7.2.10

Sindona e Calvi. Le omissioni di Paolo Mieli (S.L.L.)


La trasmissione di storia contemporanea che Paolo Mieli confeziona per Rai 3, “Correva l’anno” era sabato notte dedicata a Sindona, alla sua resistibile ascesa, all’uccisione dell’avvocato Ambrosoli, alla morte del banchiere di Patti, sul cui suicidio l’autore non sembra avere dubbi. Trasmissione ben costruita e spettacolare, anche per l’ambiguità del personaggio, per il suo dire e non dire, per quello che sembrò la sua follia.
Nel ragionamento che per consuetudine conclude la trasmissione Mieli coglie l’elemento caratterizzante della vicenda; dice che banchieri e finanzieri truffaldini o collegati alla criminalità ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno, ma che in Sindona c’era di più: il suo “impero” si presentava come punto di snodo tra politica, criminalità, finanza, impresa, connettendo pezzi importanti di tutti i “poteri forti”. Sono tutte cose degne e giuste, se non che nella sua analisi manca del tutto un riferimento che, sia pure di passaggio, nella trasmissione non mancava e che nella realtà concreta fu assai forte: la finanza vaticana. I rapporti dell’avvocato siciliano con quel mondo furono infatti stretti e intensi. Ma Mieli, forse, ama “lasciare stare i santi” e non se la sente di far consapevoli gli spettatori della tv di azioni cattoliche che, al massimo livello, confliggono radicalmente con le prediche papali. Lo Ior, Marcinkus, i banchieri di Dio in verità seguono le prassi in uso nella finanza mondiale, anche quelle più truffaldine e delinquenziali, e non rifuggono da corruzioni, creazione di fondi neri, riciclaggi eccetera eccetera.
La trasmissione presentava un’altra grave omissione. Una non breve parentesi era dedicata a Roberto Calvi, al banco Ambrosiano, alle relazioni con Sindona (come lui affiliato alla P2 di Gelli). Anche in questo caso il fatto che Calvi fosse socio in affari con l’Istituto opere di religione, lo Ior di Marcinkus, e fosse chiamato il “banchiere di Dio” era bellamente taciuto. Quando poi si faceva riferimento all’arresto di Calvi nel 1981 e alle polemiche che ne seguirono, non si citava l’attacco in Parlamento alla magistratura da parte di Bettino Craxi.
Quella presa di posizione viene da molti collegata alla costituzione da parte di Calvi di uno speciale fondo all’estero per il segretario del Psi, il famigerato Conto Protezione. A mio avviso c’era di molto peggio. I Craxi allora, come i Berlusconi di adesso, sono portatori di una cultura per la quale certi poteri e certi uomini sono intoccabili, sono al di fuori e al di sopra di ogni legge. Tra essi i grandi banchieri. Poco importa se le loro illegali manovre mandano in rovina il “parco buoi” dei risparmiatori.
Su tutto ciò Paolo Mieli tace. Parlarne potrebbe intralciare la beatificazione di Craxi e il progetto berlusconiano di “soluzione finale” nei confronti dell’autonomia della magistratura. Non ci meravigliamo troppo. Il controverso giornalista nel suo campo è stato a lungo una specie di Sindona: punto di snodo di molti pezzi di establishment, politico, economico, finanziario, giudiziario, mediatico e, naturalmente, religioso. Vorrebbe tornare ad esserlo.

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