12.8.13

No Muos. Una battaglia etica prima ancora che politica (di Antonio Senta)

L’articolo è del giugno scorso, prima della retromarcia di Crocetta, che dopo aver revocato le concessioni alla Nato, ha revocato la sua revoca. Il presidente della regione, nell'imminenza della manifestazione del 9 agosto, certamente riuscita, ha anche partecipato come comparsa al tentativo di criminalizzazione del movimento. Mi pare di trovare in questo scritto di Senta essenziali elementi di valutazione contro la pubblica confusione e disinformazione orchestrate dalla Nato e dai governi che la servono. (S.L.L.)

Da mesi oramai la lotta contro il Muos è diventata una questione nazionale e non più solo di Niscemi (Caltanissetta) e dei suoi abitanti. Ma che cosa è il Muos? Il Mobile user objective system è l'arma perfetta dell'esercito americano per i conflitti del nuovo millennio. Un sistema di telecomunicazioni satellitari che serve a guidare le operazioni di guerra su scala mondiale per mezzo di bombardieri, sistemi missilistici di vario tipo, sottomarini e soprattutto di droni, gli aerei senza pilota che sono ormai lo strumento preferito dall'aviazione statunitense. Il Muos è un complesso di satelliti e stazioni a terra: alle Hawai, in Virginia, in Australia e nella sughereta vicino a Niscemi. Qui, già sede di una delle infrastrutture militari più estese del territorio italiano (1.660.000 metri quadrati di terreni boschivi e agricoli) e dove sono installate 46 antenne Nrtf (Naval radio transmitter facility) della marina militare statunitense, verrebbero installate tre grandi antenne paraboliche del diametro di 18,4 metri e due trasmettitori dell'altezza di 149 metri.
A costruire il Muos è la Lockheed Martin, la più potente della compagnie Usa del comparto difesa, produttrice dei famigerati cacciabombardieri F-35, che conta oltre 126.000 dipendenti e un fatturato annuo di 45,8 miliardi di dollari. I lavori a Niscemi sono stati affidati fin dal loro inizio a un consorzio di imprese denominato Team Muos Niscemi guidato dalla Gemmo Spa di Arcugnano (Vicenza) e di cui fanno parte altre aziende tra cui la Lageco di Catania. Con l'avvio dei lavori è comparsa come subappaltatrice la Calcestruzzi Piazza Srl, molto vicina alla mafia.
Contro questo progetto si sta sviluppando un ampio fronte di opposizione popolare che si dà come obiettivi impedire la costruzione del Muos e smantellare le 46 antenne Nrtf, presenti da oltre vent'anni.

Le ragioni dell'opposizione
La prima ragione che muove chi si schiera contro il Muos è la contrarietà a tutte le guerre. Industrie belliche e multinazionali del petrolio userebbero la nuova base in territorio siciliano come ulteriore puntello per le proprie mire imperialiste, portando morte e distruzione. Niscemi si affiancherebbe a Sigonella come luogo di decollo dei droni, pronti a intervenire dall'Afghanistan alla Libia, dal Ciad al Corno d'Africa. Contro tutto ciò, per fare uscire definitivamente la guerra dalla storia, si stanno battendo i No Muos.
La seconda ragione è la difesa del territorio, poiché la sughereta dove gli americani vogliono installare le parabole è una riserva naturale, luogo tra l'altro riconosciuto come “sito di interesse comunitario”. Nella base già esistente ci sono stati nel corso degli anni vari incidenti con conseguente sversamento nel sottosuolo di grandi quantità di sostanze inquinanti.
La terza ragione è la difesa della salute della popolazione. L'inquinamento elettromagnetico, che viene già prodotto dalle quarantesei antenne, sarebbe decuplicato, colpendo buona parte dell'isola con risultati pesantissimi per gli abitanti. Negli ultimi anni, nel silenzio totale delle istituzioni, sono aumentati i casi di malattie causate dalle antenne. Uno studio condotto dai tecnici Massimo Zucchetti e Massimo Coraddu per il Politecnico di Torino ha messo in evidenza come le antenne produrrebbero un campo elettrico pericolosissimo anche in prossimità delle abitazioni. Le maxi antenne paraboliche trasmetteranno con frequenze tra i 30 e i 31 GHz, i due trasmettitori con frequenze di trasmissione tra i 240 e i 315 Mhz, creando così un maxi forno a microonde attivo per un raggio di 120 km in grado di causare danni gravissimi alla salute con varie forme di tumori, leucemie, linfomi.

