“Ttaccaru l’architettu!”. Potremmo cominciare proprio da qui, da una immaginaria ma verosimile esclamazione popolare, magari contornata di stupore, dopo l’arresto dell’architetto Giuseppe Liga, ritenuto dagli investigatori il successore dei boss palermitani Lo Piccolo. Uno tutt’altro che «insospettabile», come il sensazionalismo giornalistico l’ha definito, visto che Liga era già finito nel processo Iron Tower ma ne era uscito assolto. Ma l’arresto di Liga dice altro, un “altro” che era già intuibile e, in parte, traspariva da precedenti inchieste. L’arresto di Liga dice che Cosa Nostra è tornata al passato, all’Ottocento, a quando i capimafia era i patroni, proprietari terrieri, nobili e borghesi, che si attorniavano di delinquenti per difendere i propri possedimenti. Roba due secoli fa da Franchetti e Sonnino con l’inevitabile adeguamento dettato dal progresso. La parentesi Corleonese si è chiusa definitivamente, i viddani sono tutti in galera a mugugnare sulle «promesse non mantenute» e a meditare improbabili vendette, e i patroni hanno ripreso le leve del potere. La ricreazione è finita. La rivoluzione è finita. Lo so, può sembrare blasfemo, ma quella dei Corleonesi di Liggio, Riina, Bagarella e Provenzano, al di là di mattanze e stravolgimento delle regole, è stata una vera e propria rivoluzione in seno a Cosa Nostra: gli ultimi, i più ignoranti, i più rozzi, si sono affrancati dal giogo dei padroni e degli aristocratici, li hanno spazzati via e si sono illusi di poterne prendere il posto. È durata grossomodo un quarto di secolo. Ma è finita. Si torna all’antico. Il capomafia è di nuovo il dottore Navarra, il proprietario terriero Greco, l’avvocato Bontate, il costruttore Spatola, il principe Tasca. E Palermo torna a essere la Capitale, non una qualsiasi succursale di Corleone. Questo ci dice l’arresto di Liga, come in precedenza questo ci aveva lasciato intendere l’arresto del dottor Giuseppe Guttadauro, medico e amico di Cuffaro. Quella storia, quella di Cuffaro e compagnia mafiante, a suo tempo fu letta solo in relazione al rapporto mafia-sanità-politica, ma già conteneva tutti gli elementi del cambiamento in atto: il capomafia non era un delinquente di passo, era un medico. Come medico e deputato era Giovanni Mercadante, di recente condannato a dieci anni di carcere per mafia. Prendiamone atto: i Santapaola, i Riina, i Provenzano, gli Aglieri, i Virga e i loro accoliti non ci sono più, sono tutti in galera, col loro carico di ergastoli e di segreti. Il bastone del comando è tornato ai “legittimi” proprietari, le nueve strategie e gli affari si decidono di nuovo nei salotti buoni della città, nei circoli esclusivi, nelle logge massoniche, mentre fuori si continua a chiacchierare del “nuovo capo”, di Matteo Messina Denaro, l’ultimo grande latitante, icona di ciò che la mafia non è più ma che ci illudiamo sia ancora. Che vogliono farci credere sia ancora. Ché ormai siamo abituati alle grandi latitanze dei capi (30, 40 anni…) e, dunque, l’ultimo grande latitante è “naturalmente” il nuovo capo, il successore di Provenzano. E quando l’evidenza ci dice che così non è che tutto è cambiato, giù con gli «insospettabili» al di sotto di ogni sospetto, ché i mafiosi sono pecorai mica medici, imprenditori, professionisti e politici. Loro sono «insospettabili».
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Nota 1. Borghesia mafiosa e organizzazioni criminali.
