Il 18 dicembre 1983 Ferdinando Adornato raccolse per "l'Unità" quest'intervista, che prendeva spunto dalle tematiche futurologiche del libro di Orwell 1984, ma affrontava temi come la democrazia informatica e telematica, la questione ambientale ed energetica, il ruolo della politica, del movimento operaio e del socialismo nel mondo nuovo che le rivoluzioni tecnologiche prospettavano.
Berlinguer, dopo lo "strappo" che segnalava l'irriformabilità e la crisi imminente del "socialismo reale", proponeva al suo partito, alla società e alla cultura codesti pensieri confermandosi come il più moderno e lungimirante tra i leader politici della sua epoca. (S.L.L.)
Tu come vedi il futuro di questa terza rivoluzione industriale: come un futuro di libertà o come un futuro di autoritarismo?
Credo che l'atteggiamento più corretto di fronte alle nuove rivoluzioni tecnologiche sia quello di considerarle in partenza come neutrali. L'esito di queste rivoluzioni, infatti, così come è sempre accaduto nel passato, non dipende dallo strumento in sè, ma dal modo col quale gli uomini decidono di utilizzarlo. Per essere più chiaro io vedo oggi la possibilità di due processi contemporanei: da una parte l'uso della microelettronica per rafforzare il potere dei gruppi economici dominanti, il potere di quello che in una parola viene chiamato il complesso militare industriale. Dall'altra però vedo una grande diffusione di nuove conoscenze che può portare ad un arricchimento di tutta la civiltà.
In sostanza tu dici: si apre una lotta sul controllo di questa rivoluzione, Carlo Bernardini segnala però che sia Urss che Usa fanno affidamento sulla passività dei sudditi. Ora questa passività è un ostacolo nella lotta per il controllo delle nuove tecnologie...
Non limiterei l'osservazione di Bernardini soltanto alle due massime potenze. I governi di quasi tutti i paesi del mondo contano sulla passività dei loro sudditi, anche se in modi diversi e con diversi gradi di oppressione. Solo in periodi limitati, generalmente nei periodi rivoluzionari o post-rivoluzionari, o comunque in periodi nei quali si È sentita la necessità e si è saputo e voluto aprire fasi nuove nella vita dei popoli, si sono avuti governi che contavano sull'iniziativa delle masse.
Ma se tu guardi al mondo di questo 1984 che sta per aprirsi, dove metti l'accento: sulla passività o su nuovi scenari di iniziative e a creatività?
Dipende. Può cambiare il giudizio a seconda delle questioni e dei paesi di cui si discute. Però io considero il movimento per la pace come un fatto di grandissima importanza di tutte le nostre epoche e destinato ad altrettanti grandi sviluppi. E non solo perché è un movimento diretto a contrastare e a sventare il pericolo supremo della guerra atomica, ma anche perché è un movimento che, nelle sue diverse espressioni internazionali, parte da una presa di coscienza che coinvolge tutti i dati della vita di questa nostra civiltà. Esso esprime la volontà di milioni di uomini di non lasciare che le questioni fondamentali della loro vita, il loro futuro siano decisi da altri: dai governi, dagli apparati, dai complessi militari-industriali. No, io non vedo solo il pericolo della passività. Piuttosto segnalerei il pericolo di nuove espressioni di fanatismo ideologico o religioso che possono, in qualche paese, prendere il sopravvento.
Ma il nazionalismo è una tradizione francese per eccellenza. Non hai sempre detto tu stesso che un governo delle sinistre non può opporsi alle tradizioni del proprio paese?
Non può e non deve opporsi alle tradizioni buone, ma deve opporsi a quelle regressive. Oggi non sono entrati in discussione soltanto gli assetti produttivi e le strutture del capitalismo maturo, ma siamo di fronte ad una vera e propria crisi del mondo. Viviamo in un'epoca per molti aspetti suprema della storia dell'uomo sia per le possibilità che per i rischi. L'allarme non riguarda solo il rapporto tra lo Stato e l'elettronica ma riguarda anche i fiumi, i laghi, i mari, l'aria che respiriamo, l'atmosfera e la toposfera della Terra. Grava infine sull'umanità l'incubo di una crescente insufficienza delle risorse alimentari. Ecco perché‚ pensavo ad un convegno che mettesse insieme studi e analisi di ambiti diversi: le scienze fisiche, chimiche, biologiche, antropologiche, demografiche, informatiche, mediche. In sostanza, dunque, un convegno che guardasse al futuro con un po' di fantasia ma sempre sulla base delle acquisizioni e previsioni delle varie scienze. Ritengo che sia stato un errore non esserci ancora arrivati.
