Un contributo all’Unità d’Italia
Maccheroni
L’indagine di Giuseppe Prezzolini sulle paste alimentari
Tanti popoli si contendono il vanto di averle create. Cinesi e giapponesi, tedeschi e francesi; e gli italiani si accapigliarono di varie regioni chi doveva esser il primo, basta che avesse trovato qualche parola o leggenda o tradizione che si potesse interpretare con un po’ di buona volontà: da Napoli, dalla Sicilia e dalla Sardegna, anzi da Cagliari.
Le ragioni di litigio fra le città italiane furono più numerose delle città stesse, e fra le altre anche il vanto di avere inventato i maccheroni. Il Lemene (1634-1704), nel suo poemetto comico, ne ricorda due così:
Sono Napoli e Bergamo nemici
ché ognuno a Macheron patria vuol farsi
né per lo mezzo di comuni amici
è stato mai possibile aggiustarsi;
onde più volte le città infelici
sono stete vicine a rovinarsi
più per li Macheroni che pel Tasso.
La Sicilia ebbe fama di paese di maccheronari ancor prima di Napoli e fra i documenti del suo volgare antico si trovan termini che indicano forme di paste. Un suo poeta, Paolo Catani da Monreale, ricorda questa rinomanza in un proverbio:
E ti dirannu fora li confini
Siciliano mangiamaccaruni
Il libri di cucina del secolo XVII parlan sempre di maccheroni all’uso siculo, qualche volta romagnolo, e ci son accenni ai maccheroni di Cagliari, ma nessuno li dice napoletani. Come dimostrò il Croce, con molti esempi, i napoletani avevano allora fama di mangiatori di ortaglie e non di paste asciutte.
Alcuni dei letterati italiani, che scrivevan per ghiribizzo o per guadagno, son responsabili di certe storielle che ancora corrono per il mondo e furon accolte in America con grande favore. Il Lemene, per esempio, è responsabile della etimologia da ma caroni, detto da un principe che li trovò di suo gusto: non cari, ma caroni. E la Serao scrisse una sua invenzioncina (“Il segreto del mago” in Leggende Napoletane), che, attraverso la traduzione francese, arrivò fino in America, ma dopo aver perso il nome della inventrice riappare ogni tanto nelle colonne dei giornali di provincia.
Storielle deformate in America
Come queste storielle, servite al grosso pubblico da giornalisti, arrivino in America basti un esempio. In un libro di cucina, benissimo illustrato, bisogna riconoscerlo, e venduto a migliaia di copie, si racconta dalla signorina Betty Crooker (uno pseudonimo) che i maccheroni passaron dalla Cina in Italia e “diventaron così popolari verso il secolo XIII che l’imperatore Federico II coniò il nome di macaroni da marcus che significa piatto divino”.
In questa frase non si sa che cosa ammirar di più, se l’impudenza di dire che l’imperatore Federico II coniò la parola “maccheroni”, oppure l’errore di stampa che ha trasformato makarios in “piatto divino”. La parola greca significa davvero “beato”, ma non il piatto bensì lo spirito del defunto. Marcus non significa nulla, suppongo, in nessuna lingua del mondo, ma certamente non significa nulla nelle lingue che l’imperatore Federico II parlava. Senza contare che non si sa come i maccheroni potevan essere diventati popolari senza avere ancora un nome.
Storielle di questo tipo sono state diffuse dall’Associazione dei fabbricanti di Maccheroni in America per molti anni, e continuano ad esserlo oggi. Le riporto, sebbene non siano nemmeno divertenti.
A Napoli si essiccaron (per la prima volta) le paste
Molto mi persuade, invece, il ragionamento d’un competente che è direttore d’un importante rivista tecnica Molini d’Italia da me interrogato in proposito. Il signor Barracano mi scrisse:
“Per quanto riguarda il luogo di nascita degli spaghetti bisogna chiarire innanzi tutto se per spaghetti si intendono anche i prodotti fatti in casa dalla comune massaia mescolando sfarinati con acqua, o più propriamente, come io ritengo, i prodotti perfettamente essiccati e destinati a una lunga conservazione. La differenza è sostanziale in quanto per i primi possiamo trovare riferimenti in tutti i climi, di modo che si può affermare che gli stessi siano apparsi nel tempo stesso in cui l’impiego dei prodotti del grano si è affermato nell’alimentazione umana. Per i secondi invece la ricerca è più facile in quando sembra ormai definitivamente accertato che agli inizi del 1800 nel Napoletano si è trovato il sistema di essiccare la pasta rendendola, quindi, atta ad un regolare commercio. Rimontano a quell’epoca, infatti, le prime macchine per la produzione della pasta (in napoletano ngegno, in italiano: meccanismo) completamente in legno, basate sul concetto di un torchio a vite azionato da una grande ruota fatta girare con pressione di persone sulla raggiera, o da una leva (stanga) spinta amano come nei vecchi molini. All’uscita della pasta dalla forma, sotto la pressione del torchio, veniva effettuato il “taglio” della pasta; con il moto rotatorio del braccio del “rotatore”, si ottenevano i vari tipi di pasta lunga e corta.
