Sul proprio sito la società Niagara che si occupa dello smaltimento di rifiuti industriali ha dato notizia di una vicenda non proprio edificante, relativa ai Carabinieri del Noe di Bologna. Tutti gli elementi possono desumersi dalla lettera che il suo titolare, Matteo Carrara, ha inviato alla Confindustria nazionale e, per conoscenza, alle Associazioni degli industriali della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Ferrara. Eccola.
Confindustria Sede
00144 Roma (RM) - Viale Dell' Astronomia, 30
C.A. Presidente Nazionale Confindustria Dott.sa Emma Marcegaglia
Confindustria Emilia-Romagna
40123 Bologna (BO) - V. Barberia, 13
C.A. Dott.sa Anna Maria Artoni
Confindustria Unindustria Ferrara
44121 Ferrara (FE) - Via Montebello, 33
C.A. Dott. Piero Puglioli
Gent.ma Presidente Nazionale Confindustria Emma Marcegaglia
Mi chiamo Mauro Carretta e sono presidente del Consiglio di Amministrazione della società Niagara s.r.l. con sede in Poggiorenatico di Ferrara.
La mia azienda, insediata sul territorio dal 1997, occupa 30 dipendenti e gestisce un impianto di smaltimento di rifiuti industriali con attività certificata secondo le norme UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001 e OHSAS 18001.
Gli impianti aziendali sono annoverati tra le BAT – migliori tecniche applicabili - e sono continuo oggetto di studio da parte di numerose università europee. La mia azienda è un punto di riferimento per smaltimento di rifiuti e bonifiche ambientali.
Orbene, carissima Presidente, noi siamo iscritti all’Unione Industriali di Ferrara e siamo fieri di continuare ad esserlo perché non abbiamo pagato il pizzo.
Condividiamo in pieno la questione morale da lei sollevata sull’indegnità del pagamento del cosiddetto pizzo da parte di coloro che perciò solo dovrebbero essere espulsi dall’associazione.
Noi ci siamo rifiutati di pagarlo, anche se questo ci è stato chiesto da uomini in divisa, sottufficiali del Noe di Bologna, durante un’indagine che essi conducevano contro di noi, in concorso con Marco Varsallona, consigliere delegato all’Ambiente di Confindustria a Bologna.
Avremmo dovuto pagare dai 20 ai 40 mila euro per ammorbidire l’inchiesta e non finire in galera per reati che riteniamo fermamente di non aver commesso. Ci è stato detto che avremmo dovuto poi pagare per “avere la pace” riguardo ai controlli del Noe. Li abbiamo denunciati più di un anno fa.
Sono stati informati della nostra denuncia dall’Arpa di Ferrara e da allora si sono ripromessi di “massacrarci”. Numerosi clienti ci hanno detto che non potevano più venire da noi perché ciò gli era stato detto dai Noe di Bologna: li abbiamo persi.
I due sottufficiali del Noe sono stati indagati e intercettati dalla Procura di Ferrara grazie a un’inchiesta condotta dai Carabinieri di Ferrara in modo assolutamente imparziale, sereno e – ritengo – esemplare a tutela della stessa Dignità dell’Arma ed a suo Onore.
Cara Presidente, lo stesso comandante dei Noe di Bologna, interrogato in Procura, si è dichiarato impossibilitato a spiegare i comportamenti dei due sottufficiali, così come emergevano dagli atti di inchiesta e dalle conversazioni intercettate. Non solo, ma colleghi dello stesso ufficio del Noe di Bologna hanno partecipato alle attività difensive degli avvocati dei due concussori indagati (uno degli avvocati è fra l’altro la moglie di uno di essi), al solo fine di screditare l’immagine mia e dei miei collaboratori che avevano denunciato i loro colleghi indagati. Essi hanno parlato dell’inchiesta contro di noi, che nulla c’entrava, e non di quella ben più grave contro i loro colleghi.
Noi dell’inchiesta contro di noi non sappiamo ancora nulla, in quanto nulla di specifico ci è stato ancora contestato. La Procura di Ferrara, viceversa, ha chiuso le indagini nell’inchiesta contro i due sottufficiali del Noe ritenendola fondata e trasmettendo poi gli atti per competenza alla Procura di Bologna.
Orbene Presidente, a tutt’oggi i due sottufficiali che ci hanno chiesto il pizzo e da noi denunciati, nonostante lo sconcerto del loro comandante espresso davanti al Pm di fronte a intercettazioni telefoniche e ambientali da definirsi eufemisticamente imbarazzanti per il loro contenuto inequivocabile, continuano a rimanere in servizio insieme ai loro colleghi, liberi di operare sul territorio e di fare indagini nei nostri confronti.
