28.2.10

L'articolo della domenica. Primo marzo: lo sciopero annacquato.

La storia di copertina di “Left – Avvenimenti” è questa settimana dedicata al cosiddetto “sciopero dei migranti” ed ha un titolo da film del terrore: Tutti italiani. Se gli italiani fossero davvero come appaiono in questi tempi, la prospettiva è quella di una umanità subumana, tale da raggelare il sangue.

La presentazione che ogni sabato la redazione fa della rivista su Radio Radicale è stata ieri l’occasione di un confronto tra Stefania Ragusa, presidente del comitato primo marzo, uno dei soggetti promotori della giornata di lotta, e un sindacalista, Piero Soldini, che dirige l’ufficio Immigrati della Cgil nazionale. Il punto di divaricazione è lo ‘sciopero degli stranieri’. Ragusa spiega: “Non è affatto uno sciopero etnico, come dicono i sindacalisti che ne criticano la legittimità, ma una iniziativa meticcia fin dall’inizio. Stranieri non sono solo i migranti, ma anche tutti quegli italiani che vogliono mantenersi estranei a questo clima di razzismo, che a volte è perfino nelle leggi”.

Soldini mette i puntini sulle i: “Il problema nasce quando si parla di sciopero. Lo sciopero non lo fanno né i migranti né gli stranieri, ma i lavoratori, organizzati nelle categorie e nei territori, e lo indicono le loro organizzazioni sindacali. Non ci si poteva aspettare che, dopo che qualcun altro ha convocato uno ‘sciopero’, il sindacato dicesse ‘aderisco’. Anche perché i lavoratori migranti non sono cosa altra rispetto alla Cgil, sono carne della nostra carne". "I rapporti sono migliorati e il nostro impegno è stato forte e disinteressato - aggiunge - da quando l'idea dello sciopero è stata nei fatti accantonata”.

Finisce a tarallucci e vino. Ragusa: “Lo sciopero non è l’unica forma di lotta, la giornata del primo marzo si articola in mille altre iniziative. Non è la fine ma l’inizio”. Soldini: “Rappresenta una presa di coscienza. Noi ne siamo partecipi. Il 20 marzo daremo inizio ad una primavera antirazzista”.

Non c’è dubbio che l’esigenza prioritaria sia, in questo momento, la riuscita delle manifestazioni che cominciano oggi e proseguono domani; ma un po’ di chiarezza, fattuale e concettuale, aiuta a far meglio. La vaghezza, la reticenza, la fuga dai problemi prima o poi portano alla sconfitta.

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La proposta dello sciopero.

Cominciamo dai fatti. La proposta in Italia nasce nei cosiddetti “Stati generali dell’immigrazione” una manifestazione milanese organizzata dalla Fondazione Etnoland. La portano avanti alcuni gruppi di immigrati sulla scia di una analoga iniziativa francese; la sostiene e la rilancia con forza, in quella sede, Emma Bonino.

Lo slogan che l’accompagna è “24 ore senza di noi”. L’obiettivo indicato è quello di sensibilizzare la popolazione indigena, ma non già mettendo in luce i problemi umani e sociali dei migranti, peraltro piuttosto conosciuti, ma mostrando quanto pesano nella vita economica e sociale.

Gli interventi, infatti, si riferivano esplicitamente alle conseguenze che lo sciopero avrebbe avuto sui servizi pubblici, sulla pulizia e manutenzione di città, scuole e ospedali, edifici pubblici e uffici, sull’assistenza agli anziani (spesso fornita dalle cosiddette badanti), su alcuni pezzi della filiera agro-alimentare, sul funzionamento dei grandi mercati, sull’edilizia, su bar, alberghi e ristoranti, sulle attività industriali del Nord e del Centro.

La lotta era intenzionalmente “meticcia” perché a molte etnie, culture, religioni, razze, nazioni etc. riconducono le moltitudini emigranti; ma poneva assolutamente in secondo piano la partecipazione degli italiani, dei nativi. Ai lavoratori indigeni come al mondo associativo democratico e antirazzista si chiedeva certamente solidarietà, ma si voleva che la forza portante del movimento fossero gli stranieri. E intesi nell’accezione più ovvia e comune, cioè come “non italiani”, non come “estranei alle logiche razziste oggi prevalenti in Italia”, come arzigogola Ragusa.

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Autonomia e solidarietà

La prova di forza, perché di questo e non di altro si trattava, è stata per il momento rinviata.

Gli ideatori hanno ripiegato su una articolata giornata di lotta, da svolgersi in molte forme, in condominio con gl'italiani equi e solidali. E’ meglio che niente e può essere un inizio.

