Dudevant
da cui ebbe due figli. L’unione subito si rivelò male assortita: appassionato di
cavalli e di caccia, Casimir, al contrario di Aurore, detestava la
conversazione e la lettura. Non potendo divorziare, si separarono, e lei si
fece apostolo del divorzio e della riforma del Codice civile napoleonico.
Conobbe Balzac, prese a
collaborare a diverse riviste, e con il diciannovenne Jules Sandeau - il suo
primo amante, sembra - scrisse Rose et
Blanche nel 1831. Con Indiana (1832)
quando per la prima volta utilizzò lo pseudonimo maschile di George Sand –
estrapolato con acume e furbizia dalla prima sillaba di Sandeau e dal romantico
George Byron di cui era fervente ammiratrice - dette inizio
a una fortunatissima carriera
letteraria. Vendette un’infinità di copie e fu tradotto e diffuso all'estero.
Fece colpo fra i contemporanei per l’energia della protesta e il vigore della denuncia
della condizione femminile. Scrisse oltre un centinaio di romanzi, femministi -
oltre a Indiana, Lélia, Valentine -, a
sfondo sociale - Le compagnon du Tour de
France, Le Meunier d'Angibault, La
ville noire, e più raramente storici. E tutti si rivelarono dei
best-sellers in Francia e non.
Nell’alta società guardavano con
sospetto la giovane scrittrice, la cui vita si arricchiva di numerose, brevi, e
non sempre fortunate relazioni amorose, fra lo scandalo dei benpensanti: il
poeta Alfred de Musset fu il più romantico, lo scrittore Michel de Bourges il
più politico, il teatrante Alexandre Manceau il più devoto, mentre con il
musicista Friedrich Chopin, fragile e geniale, il rapporto durò per ben nove
anni: «Non si può vivere senza amore» diceva lei. Fu amica di Flaubert e di Stendhal,
con cui condivideva la sensibilità critica verso i valori dominanti dell’epoca.
Provocò tutto e tutti, lasciando
marito e figli perché «annoiata», e dopo essersi innamorata di Sandeau
diciannovenne lo abbandonò per de Musset, con il quale fece un viaggio d'amore
a Venezia; all’Hotel Danieli in cui soggiornava con l’innamorato dilaniato dai dolori
addominali dovuti al tifo, circuì, in men che non si dica, il medico Pietro
Pagello. Di Chopin s’innamorò nel 1835, e questo lungo e controverso rapporto
coincise con una straordinaria attività letteraria, con l’impegno politico e la
fama a livello internazionale.
Trent’anni dopo, a quasi
sessant’anni, era così stimata e famosa che Napoleone III voleva renderle
omaggio, nonostante la sua conclamata opposizione al regime imperiale. Ma lei
rifiutò, dando, nel rapporto con i potenti di turno, ancora una volta una
modernissima lezione di stile.
Era la «camarade Sand», e la odiavano le signore dei salotti e
dell’intelligentsia. Delle donne del popolo descrisse l’umiliazione e le
sofferenze redigendo, fra gli altri, Consuelo
(1841) e La palude del diavolo
(1846) che ebbero successo per la finezza psicologica e la forte carica
idealistica dell’autrice.
Consapevole della crescente
importanza della stampa, creò alcuni periodici, quali “L'éclaireur de l'Indre”,
“La Revue indépendante” e “La cause du Peuple”. Ben lontana dall’«arte per
l’arte» cara a Flaubert, voleva rendersi utile e si impegnò in tutte le lotte
dell’epoca: contro l'ingiustizia e la miseria, la pena di morte e il carcere,
per l'emancipazione dei contadini, i diritti delle donne, il libero pensiero,
il trionfo delle nazionalità, specie in Italia, e per la Repubblica «democratica
e sociale» fondata sull’uguaglianza, il diritto universale, il laicismo e la non
violenza.
Al tempo stesso scrittrice,
donna, innamorata, repubblicana e femminista, era già un’icona nel corso della
Rivoluzione del 1848, e le femministe che l’incensarono l’hanno in seguito
arruolata nelle loro battaglie. Morendo, l’8 giugno del 1876 a Nohant all'età
di settantadue anni, lasciò Albine,
romanzo interrotto. Rifiutò l’estrema
unzione, ma sua figlia Solange impose un funerale religioso, cui presero parte
Flaubert, Dumas e il principe Napoleone…
"l'Unità", 19 luglio 2004
Nessun commento:
Posta un commento