Avvolto dal mistero
I primi passi del progetto risalgono al 2005; senza che sia mai stato discusso in consiglio dei ministri né in parlamento, nel marzo 2006 è lo stato maggiore della difesa a dare l'autorizzazione necessaria. Inizialmente il Muos deve essere installato all'interno dell'aeroporto di Sigonella, ma per paura degli effetti destabilizzanti delle onde sugli aerei, il sito prescelto diventa la sughereta di Niscemi.
Questo cambio di sito, così come il progetto nel suo complesso, è avvolto dal mistero grazie anche agli accordi speciali tra Italia e Stati Uniti in campo bellico, che sostanzialmente permettono che dal secondo dopoguerra a oggi parte del suolo italiano sia occupato militarmente dall'esercito americano. Il cambio di sito da Sigonella a Niscemi avviene alle spalle di tutti e gli stessi attivisti lo scoprono solo nel 2008. Infatti, nonostante su progetti di tal genere ci dovrebbe essere per legge una qualche forma di consultazione popolare, come prevede l'art. 6 della direttiva 2011/92/Ue, niente di tutto ciò viene fatto. Il ministro della difesa La Russa e il presidente della regione Lombardo, ravvedutosi da un iniziale rifiuto, concedono i permessi necessari e si schierano in maniera chiara perché si costruisca il Muos in Sicilia.
Sin dall'inizio il progetto si fa scudo di studi pseudo scientifici di cui è evidente la malafede. Nel 2008 la marina militare statunitense svolge una valutazione d'impatto ambientale gravemente carente e contraddittoria e i successivi studi, sempre dei militari Usa, volti a indagare sugli effetti nocivi delle onde risultano essere tanto rassicuranti quanto inaccurati e fuorvianti. Lo stesso accade con altri studi commissionati da Lombardo ad alcuni docenti della facoltà di ingegneria dell'università di Palermo che certificano il “bassissimo impatto elettromagnetico” del Muos. Probabilmente non è un caso se uno di questi docenti è una ex ricercatrice in aziende del gruppo Finmeccanica e se nell'ultimo biennio la facoltà di ingegneria ha sottoscritto con il laboratorio di ricerca dell'esercito statunitense due contratti per un valore complessivo di 70mila dollari. Intrecci, quelli tra mondo accademico e industria bellica, caratteristici di diverse università italiane, dove negli ultimi dieci anni non solo sono stati ospitati ufficiali e generali dell'esercito a presentare i propri progetti o a tenere conferenze, ma sono anche state avviate collaborazioni “didattiche” con convenzioni, master e corsi congiunti università-esercito come avviene in diversi istituti da Roma a Taranto, da Catania a Torino, a Bologna ecc.
Tali ricerche sono risultate essere così deficitarie che la stessa amministrazione comunale di Niscemi decide di affidare a un ente esterno, il Politecnico di Torino, un'analisi dei rischi. Ecco che si arriva dunque al già citato rapporto presentato da Zucchetti e Coraddu dove i due studiosi scrivono a chiare lettere che il Muos porterà a un deciso incremento dell'intensità del campo anche in luoghi abitati causando danni gravi e permanenti a chi ne venisse accidentalmente esposto. Inoltre il fascio di microonde del Muos interferirebbe pesantemente con tutto il traffico aereo di un'area dove sono situati gli aeroporti di Sigonella, di Comiso e di Fontanarossa e potrebbe causare l'innesco accidentale degli ordigni trasportati dagli aerei da guerra, rischio, questo, ben noto ai militari statunitensi. Da qui anche il continuo ostruzionismo, la secretazione degli atti, il boicottaggio da parte della autorità militari americane nei confronti di qualsiasi verifica sul progetto.