Il problema non era però di produrre, ma, come si è accennato, di “essiccare” la pasta razionalmente per evitare il suo irrancidimento provocato dalla fermentazione naturale. Ciò si ottenne sottoponendo la pasta prodotta ad un’azione combinata ed alternata di aria fredda e calda. Siccome però questa azione doveva essere effettuata alternativamente in un brevissimo spazio di tempo, occorrevano climi particolarmente adatti nei quali si riscontrano frequenti, se non frequentissimi, cambiamenti di temperatura durante le ventiquattr’ore. Il clima di Amalfi e di Gragnano poi sembrarono ideali per questo scopo; ma successivamente, fu riscontrato che la perfezione poteva trovarsi nelle zone di Torre Annunziata laddove il clima cambia sistematicamente quattro volte al giorno. Di qui il successo della pasta prodotta in quella industre città”.
La letteratura
Prima in Italia e poi in altri Paesi di cultura classica fu creata una letteratura, che dai maccheroni prende nome. Può dirsi “mostruosa”, perché la lingua che adopera è fatta di parole che son composte di parti che non dovrebbero stare insieme. Infatti sono tratti dalle lingue o dai dialetti moderni, ma usate con terminazioni e con costruzioni latine; e quindi si potrebbe anche dire letteratura incestuosa, in cui la madre coabita con i figli e con i nipoti; senza contar che vi si mescolan anche parole di lingue estranee al latino. Abbiamo così una serie di opere scritte in vena faceta in cui l’italiano o il francese assumon desinenze e sintassi latine, e più tardi anche ci furon mescolanze di tedesco e di inglese con il latino fondate sullo stesso principio.
Non c’interessa qui per se stessa e troppo lungo ne sarebbe il discorso; ma il tono che prese derivandolo dal nome ci apre non estraneo al nostro soggetto. E’ una letteratura in genere beffarda, ironica e , almeno alle origini francamente grossolana, sporcacciona e postribolare. Uno dei primi, se non il primo dei suoi poeti, Tifi Odasi, la chiama “la nuova grammatica che c’insegnaron le prostitute” ma lui adopra un’altra parola latina più dura.
Tema preferito da molti maccheronici è l’apoteosi del gozzovigliare. I loro personaggi sono, in generale, eroi del ventre, lupi della tavola, pacchioni, pronti a pappare a tutte le ore, col ventraccio mai sazio, che diluivano roba d’ogni genere e nelle loro epule gigantesche fan principalmente uso di maccheroni. Uno dei primi è Paulus golosus dell’Odasi che sparecchia una infinità di cibi: sed macharones super omnia saepe demandat (ma soprattutto maccheroni sempre chiede).
Un altro è un dottore che cura tutti i malanni col mangiare, e la sua scienza è particolarmente frorte quando i maccheroni sono cotti.
E’ semplicemente naturale che questi poeti ci abbian conservato parole della lingua dei pastai quasi perdute. Per esempio, un poeta del padre gesuita Bernardino Stafonio ci ricorda la rara forma di certe paste usate dai napoletani, lo strozzapreti (o gnocco): Sit Strozzapreti mistura medesma farina e dimostra l’antichità di quell’appellativo. Questo verso ricorre in una commedia i cui personaggi portano nomi di paste: Hic, Maccus, Gnoccus, Raviolus, Cialdo, Lasagna, ed inoltre si menziona Struffolus,Vermicellus, Tagliolinus.
Uno degli eroi di Guarino Capello scoppia per aver mangiato troppe lasagne:propter lasagnas crepat. Cesare Orsino, sotto lo pseudonimo di Marco Stoppino, invoca la musa “gnocchi fica” e si riempe i ventre di maccheroni prima di incominciare il suo poema sull’arte di rubare; alla dama di un altro poeta, Partenio Zancanio, non bastan “mille sfoglie” e nemmeno “mille piattate di lasagne” per sfamarsi.
Come nella commedia dell’arte c’era un certo numero di scherzi e motti fissati, così nelle maccheronee c’è un certo tipo di situazioni fisse nelle quali il riso è suscitato dall’abbondanza di cibo, e particolarmente da quella sorta di cibo, il maccherone, che sembra occupare maggior posto nello stomaco. Teofilo Folengo, che è il classico di questa poesia, immagina una grandiosa cucina nascosta dentro un monte dal quale fuman fin al cielo centinaia di caldaie piene di maccheroni (gnocchi) per condire i quali le ninfe grattano il formaggio. Colà, egli dice, ebbi l’ispirazione di farmi poeta della pancia:
hic macaronum pescavi primior artem
hic me pancificum Malefina poetam
Da Maccheroni & C. Longanesi, 1958
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