4.2.10

Innocenza. Un ricordo-racconto dell'infanzia.

Questo ricordo-racconto dell'infanzia, se non ricordo male, l'ho scritto nel 1978. E' inedito.


Innocenza

E’ trubbu, nella parlata girgentana, la creta d’argilla e il vocabolo si lega a trubbulu, torbido. Era, il trubbu, un nostro innocente gioco infantile e aveva certamente un fondo torbido. Torbida è l’innocenza.

Trubbu, poi, ricorda tubbu, tubo, e un tubo c’era nel nostro gioco; non si toccava e non si vedeva, neppure la nostra fervida immaginazione riusciva a collocarlo in un luogo preciso, e tuttavia c’era, nella sua ambigua simbologia erotica. Il tubo è rigido, lungo, ben tornito, ma è anche cavo, profondo, oscuro. Non a caso il gioco si svolgeva la domenica mattina nel letto di mamma.

Penetravamo nell’incavo delle coperte e, ficcati lì sotto, con pazienza si scavava fino a squarciare i rimbocchi da ogni lato e a farne scomparire le tracce. Poi, sepolti in quella cavernosa montagna di coltri e lenzuola, lungo le linee diagonali del letto ci scontravamo e ci scornavamo, fino a farci male. Una volta, nella foga della battaglia, capitò un incidente: Vittorio batté la fronte sullo spigolo della trabacca e dovettero dargli tre punti di sutura; io finii con la testa dentro l’orinale pieno. A lui rimase il vanto dello sfregio, a me tutto il disonore.

Dopo la colazione, non so per quali vie, il gioco si trasferiva sul pianerottolo della scala. C’era come una feritoia lunga e stretta, senza vetri, solo due barre di ferro verticali. Da lì si scorgeva una porzione di strada, si vedeva passare la gente, qualche lambretta, rarissime automobili. Ogni tanto arrivava il pallone di un mio cugino, che giocava nello spiazzo vicino, si sentivano le grida e gli armeggi di Senzaligna che, tutti i giorni, sabato, domenica e feste comandate, aggiustava biciclette. Quasi a voler ampliare la nostra visuale, vorrei dire il nostro possesso, talvolta con arnesi appropriati, un martello, più spesso con qualsiasi oggetto pesante che ci capitasse tra le mani, sasso, tenaglia, batticarne, demolivamo pezzetti di muro e allargavamo la feritoia. C’era tutto in quel gioco: l’amore e la guerra, la gara e il lavoro, il letto e il mondo.

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