Dubito che gli ideatori dello sciopero (sì, proprio dello sciopero) pensassero alla giornata di domani come all’inizio di una presa di coscienza degli italiani, secondo la tesi di Ragusa; sperano piuttosto – alcune dichiarazioni autorizzano a pensarlo - che la loro presenza numerosa aiuti gli immigrati a superare la paura e ne stimoli paradossalmente l'autonomia.

Autonomia rispetto a chi? In primo luogo rispetto ai capi generalmente mafiosetti delle loro “comunità”, ma anche rispetto al paternalismo, al pietismo verso i “meschinelli”, alla carità pelosa di tanti indigeni umani e cristiani.

Filippo Turati, il fondatore del socialismo riformistico in Italia, nel celeberrimo inno dei lavoratori scrisse “il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà”. Era il principio cardine del movimento operaio in tutta Europa e nelle Americhe: i diritti dei lavoratori non sarebbero stati mai elargiti dalle classi dominanti, né ottenuti per effetto della solidarietà di intellettuali, preti, borghesi illuminati, ma frutto di una autonoma presa di coscienza e di una lotta. Vale oggi lo stesso per gli immigrati.

Resta una domanda. Era scritto fin dall’inizio? La diluizione dello sciopero in una - tutto sommato innocua – giornata di mobilitazione era inevitabile, dati gli attuali rapporti di forza? Io credo di no.

E’ mancato all'appuntamento un soggetto che avrebbe potuto cambiare radicalmente lo scenario e cioè la Cgil. Dico la Cgil, non genericamente il sindacato. L’Ugl e ormai anche la Cisl sono organizzazioni corporative, dichiarano senza vergogna di voler fare solo gli interessi dei loro iscritti, quasi tutti nativi; la Uil si muove a rimorchio del più forte ed oggi sembra più forte l’asse Cisl-governo.

La Cgil è diversa, vuole continuare a rappresentare tutti i lavoratori, inclusi gli stranieri, ne organizza una quota significativa, ne inserisce qualcuno nell’apparato a livello territoriale. Perché – come diceva con un tono di rimprovero la Ragusa a Soldini nella trasmissione su Radio Radicale – non ha raccolto la sollecitazione a indire formalmente lo sciopero, che veniva da settori della sua base?

Soldini non dà una risposta netta. Dice: "Abbiamo fatto ad ottobre una grande manifestazione, in passato qualche sciopero lo abbiamo anche fatto, oggi ne stiamo discutendo, ma sarà sciopero di tutti i lavoratori, non degli immigrati". Aggiunge: "Siamo una grande organizzazione, cinque milioni e settecentomilaiscritti; anche tra le nostre file non manca chi pensa che gli stranieri tolgano il lavoro e vorrebbe che tornassero a casa loro. Bisogna discutere e convincere".

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Cgil: un'occasione mancata

Insomma nelle parole di Soldini, la confederazione di Epifani, più che stizzita per la convocazione improvvida di uno sciopero che sembrava scavalcarla, appare impaurita, tentata dalla cislizzazione. Io credo invece che avrebbe potuto fare un’altra e più vantaggiosa scelta: assumersi la responsabilità dello sciopero degl’immigrati e caso mai aggiungervi una iniziativa di solidarietà degli indigeni (diciamo un’ora di astensione dal lavoro), pur scontando qualche inevitabile defezione. La piattaforma sindacale è squadernata nei fatti. Come obiettivi si possono indicare una legge non vessatoria sulla cittadinanza; la consegna entro tre mesi, con un impegno straordinario di risorse, del permesso di soggiorno a quelli che hanno fatto domanda e ne hanno diritto; l’assistenza sanitaria anche agl’irregolari; l’impegno delle forze dell’ordine contro le violenze razziste. Sono rivendicazioni che troverebbero qualche sponda perfino dentro questo governo di destra cattiva. Nessuno potrebbe sostenere con un minimo di giustificazione giuridica che gl’immigrati non hanno diritto a scioperare a fronte di queste elementari richieste e la Cgil potrebbe con orgoglio rivendicare di non essere rimasta insensibile di fronte al grido di dolore. Sarebbe anche una risposta all’onta di Rosarno (sulla vicenda don Ciotti ha detto a Terni: “dov’era il sindacato prima, durante e dopo?”).

Per queste ragioni io credo che lo sciopero degli stranieri sia una grande occasione sprecata. Forse non ne mancherà qualche altra, ma saranno le ultime concesse alla Cgil per una scelta diversa e coraggiosa. E' indispensabile che nei prossimi congressi qualche mozione, qualche dirigente importante, qualche categoria che conta, metta i piedi nel piatto e imponga senza timidezze una discussione sui problemi che questa vicenda suscita.

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