Chi conosce un po' di storia sa che la lettura proposta da Gulisano è più che verosimile. Tuttavia occorre un po' di chiarezza sui termini. "Cosa nostra" è l'organizzazione criminale nettamente dominante in Sicilia con ramificazioni in varie parti del mondo, ma la "mafia" non si riduce alle organizzazioni criminali. E' piuttosto, secondo la definizione di Mario Mineo, "la forma specifica in cui si è generata e strutturata la borghesia siciliana come classe economica intermediaria e parassitaria". Insomma "mafiosa" era (e, secondo me, rimane) la parte trainante, quella più ricca e spregiudicata, della borghesia siciliana, anche quando non aveva una connessione diretta con le organizzazioni criminali. Fino ai primi anni 60 chiunque lo volesse conosceva i nomi dei "pezzi da novanta", dei capi della mafia del feudo: Genco Russo, Calò Vizzini, Diego Gioia; ma molti, e a ragione, sospettavano che la "testa del serpente" stesse altrove e qualcuno credette perfino di localizzarla nei salotti palermitani frequentati dall'avvocato Vito Guarrasi. L'egemonia dei "corleonesi", e più in generale dell'elemento "militare", all'interno di un sistema che rimaneva nel suo complesso "mafioso" è legata all'enorme flusso di denaro proveniente dai traffici di droga. Oggi il bastone del comando sembra tornare in mano a professionisti, imprenditori, grandi famiglie ed è all'interno di questi ceti che emergono i nuovi "capi" della stessa "Cosa nostra", della stessa mafia militare.
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Nota 2. E' lui o non è lui?
Ho la sgradevole impressione di aver conosciuto Giuseppe Liga e di aver avuto con lui qualche momento di vicinanza. Nell'occupazione del 69, a Lettere, fece per qualche tempo parte del mio stesso "Comitato d'agitazione" un Giuseppe Liga, detto Beppe, di uno o due anni più giovane di me (oggi avrebbe 59 o 60 anni, gli stessi del famigerato architetto). Si era allontanato dalla Lega Studenti Rivoluzionari di Corradino Mineo, perchè intimidito dall'aggressività delle giovani trotzkiste, le più emancipate ragazze del tempo. Una (credo Iunia De Mauro) gli aveva detto "ti mangerei i coglioni". Scriveva molto bene ed era assai curioso di cose politiche: mandava qualche pezzetto al "Giornale di Sicilia", che, senza pagarlo, glielo pubblicava. Sulle grandi questioni ideologiche che ci agitavano (la rivoluzione, il maoismo etc.) raramente prendeva posizione, ma esprimeva un indirizzo ecumenicamente antiautoritario. L'anno dopo cambiò facoltà e più nulla ne seppi. Ora leggo di questo architetto palermitano, colto e appassionato di politica, e mi dico "e lui o non è lui?". Ho cercato nella rete una sua immagine, ma non l'ho trovata. Evidentemente i magistrati e la polizia, quando fanno arrestare gli esponenti della "borghesia mafiosa", non convocano gli operatori e i fotografi. Spero che qualche visitatore del blog possa soddisfare questa mia curiosità. Una conferma dei miei sospetti non aggiungerebbe granchè al mio disincanto: di sessantottini che hanno fatto una brutta fine ce n'è a migliaia. E tuttavia che il ragazzo che allora conobbi sia oggi alla testa di "Cosa Nostra" è una cosa che mi disturba. Perciò spero che non sia vera.
3 commenti:
Ne trovi una, quale copertina del video proposto dal corriere nel link che riporto alla fine del mio commento.
Certo, sarà leggermente imbolsito rispetto ai tempi del "Comitato d'agitazione"...
Bè, fammi sapere se è lui :)
Ciao
Gian Luca
http://www.corriere.it/cronache/10_marzo_22/palermo-mafia-arresto-liga_8df61936-3589-11df-bb49-00144f02aabe.shtml
Grazie Gian Luca. Ho visto la foto, ma non scioglie i miei dubbi. L'immagine non ha niente di preciso che si ricolleghi al mio ricordo, ma neanche che escluda il collegamento. Forse ho trovato chi potrebbe sapere e dirmi. Ciao
Salve, mi chiamo Sebastiano Gulisano e vorrei fare un piccola precisazione a proposito del cappelletto introduttivo al mio articolo ripreso da "u cuntu": non ero "con Pippo Fava", sono fra coloro che si sono aggiunti alla redazione de "I Siciliani" dopo l'omicidio del Direttore.
Grazie,
Sebastiano Gulisano
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