Il dibattito postelettorale nel Pd, alfine pervenuto nella deputata sede della direzione, non presenta sorprese di rilievo. Il D’Alema che accredita Fini come potenziale alleato e il Franceschini che gli dice “ma va!” più che prevedibili erano scontati. L’unica autentica novità sta nell’aggettivo “repubblicano”, usato come attributo di “convergenze” o di “unità”. E’ stato adoperato anche da D’Alema, ma è divenuto linea politica nelle parole del segretario Bersani, riconfermato ma non necessariamente rafforzato. L’avversario contro cui costruire convergenze, o addirittura unità, appunto republicane, è designato come "populismo", termine con cui probabilmente si designa il nucleo forte dell’attuale maggioranza di governo, l’asse Berlusconi-Lega.
Giova a questo punto rammentare l’origine francese dell'accezione. Lo spirito “repubblicano” e l’unità repubblicana venivano invocati oltralpe contro la destra estrema, contro i fautori di una restaurazione “monarchico-clericale” che ribaltasse le conquiste ritenute universali dell’89: l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la laicità dello Stato, la fine di ogni privilegio feudale o corporativo. Vi si connette il “patriottismo repubblicano”, quello che è invocato già nella Marsigliese, ove il nemico non è solo o soprattutto lo straniero, ma la “tirannide”, con i suoi sanguinanti stendardi.
Nella tradizione politica francese c’è una espressione in qualche modo speculare al patriottismo repubblicano ed è l’union sacrée, l’unione sacra o, se si preferisce, consacrata. Essa coinvolge l’intera “nazione”, incluse tutte le forze tradizionalistiche, la feudalità, la gerarchia cattolica, le corporazioni.
Tra patriottismo repubblicano ed unione consacrata è possibile peraltro individuare i momenti fondamentali dello scontro. Segna una vittoria dell’union la fine sanguinosa della Comune di Parigi che non a caso ha come suo simbolo la costruzione dell’orrenda basilica del Sacro Cuore in cima alla collina di Montmartre, che era stato il cuore pulsante della rivolta comunarda.
Lo scontro tra le due “France” percorre poi la Terza repubblica, raggiungendo l’acme al tempo dell’affaire Dreyfus e rivelando una componente razzistica antisemita con una base culturale più cattolica che scientista. L’odio contro gli Ebrei che intride di sé l’Action francaise ed altri movimenti di destra è diretto assai più contro il popolo “deicida”, che non verso una razza ritenuta geneticamente inferiore. Ma nel 1914, all'inizio della guerra mondiale, non mancano socialisti che si schierano per l'unità nazionale.
Infine è la Seconda guerra mondiale a determinare gli schieramenti: dopo l’invasione da parte delle armate hitleriane, i “consacrati”, tradizionalisti e antisemiti, si stringono attorno a Pétain e alla sua repubblica di Vichy ed accettano come “male minore” la sudditanza allo straniero. Ma c’è, proprio allora, un pezzo importante di destra che sceglie la fedeltà alla repubblica e ai suoi valori fondanti, una destra che si identifica in De Gaulle, nei suoi bellissimi discorsi da “radio Londra”, che sanno alatamente comporre una doppia fedeltà: alla gloria e alla grandezza della Francia e allo spirito repubblicano.
In Francia il declino della destra clericale e vandeana, nonostante l’effimero successo dell’Oas, sembra compiuto con l’avvento della Quinta repubblica, quella presidenziale originariamente contrassegnata dalla complessa figura del generale De Gaulle.
C’è un contenuto universalistico nel patriottismo repubblicano francese, quello che spinge ad identificare la tradizione e la gloria della Francia con la proposizione di diritti universali. Ne viene fuori una sorta di paradosso, un curioso “nazionalismo” che si gloria di concedere asilo e rifugio agli emigrati e rifugiati politici di mezzo mondo.
Questa lunga digressione mi serve a notare che forse quel “repubblicano” usato da Bersani è assai più preciso e pregnante di quanto lo stesso segretario Pd non creda. L’orizzonte dell’attuale destra di governo è, nel mondo che si prospetta dopo la fine ingloriosa dell’esperimento comunista del ventesimo secolo, regressivo e reazionario come quello della tradizionale destra francese. Ne eredita alcuni ingredienti fondamentali: un sovrano libertino e un’aristocrazia di pubblici peccatori tuttavia benedetti da Cardinali e vescovi, un curioso miscuglio fra centralismo e federalismo vernacolare. Chi ne è stato e ne è l’ideologo è Tremonti, che nel libro sul coraggio e sulla paura propone quella che fu l’ideologia dell’Action francais di Maurras, “Dio, patria e famiglia”, contro lo straniero, contro il laicismo e il cosmopolitismo, contro l’illuminismo e il relativismo. La potenza seduttiva di questa miscela ideologica è grande, ma non determinante: le stesse elezioni ci presentano un popolo italiano più confuso che persuaso. E tuttavia lo strumento del governo e il monopolio dei mezzi di comunicazione favoriscono una svolta reazionaria ancora più marcata. Chiamare a raccolta i “repubblicani” di sinistra, di centro e di destra, non escluso lo stesso Fini (che sembra proporsi come rappresentante di una destra insieme nazionale, autoritaria e liberale, alla De Gaulle), è una scelta giustificata. Ma essa presupporrebbe un giudizio assai più netto, da parte del Pd di Bersani, sul governo di centrodestra e la fine dell’alternarsi tra dure requisitorie e proposte di dialogo. Io penso che il Pd non debba rinunciare a iniziative parlamentari sulle riforme istituzionali (sulla giustizia o sui costi della politica, per esempio), anche per aprire crepe nel fronte avverso, ma bisognerebbe che Bersani dicesse, senza ambiguità, che con Berlusconi, Bossi e Tremonti, non ci sono dialoghi e intese possibili, bisognerebbe che si scontrasse senza paura con il capo degli inciucisti nel centrosinistra. Che non è D’Alema, ma Napolitano.
Nessun commento:
Posta un commento