13.2.10

Schmitt e Bertolaso. In Italia c'è già una dittatura?

Carl Schmitt è uno dei più inquietanti pensatori politici del Novecento, non solo per il suo ruolo nella costruzione giuridica del nazismo ma anche, ed ancor più, per una ricerca poliedrica e multiforme che ne rende meno facile l’incasellamento nella storia delle idee del Novecento. E’ un esito paradossale per un filosofo che amava le alternative secche, prima fra tutte la dialettica amico-nemico. Uno dei suoi libri primi e più celebri è La dittatura, che studia sotto il profilo storico, teorico e giuridico il concetto di “dittatura” e i suoi nessi con lo “stato d’assedio”, la “sovranità”, il “potere costituente” dal suo nascere nell’antica Roma alle sue incarnazioni protonovecentesche. Semplificando al massimo le acquisizioni storico-teoriche di Schmitt si può dire che in origine la dittatura è una “magistratura commissaria”, che gode sì di un potere incontrollato, ma sulla base di un mandato che ha limiti invalicabili, di tempo e/o di materia. La leggenda di Cincinnato simboleggia al meglio i limiti della dittatura: portato a termine il suo mandato con la vittoria in guerra, l’uomo dai capelli ricci non si lascia sedurre dal potere, lascia senza drammi l’autorità eccezionale che gli era stata concessa e torna alla normalità.

La dittatura, in altri termini, appare nelle sue origini connessa con lo “stato d’eccezione” e presuppone regole cui si dovrà tornare, una volta venute meno le ragioni del mandato. Solo in rari casi nella Roma antica (Cesare, Silla) la dittatura (che è magistratura repubblicana) assume un carattere “sovrano”, si pone cioè al di fuori e al di sopra della stessa legge da scaturisce. Solo nella modernità (Cromwell) matura l’idea di una “dittatura costituente”, cioè di un potere sovrano e assoluto che fonda una nuova statualità, un nuovo ordine.

Il ricordo di Schmitt e delle poche cose che credo di sapere su di lui mi è stato sollecitato da alcuni eventi italiani recenti, l’ultimo dei quali è l’incriminazione di Bertolaso. L’impressione, non solo mia, è che questa destra e questo governo, fautori del “decisionismo” (parola tipicamente schmittiana), non sopportino né limitazioni all’esercizio del comando né controlli preventivi e che stiano portando alle estreme conseguenze un processo che cominciò con Craxi e che è proseguito per slittamenti successivi fino ai nostri giorni, con la complicità (e a volte con la partecipazione attiva) di forze di sinistra.

Questo governo (ma neanche in questo è il primo) coniuga la vocazione decisionista con il più spinto affarismo. La tecnica è ormai ampiamente collaudata: si registra (è il caso dell’immondizia di Napoli o del terremoto), si fa crescere (è il caso delle carceri), si monta (è il caso della sicurezza, dell’energia o dell’influenza A), si inventa (è il caso della Tav, dell’Expo o delle celebrazioni dell’Unità d’Italia) una cosiddetta “emergenza”, tale da configurare uno “stato d’eccezione”, per poi procedere a un “commissariamento” che sospenda ogni altro potere (nazionale o locale) e annulli i controlli preventivi di legalità, permettendo decisioni immediate e, sovente, irrimediabili. L’attacco alla magistratura come alla pratica delle intercettazioni mira ad eliminare o a rendere estremamente ardui i controlli ex post. Questo modo di procedere aiuta molto a proteggere e sostenere i familiari, gli amici e gli amici degli amici dei “dittatori” che orbitano nell’ampio mondo affaristico e imprenditoriale. Molte fortune sono infatti affidate alle commesse pubbliche.

In molti siamo nauseati fino al vomito per la gioia dei due imprenditori “sciacalli” intercettati dopo il terremoto dell’Aquila, ma impressiona anche la frase “possiamo prendere quel che vogliamo”. Non ci sono limiti, insomma, per chi ha il giusto “ammanicamento” e la giusta protezione (civile o incivile che sia) e soprattutto non ci sono limiti per i loro “lord protettori” (era, se non mi sbaglio, il titolo di Cromwell). Le “dittature commissarie” infatti legalizzano l’arbitrio ed eliminano il fastidio di appalti truccati, di trattative occulte etc. : tutto diventa lecito. E questo spiega la sorpresa di Letta, Berlusconi & C. per l’incriminazione di Bertolaso: se “chi comanda fa legge” e “può far quel che cazzo gli pare” ogni suo comportamento è legale e trasparente ed è soprattutto “irresponsabile”. Non ne deve rispondere a nessuno. Forse a chi gli ha dato il mandato, ma solo in termini morali, come nel vassallaggio feudale, non legali.

L’indignazione per un governo che, sotto la copertura di “emergenze” vere o inventate, sempre più appare un comitato d’affari non deve però nascondere il più generale processo di “dittaturizzazione” dell’Italia che sta accadendo sotto i nostri occhi. Forse dobbiamo correggere il nostro punto di vista (e anche quello di Schmitt) che molto si lega all’idea di “rivoluzione” come rottura e nuovo inizio. L’approccio rivoluzionario esige infatti un “tourning point”, un punto di svolta e in genere di non ritorno, un momento preciso in cui la “dittatura” singola o collettiva, questa volta non più commissaria ma sovrana, viene istaurata e avvia la fase costituente di un nuovo ordinamento. Io ho il dubbio (e il terrore) che quel punto di rottura non vi sia affatto e che si sia di fronte ad un processo di trasformazione “molecolare”, che mentre stiamo a guardare i “bertoladri” e i tanti piccoli dittatori che su questo o su quello prendono i pieni poteri, si stia realizzando una dittatura, che non è tanto di una persona, ma è di classe.

Dovremmo forse stare più attenti ai tanti mutamenti istituzionali, che con la giustificazione dell’emergenza, modificano le regole della convivenza politica. Io penso a uno che mi appare anche il più infame e mostruoso: l’abolizione, con l’alibi della crisi, del “contratto collettivo di lavoro” e l’affidamento della stipula dei contratti ad alcuni sindacati, padronali e dei lavoratori, scelti dal governo senza possibilità alcuna per i lavoratori di decidere. E’ una riforma istituzionale che già è avvenuta, frutto di una strisciante dittatura di classe, che potrebbe divenire norma costitutiva di un nuovo ordine sociale. E sono processi su cui l’opposizione parlamentare è silente, l’opposizione extraparlamentare balbettante, l’opposizione sindacale (la Cgil soprattutto) un po’ sfiatata.

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