Le ultime tappe della lotta
Nella primavera del 2012 nascono i primi comitati di base No Muos a Vittoria, Charamonte Gulfi, Modica, Ragusa, esperienze che si propagano in maniera rapida coinvolgendo ben presto varie province dell'isola. Inizialmente nel sud-est dell'isola e poi anche in altre zone, i comitati nascono uno dopo l'altro, nonostante le innumerevoli difficoltà e grazie all'attivismo e alla passione di alcuni gruppi di compagni. È un movimento trasversale, con qualche contraddizione di fondo, ma che, in particolare dopo tre giorni di dibattito e controinformazione a Niscemi, cresce dando via via maggiore voce al protagonismo popolare, fino alla formazione di un coordinamento regionale dei comitati No Muos.
Nel settembre del 2012 alcune decine di attivisti tengono presidi informativi a Niscemi, organizzano happening e mostre e infine danno vita a un campeggio-presidio di tre giorni nella riserva che va a disturbare, con una rumorosa “passeggiata”, i lavori della base. È una svolta per il movimento, che in maniera partecipata e condivisa decide di “mettersi in mezzo” rifiutando deleghe e padrini politici.
Il 6 ottobre 2012, dopo una giornata di mobilitazione locale nei vari territori svoltasi la settimana precedente, 4.000 manifestanti prendono parte al primo grande corteo nazionale contro il Muos nelle vie di Niscemi e attorno alla base americana. Questa manifestazione combattiva e autorganizzata rappresenta una tappa importante per tutto il movimento. Nel frattempo la procura di Caltagirone sequestra il cantiere per gravi violazioni delle norme ambientali, misura che però una ventina di giorni più tardi la procura di Catania annulla. Da allora si forma il presidio permanente davanti all'ingresso principale della base con l'obiettivo di bloccare la gru che serve per montare le parabole sui piedistalli. La partecipazione popolare è forte, le assemblee in città sono piene di gente e lungo le decine di chilometri di percorso che deve compiere la gru ci sono gruppi di solidali pronti ad allertare il presidio. In questo periodo viene inoltre presentata dal coordinamento dei comitati un'importante carta di intenti che rivendica la propria autorganizzazione, l'autofinanziamento per la campagna di lotta, un funzionamento di tipo orizzontale e basato sull'autonomia dei singoli comitati, il rifiuto di qualsiasi forma di subalternità da partiti e istituzioni, e l'adesione ai valori imprescindibili di libertà, uguaglianza, antifascismo, antimilitarismo, antirazzismo, lotta alla mafia e all'omofobia. Anche questo è un passaggio fondamentale di una lotta allo stesso tempo radicata e radicale.
Nel gennaio del 2013 il ministro dell'interno Cancellieri dichiara il sito di Niscemi “di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati” ordinando l'inasprirsi della repressione contro chi ostacola i lavori nella base. Nello stesso mese l'assemblea regionale siciliana revoca l'autorizzazione per i lavori, ma centinaia di poliziotti e carabinieri scortano la gru che deve installare le parabole, riuscendo a farla entrare nella base dopo avere caricato violentemente il presidio. Sin dal giorno dopo il presidio si forma nuovamente, mentre diversi gruppi di attivisti tengono decine di serate informative sulla questione in giro per l'Italia. La mobilitazione è ormai nazionale.
A inizio febbraio la regione annuncia, dopo un mese di chiacchiere, la decisione di revocare le autorizzazioni. Ma è subito chiaro che ancora una volta la marina americana se ne infischia dei decreti regionali ed è quindi la mobilitazione e la revoca dei lavori dal basso l'unica forma di lotta che può davvero funzionare. I comitati decidono di avviare una sottoscrizione per l'acquisto di un appezzamento di terra nei pressi della base, spazio prescelto per un nuovo presidio permanente. Il presidio si fa forza anche della presenza di un comitato delle mamme No Muos di Niscemi che è da mesi tra i più attivi e combattivi nell'impedire l'accesso dei camion militari americani alla base. La forza e l'appoggio di cui godono queste donne è grande: quando all'inizio di marzo vengono caricate, la polizia è costretta a negare ogni aggressione mentre un presidio spontaneo a Niscemi manifesta la propria solidarietà. Altri tentativi di sgombero delle mamme si rivelano infruttuosi.
Dove non arrivano i manganelli poi, ci pensano i giudici secondo un refrain ben noto. Il movimento è criminalizzato, soprattutto da quando si è fatto davvero partecipato: sono decine, solo negli ultimi mesi, i controlli arbitrari, i fogli di via, gli avvisi di garanzia, le perquisizioni in cerca di fantomatiche armi o esplosivi.
Nella scorsa primavera i comitati lanciano una campagna di rafforzamento della rete nazionale che collega varie lotte territoriali, a partire da quelle contro il progetto del ponte sullo stretto e contro il treno ad alta velocità in Valsusa. Il 16 marzo si tiene una manifestazione contro il ponte, proprio pochi giorni dopo l'annunciata cancellazione dell'assurdo progetto; una settimana dopo, il 23 marzo, c'è un enorme corteo da Susa a Bussoleno di 30-40mila manifestanti; infine il 30 marzo 15mila manifestanti invadono Niscemi e le sue campagne, mentre in quella stessa giornata si tengono presidi informativi in varie città d'Italia.
Nei giorni precedenti il corteo, compare in Sicilia il console americano provando a dividere il movimento tra buoni e cattivi. Inoltre, come spesso accade prima di grandi manifestazioni popolari, la polizia fa di tutto per terrorizzare gli attivisti nel tentativo, fallito, di scongiurare una partecipazione di massa e prova più volte a forzare i blocchi davanti alla base, smentendo così di fatto gli impegni delle forze politiche che continuano ad assicurare di avere fermato i lavori. Infatti il governatore Crocetta, un giorno prima del corteo, annuncia di avere revocato in via definitiva l'autorizzazione ai lavori concessa dalla precedente giunta Lombardo.

