Sulle politiche verso la criminalità organizzata questo governo sembra soffrire di schizofrenia. Per rendersene conto basta mettere in fila fatti, progetti ed esternazioni.
Primo. Una delle misure finanziarie presentate come anticrisi, il cosiddetto scudo fiscale, è stato un regalo che ha beneficato tutti i detentori all’estero di capitali sottratti a ogni controllo fiscale. Sono tutti, nessuno escluso, frutti di attività delinquenziali, fatture in nero, lavoro nero, tangenti in nero, truffe ed evasioni fiscali. Ma in questo “cuore nero d’Italia”, che Tremonti ha candeggiato con la garanzia dell’anonimato e con una tassazione ridicola (il cinque per cento), uno spazio consistente è occupato dalle ramificazioni delle mafie.
Secondo. La legge in discussione sulle intercettazioni, anche quando ne siano cancellati alcuni particolari aberranti, è comunque una misura che rende più difficili le indagini verso quei comparti delle organizzazioni criminali che si occupano più di finanze, investimenti e riciclaggi che non di traffici o di pizzi e quasi impossibili verso quegli “esterni” (finanzieri, politicanti, imprenditori) per i quali gli affari in comunella con le mafie non puzzano.
Terzo. La misura che rende vendibili all’asta i beni confiscati ai criminali, sottraendoli all’uso sociale e civico previsto dalle leggi ispirate dal movimento antimafia, pur essendo stata fermata nei suoi aspetti più perversi per l’anno 2010, resta in campo come una spada di Damocle. La possibilità che una parte di tali ricchezze rientrino nell’orbita delle organizzazioni criminali, anche grazie alle protezioni previste dallo scudo, resta abbastanza alta.
Quarto. La campagna elettorale della primavera scorsa della destra in alcune regioni centro-meridionali è stata preceduta e accompagnata da alcune scelte in cui poteva leggersi un qualche ammiccamento verso le zone grigie del milieu mafioso, come il mancato scioglimento del Consiglio comunale di Fondi o come certe ingombranti presente in liste di sostegno ai canditati presidenti della destra in Campania e in Calabria.
Quinto. Il Cavaliere capo del governo continua lasciarsi andare, di quando in quando, a stupefacenti ed esecrabili affermazioni pubbliche contro La Piovra o contro Saviano, colpevoli di infangare l’Italia denunciando le mafie e le loro connessioni con il potere economico e politico. Il male del nostro paese – stando alle sue parole – non sarebbero le mafie, ma il fatto che se ne parli.
Sesto ed ultimo. Non sono mancate neanche negli ultimi mesi le oramai caratteristiche azioni di delegittimazione delle indagini che tocchino o lambiscano il Cavaliere e i suoi più intimi amici (Dell’Utri e Schifani, per esempio).
A fronte e in contraddizione di tutto ciò sono state emanate alcune misure incisive di contrasto alla criminalità organizzata, in primo luogo quelle che rendono più facile la confisca di beni posseduti dai mafiosi e che estendono agli eredi la confiscabilità.
Sono poi sotto gli occhi di tutti i continui, sistematici arresti di boss, i sequestri e le confische di rilevanti patrimoni, l’intercettazione di carichi di droga. E’ vero che il clamore mediatico tende ad appiattire tutto ed a mettere sullo stesso piano operazioni che colpiscono i vertici e i classici, tradizionali “voli di stracci”. Ed è altrettanto vero che alcune iniziative della magistratura inquirente o delle forze dell’ordine, fatte col sistema “do’ coglio coglio” della retata, creano disorientamento quando, qualche giorno dopo, quelli che erano stati arrestati come pericolosi boss vengono scarcerati come integerrimi cittadini. Ma, fatte tutte le tare del caso, i successi nella lotta alla criminalità organizzata sono veri ed importanti; e le affermazioni di Maroni, di Alfano o dello stesso Berlusconi che attribuiscono a questo governo una sorta di record nella lotta alla mafia non sono del tutto infondate.
Schizofrenia dunque? No. Questa contraddizione, in realtà, esprime una scelta politica. Ne avevo scritto già nel settembre del 2009, in un articolo per il sito “Per Perugia e oltre” dal titolo La mafia perbene e le illusioni dei cinici: l’obbiettivo di tutto questo movimento è la separazione della “mafia perbene” dalla “mafia militare”. Il messaggio è diretto soprattutto a coloro che, pur non essendo negli organici delle associazioni criminali, hanno accumulato capitali e ricchezze in combutta con esse e a tutti i ricchi delinquenti in esse inseriti: rientrare nella legge o, almeno, fermarsi finché non sia esaurita la buriana. “Calati juncu ca passa la china” (“abbassati giunco ché passa la piena") recita un proverbio siculo un tempo caro ai mammasantissima. L’immoralità di questa politica non spaventa i governanti. Il berlusconismo ha diffuso a tutti i livelli una perversione etica per cui l’importante non è comportarsi bene ma farla franca. E’ la perversione che sovrintende a tutti i condoni, gli scudi e le sanatorie di questo governo. Ed è la stessa che spinge taluni farabutti che scodinzolano negli studi televisivi a scandalizzarsi, non per le mascalzonate dei potenti, ma per le intercettazioni che li colgono sul fatto.
So che codeste fortissime obiezioni etiche non riescono a scalfire la sicumera dei cinici. Ci sono quelli che pensano che, alla fin fine, se i capitali con lo scudo e i mafiosi senza coppola si ripuliscono e rientrano nella legalità è meglio per anche per gli onesti. Ma in questo modo il nostro paese resterebbe per sempre l’invivibile giungla che già oggi mostra di essere.
Siffatte valutazioni, oltre che distruttive della convivenza civile, sono illusorie e velleitarie. In primo luogo perché rimuovono i prevedibili micidiali contraccolpi; in secondo luogo, perché, finché il pozzo dei denari provenienti dalla droga illegale non si sia esaurito, la potenza finanziaria delle mafie eserciterà un’attrattiva e una tentazione irresistibile per politicanti e affaristi. E l’attrazione dell’illegalità è anche più forte in chi l’ha già fatta franca.
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