Ora mi perdoni, ma le vorrei chiedere se ritiene che tutto ciò sia giusto e compatibile con uno stato di diritto, e con la trasparenza e l’imparzialità che si devono sempre richiedere ed esigere dai pubblici uffici.
E le chiedo: ma se il pizzo viene chiesto da persone in divisa, che cosa deve fare l’imprenditore industriale secondo lei?
Forse è meglio essere espulsi da Confindustria per preservare la propria azienda?
Noi – può starne certa – ci assumeremo tutte le nostre eventuali responsabilità, anche perché non possiamo di certo fare diversamente. Marco Varsallona si è dimesso dalla sua carica in Confindustria di Bologna.
Ma le sembra giusto, invece, che il solo fatto di portare una divisa consenta ai due sottufficiali che ci hanno chiesto il pizzo di far finta di niente e di continuare a “massacrarci” come si sono ripromessi più volte di fare nelle conversazioni intercettate?
Con grande stima e rispetto.
Suo Mauro Carretta
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La vicenda è tipica di un paese e di un tempo sbandato, in cui non si sa mai chi siano i buoni e i cattivi e non le daremmo, nel dubbio, importanza se non per la stranezza dei due carabinieri fondatamente accusati di corruzione che rimangono nello stesso posto e nella stessa funzione, con la possibilità di inquinare le prove e condizionare i testi. Ma come meravigliarsi? Questo è un paese in cui accadono cose assai più gravi.
Il Capo del governo ha sul capo una gravissima accusa processuale, quella di aver corrotto i giudici. Cosa fa? Chiede con forza (e al limite promuove allo scopo una legge speciale) di essere processato e giudicato in una settimana, in un dibattimento ultrapubblico, togliendosi così dal capo una accusa infamante, che fortemente ne offusca l’immagine internazionale e l’azione di governo? No! Utilizza tutti i cavilli e tutte le scuse per allungare e ritardare i processi per anni e anni e fa proporre ai propri ministri leggi per immunizzarlo. E poi i condannati per mafia che fanno i senatori, gl’indagati da arrestare che fanno i sottosegretari eccetera eccetera.
Non ci meravigliamo pertanto e usiamo questo spazio per proporre una questione diversa, filologica. Il signor Ferrara assimila la denunciata richiesta dei due carabinieri al “pizzo” mafioso e ad alta voce proclama che denunciarli non era solo un obbligo civile e morale, ma anche associativo, visto che la sua associazione, la Confindustria, sta facendo una battaglia contro il pizzo e minaccia l’espulsione immediata di ogni imprenditore che lo paghi. E’ lecita questa assimilazione? Si può chiamare “pizzo” il denaro estorto da un “concussore”?
Un chiarimento è preliminare. Perché il “pizzo” si chiama così. Una risposta convincente l’abbiamo trovata in una bella storia della mafia siciliana di uno studioso inglese, John Dickie, tradotta in italiano e pubblicata da Laterza con il titolo Cosa Nostra. Vi si legge che la parola “pizzo” aveva fino al 1857 il valore nettamente prevalente di “becco” d’uccello (è l’unica accezione registrata nel dizionario del Biundi del 1857). Il Traina, che pubblica il suo vocabolario nel 1868, indica invece come significato anche il ricavato di un’estorsione. Dickie è certo: si tratta di una metafora di origine carceraria e la sua diffusione, nel decennio considerato, è dovuta a un testo di teatro dialettale di grande successo nella Sicilia tardoborbonica e protosavoiarda, Li mafiusi di la Vicaria, lo stesso a cui si deve l’affermarsi della parola “mafioso” nel senso attuale. Da pizzu (becco) viene il verbo pizzuliari (beccare) e l’espressione vagnarisi lu pizzu (bagnarsi il becco). Le prime associazioni a delinquere di stampo mafioso chiedevano ai proprietari dei terreni, come atto di solidarietà, di non papparsi da soli tutto il raccolto e di non riservare a se stessi tutta l’acqua dei pozzi, di permettere agli uccellini di beccare qualche chicco e di non morire di sete. Questa origine, a mio avviso, autorizza la scelta linguistica dell’imprenditore ferrarese. Ammesso e non concesso che l’accusa sia veridica, i carabinieri proponevano una sorta di “magna tu che magno anch’io”, per cui “pizzo” va benissimo.
P.S. In Sicilia, proprio dalle mie parti un notabile ha avuto il figliolo condannato per concorso con associazione mafiosa in primo ed in secondo grado. Le accuse riguarderebbero appalti e tangenti. Il padre è convinto della assoluta innocenza del figliolo, vittima di ingiuste accuse. Non so se abbia ragione, ma pare che parli di lui come di un “uccellino in gabbia”. Io gli suggerirei di usare un’altra metafora.
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