La parte giusta
Ormai la gran parte degli attivisti e dei comitati non si fida degli annunci e conosce la differenza tra revoca formale e revoca sostanziale. Ed effettivamente anche dopo la grande mobilitazione di inizio primavera gli americani continuano a portare avanti i lavori, come dimostrato ampiamente dalle fotografie scattate dai No Muos e pubblicate online. Le operazioni di costruzione del Muos si fermano solo quando i presidi impediscono fisicamente ai militari e agli operai l'accesso alla base. I comitati hanno imparato che per raggiungere i propri obiettivi devono mobilitarsi in prima persona. È quello che stanno facendo, proseguendo i blocchi a oltranza e, c'è da scommetterci, dando vita a ulteriori mobilitazioni fino a che parabole e antenne non saranno smantellate. La lotta infatti si fermerà solo quando parabole, torri e antenne verranno smontate e portate via.
Quella contro il Muos è una battaglia etica ancor prima che politica. C'è una parte giusta da cui stare, ed è quella dei comitati. Ce ne è una criminale e inumana: è quella degli eserciti e degli stati.
A Niscemi e in buona parte della Sicilia si stanno velocemente ribaltando prospettive che sembravano intangibili: al fatalismo e alla rassegnazione è subentrata la volontà di lottare in prima persona e in maniera unitaria. Ecco perché i No Muos hanno l'appoggio e la simpatia di tutti gli antimilitaristi. Ecco perché quella contro il Muos è una battaglia di tutti noi.

“A-Rivista Anarchica”, anno 43 n.381 giugno 2013

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