Le finanze allegre del “manager di Dio”
Il sacerdote coinvolto nell’inchiesta
In Vaticano il coinvolgimento di don Evaldo Biasini non piomba come un fulmine a ciel sereno. Negli uffici finanziari e missionari della Santa Sede era «ben noto» che l’economo d’Italia agiva «in modo fin troppo autonomo e disinvolto» rispetto alle indicazioni ricevute dalla Congregazione del Preziosissimo Sangue. Oltre a «prendere decisioni indipendenti dall’effettiva volontà dei superiori dell’ordine», da tempo la Curia era allarmata per la «fiducia incautamente accordata a personaggi discutibili che poi lo hanno tratto in inganno». Don Biasini non è un prete qualunque, bensì un «manager di Dio», un gigante della solidarietà cattolica nel Terzo Mondo.
Al suo nome sono legate opere missionarie tra le più importanti in Africa. In Paesi devastati dalla povertà come la Tanzania, don Evaldo è un pezzo da novanta e conta di più di vescovi che spesso non sono in condizione neppure di mantenere una mensa accanto alla chiesa. E’ lui che apre o chiude i cordoni della borsa. Ovunque ci sia un’emergenza umanitaria, quasi fosse una clone ecclesiastico di Bertolaso, è lui a imbracciare la valigia e mettere in piedi ospedali da campo, scuole, campi profughi. Tra gli economi degli ordini religiosi è proverbiale la sua abilità nel «fund raising» e la rara capacità di coniugare carisma missionario «dal basso» e peso specifico «in alto», cioè nelle stanze in cui si delibera insindacabilmente dove indirizzare il flusso degli aiuti.
«Anemone chiede a don Biasini i soldi perché sa che ha tra le disponibilità i fondi da lui personalmente portati alle missioni africane», spiegano in Vaticano. Gli accertamenti condotti nei Sacri Palazzi su quel giro di soldi consentivano ieri sera di stabilire la «gestione di somme di denaro all’insaputa dei superiori della provincia italiana». Don Biasini non si limita a finanziare attività di beneficenza. Nei decenni spesi ad estendere la rete missionaria del suo ordine, si è guadagnato spazi di eccezionale autonomia rispetto ai vertici religiosi. Un’assoluta libertà di manovra che nessuno ha mai messo apertamente in discussione, ma che cominciava a suscitare malumori dentro e fuori la congregazione. Quando ieri in Vaticano si sono tirate le fila della vicenda, le informazioni raccolte concordavano nel tracciare un identikit «di potere esercitato in maniera disinvolta, ingenua poco prudente».
Ad un personaggio con un prestigio indiscusso guadagnato sul campo, i confratelli non rivolgevano le domande che invece nei competenti dicasteri della Santa Sede avevano iniziato a farsi.
La personalità coinvolgente e l’affabilità «on the road» di don Biasini avevano sempre fatto apparire inopportuna la minima verifica dei superiori. Ora alla Provincia d’Italia, nel quartiere Appio Tuscolano (dove don Biasini ha il suo ufficio), crea imbarazzo la sostanza (i 50 mila euro di tangente), ma anche il tono consuetudinario, familiare delle intercettazioni. «Senti Evà scusa se ti scoccio solo per rotture di coglioni, devo vedere una persona come stai messo?», chiede Anemone. Risponde don Biasini: «Di soldi per l’Africa qui ad Albano ce n’ho 10 soltanto, giù a Roma potrei darteli».
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