E perché non ci si è arrivati?
Le cause sono tante ma io ne voglio sottolineare una. In questi ultimi anni ci siamo giustamente concentrati sul tema della lotta contro la guerra. E c'è ancora tanto da fare perché in Italia si estenda la consapevolezza, che nella Rft è più estesa che da noi, che la guerra è davvero possibile. D'altra parte, però, bisogna stare attenti che la paura della distruzione totale non diventi così ossessiva e stringente da impegnare tutte le energie e impedire di pensare ad altro. Questo sarebbe una vittoria degli strateghi del terrore. C'è infatti chi ha interesse a farci convivere col rischio perenne della guerra impedendoci di vedere non solo che la guerra si può sventare ma che si può, già oggi, vivere in modo diverso.
Insistiamo ancora sul tema dell'elettronica. Come deve prepararsi il partito ad affrontare questa nuova epoca?
Innanzitutto bisogna impadronirsi il più possibile della conoscenza di questi fenomeni. A tutti i livelli. Su questa base bisogna poi definire politiche adeguate a stimolare, a orientare, controllare e condizionare le innovazioni in modo che non siano sacrificate esigenze vitali dei lavoratori e dei cittadini. Ma bisogna anche saper vedere i problemi che si pongono per la composizione sociale del partito. Credo che dobbiamo ormai considerare come un dato ineluttabile la progressiva diminuzione del peso specifico della classe operaia tradizionale. Le congiunture economiche possono, di volta in volta, accelerare o decelerare questa tendenza. Con le lotte sindacali e politiche si deve poi intervenire in questi processi, per evitare che essi assumano un carattere selvaggio e si risolvano in un danno per i lavoratori. Ma la tendenza è quella. Alcuni traggono da ciò la conclusione che la classe operaia è morta e che con essa muore anche la spinta principale alla trasformazione. Secondo me non è così. A condizione che si sappiano individuare e conquistare alla lotta per la trasformazione socialista altri strati della popolazione che assumono, anch'essi, in forme nuove, la figura di lavoratori sfruttati come i lavoratori intellettuali, i tecnici, i ricercatori. Sono anch'essi, come la classe operaia, una forza di trasformazione. E poi ci sono le donne, i giovani....
Si può arrivare a dire che i lavoratori intellettuali sostituiranno la classe operaia tradizionale?
E' una domanda che si spinge molto avanti nel tempo. Forse avanti di alcuni decenni. Comunque già oggi i processi industriali spingono a far sostituire da questi strati notevoli settori di classe operaia. Mi pare però che sia assolutamente da respingere l'idea che questi nuovi processi costituiscano una confutazione del marxismo e del pensiero di Marx in particolare. Il carattere sociale della produzione (e anche della informazione come fattore di produzione) è sempre ancora in contrasto con il carattere ristretto della conduzione economica. Questo assunto di Marx non è smentito neanche dalla rivoluzione elettronica.
Ma in un mondo nel quale le informazioni, anche le più sofisticate, possono arrivare direttamente nelle case della gente, resisterà il partito di massa? Avrà ancora un senso un partito che costruisce un proprio sistema autonomo di informazione con gli iscritti? L'elettronica non spezzerà il circuito della partecipazione?
La questione esiste ed é anche più ampia di quella che tu poni. Non riguarda solo il Pci e i partiti di massa ma riguarda il destino e le possibilità stesse dell'associazione collettiva. Io francamente credo che questa esigenza sia una esigenza irrinunciabile dell'uomo e continuerà ad esistere anche se in forme diverse dal passato. La lotta, la pressione di massa saranno sempre necessarie. Certo si può immaginare un mondo nel quale la politica si riduca solo al voto e ai sondaggi; ma questo sarebbe inaccettabile perché‚ significherebbe stravolgere l'essenza della vita democratica.... Ma già si parla di democrazia elettronica: la gente risponde da casa ai quesiti posti sul video dell'amministrazione... La democrazia elettronica limitata ad alcuni aspetti della vita associata dell'uomo può anche essere presa in considerazione. Ma non si può accettare che sostituisca tutte le forme della vita democratica. Anzi credo che bisogna preoccuparsi di essere pronti ad affrontare questo pericolo anche sul terreno legislativo. Ci vogliono limiti precisi all'uso dei computer come alternativa alle assemblee elettive. Tra l'altro non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l'unica forma di espressione democratica diventa quella di spingere un bottone. Ad ogni modo lo ripeto: io credo che nessuno mai riuscirà a reprimere la naturale tendenza dell'uomo a discutere, a riunirsi, ad associarsi. Ogni epoca, certo, ha e avrà i suoi movimenti e le sue associazioni. Vedi, per esempio, nella nostra i movimenti pacifisti, i movimenti ecologici, quelli che, in un modo o nell'altro, contrastano la omologazione dei gusti e il conformismo: chi avrebbe saputo immaginarli quaranta o anche venti anni fa? Naturalmente compito dei partiti dovrà essere quello di adeguarsi ai tempi e alle epoche. E' qui che si misura la loro tenuta: sulla loro capacità di rinnovarsi.
Quindi tu non credi che anche partiti storici come quelli della vecchia Europa possano diventare solo dei partiti-immagine...
Possono, certo che possono. Ma intanto bisogna attrezzarsi per saper essere anche partiti-immagine e partiti d'opinione. Il rischio è quello di diventare solo questo. Perché sarebbe un impoverimento non solo della vita politica, ma della vita dell'uomo in generale.
Tu come te la immagini una vita nella quale si passa ore ed ore a casa di fronte ad uno schermo gigante, nella quale si hanno a disposizione video-cassette che renderanno forse inutile la scuola così com'è? Come la immagini una vita incasellata di ragazze, studenti, impiegati che troveranno ogni forma di socialità già bell'e pronta dentro casa?
Intanto bisogna vedere quali sono i contenuti di queste trasmissioni ricevute a casa. Il contenuto può essere tale da spingere gli uomini in una situazione di maggiore solitudine, di maggior frustrazione, di maggiore ostilità nei confronti degli altri oppure può avvenire il contrario. Io dico che dipende molto da questo. Naturalmente se questi strumenti diventeranno espressione di una spinta che punta a rafforzare sentimenti egoistici questo sarà una cosa molto negativa.
Allora tu dici: attenzione al contenuto. Il mezzo in sé non ha poteri...
No, anche il mezzo conta. E' evidente che non andare per niente a scuola o andarci magari soltanto per un'ora cambierà la vita della gente. Ma questi aspetti sono oggi difficilmente immaginabili. Prendiamo l'esempio della scuola e del libro: naturalmente io adesso sosterrei che la lettura del libro è insostituibile e anzi deve diventare ancora più importante. E sosterrei la stessa cosa anche per la scuola, naturalmente una scuola molto rinnovata. Però, anche qui, io non mi sento di fare affermazioni assolute. E' difficile immaginare un computer che crei vera poesia o una opera d'arte e da questo punto di vista è difficile non tenere conto del grido d'allarme, che tu riferivi, di Vespignani. Tuttavia non si può escludere l'ipotesi che lo stesso mezzo televisivo possa produrre cose di altissima qualità che soddisfino anche le esigenze più raffinate e più creative.
Insomma la tecnologia non distruggerà l'individuo...
Nessuna epoca ha mai raggiunto la realizzazione dell'individuo, della maggioranza degli individui. Nel passato moltissimi individui erano distrutti non solo sul piano morale ma anche sul piano fisico. Pensa agli schiavi nell'antichità o ai negri razziati e trasportati in America. Quante erano le persone che riuscivano a diventare individui nel passato? Molte meno di oggi. Ma anche nel sistema capitalistico la morte precoce per lavoro dei fanciulli nella prima rivoluzione industriale non era una distruzione? E oggi, i bambini, gli uomini, le donne, che muoiono di fame o che restano analfabeti nel Terzo mondo non sono distrutti? Anzi in questi casi non si può neanche parlare di distruzione ma di vero e proprio impedimento della crescita e della vita dell'individuo.
All'inizio dicevi che lo scenario catastrofico del futuro non lo vedi per l'elettronica ma per la guerra. Ti faccio una domanda che avrai già ricevuto centinaia di volte. Credi davvero alla possibilità della guerra nucleare globale?
Sì, penso sia davvero possibile. Non c'è nessuna legge storica che ci possa far dire: è impossibile. Per quanto la mente si ritragga, assolutamente inorridita, di fronte alla eventualità della fine della civiltà umana, questo non è un motivo sufficiente ad arrestare la possibilità della guerra. E direi che, negli ultimi tempi, il pericolo è diventato più reale. Infatti, mentre per una certa fase il cosiddetto “equilibrio del terrore” ha funzionato come deterrente, oggi comincia a non essere più così. Il rischio si è aggravato soprattutto per la crescente incontrollabilità dei processi economici e politici mondiali. Nello stesso tempo c'è stato un nuovo salto di qualità nella sofisticazione tecnologica delle armi. Sono stati spesi fiumi d'inchiostro, da studiosi e strateghi, per descrivere queste novità: quando ci sono strumenti coi quali si può colpire l'avversario in pochi minuti questo può far nascere la tentazione di sferrare il primo attacco. Oppure può far sorgere la paura di riceverlo e quindi, per reazione, la tentazione di sferrarlo per primi. E poi c'è l'ormai verificata possibilità dell'errore che tanti scienziati hanno più volte dimostrato come reale. Errori ad esempio nei sistemi d'avvistamento: ho letto che negli Stati Uniti sono avvenuti diversi di questi errori tutti poi corretti dopo alcuni minuti. Ed è immaginabile che altrettanto sia avvenuto in Urss. Ma questi tempi, con i nuovi missili e con altre armi, possono essere ancora ridotti e può arrivare il giorno in cui l'errore non potrà più essere corretto in tempo. E i missili, una volta lanciati, non possono essere fermati. Ma c'è di più: sento che oggi si comincia a parlare di guerra nucleare limitata o di guerra nucleare vittoriosa. E' già un segnale gravissimo che si parli in questi termini, che si pensi di poter uscire vittoriosi da uno scontro nucleare. E anche che qualcuno pensi di poterne uscire incolume. Questa è una concezione molto pericolosa. Ricordo un film degli anni Sessanta: L'ultima spiaggia di Stanley Kramer. Si svolgeva in Australia. Un'Australia che era l'unica terra risparmiata dal conflitto nucleare. Poi alla fine erano tutti costretti ad ingoiare una pillola per uccidersi pur di evitare le atroci sofferenze provocate dalle radiazioni nucleari che, lentamente, si avvicinavano anche su quella ultima spiaggia, su quella ultima terra del mondo. Già negli anni Sessanta si sapeva che un conflitto nucleare non lascia tregua a nessuno. Figuriamoci se non dobbiamo aver noi, oggi, ben viva questa coscienza. Ecco che l'utopia torna ad avere poco spazio, pressata dall'angoscia della catastrofe... No, oggi noi ci battiamo per obiettivi che possiamo anche chiamare limitati, cioè bloccare la nuova spirale in atto degli armamenti. Ma diciamo che bisogna raggiungere tappe più avanzate: il congelamento, la progressiva riduzione fino al bando completo delle armi nucleari, di quelle biologiche, di quelle chimiche. Il disarmo totale può essere considerato una utopia? Io dico di no. Tecnicamente oggi è possibile controllare il disarmo, mentre nel passato non era così. Io dico che esso diventerà una necessità, non solo per sopravvivere, ma anche per risolvere i problemi dell'umanità a cominciare da quelli dello sviluppo. Certo oggi il mondo sembra andare in un'altra direzione, ma io credo che questa che è stata una tipica utopia del movimento socialista ritorna oggi di grande attualità.
Uno slogan che fa parte della cultura socialista e comunista parla del sol dell'avvenir. Da raggiungere, da conquistare, nel quale credere. In una civiltà in cui angoscia e segni di morte sembrano prevalere ha ancora senso questo slogan?
Intanto c'è un paradosso: sul sole dell'avvenire oggi discutono più gli scienziati che i comunisti: infatti uno degli orizzonti più ricchi che si può aprire per l'uomo nasce proprio dalle possibilità di una piena utilizzazione dell'energia solare. Ecco un modo scientifico di rifarsi ancora all'idea del sol dell'avvenir! Ma tolto tutto quello che di utopistico, di millenaristico che pure nel passato questo slogan esprimeva, io credo che esso non vada affossato. Quali furono infatti gli obiettivi per cui è sorto il movimento per il socialismo? L'obiettivo del superamento di ogni forma di sfruttamento e di oppressione dell'uomo sull'uomo, di una classe sulle altre, di una razza sull'altra, del sesso maschile su quello femminile, di una nazione su altre nazioni. E poi: la pace fra i popoli, il progressivo avvicinamento tra governanti e governati, la fine di ogni discriminazione nell'accesso al sapere e alla cultura. Ebbene, se guardiamo alla realtà del mondo d'oggi chi potrebbe dire che questi obiettivi non sono più validi? Tante incrostazioni ideologiche (anche proprie del marxismo) noi le abbiamo superate. Ma i motivi, le ragioni profonde della nostra esistenza quelle no, quelle ci sono sempre e ci inducono ad una sempre più incisiva azione in Italia e nel mondo.
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