8.4.10

L'Aquila ora è un sogno (di Anna Maria Giancarli)

Anna Maria Giancarli è poetessa di qualità, tra le più apprezzate d'Abbruzzo. Obbligata dal terremoto a lasciare la sua città ha scritto questa commovente testimonianza che ho tratto dal sito del Sindacato nazionale scrittori.

La lunga striscia azzurra di mare è davanti ai miei occhi increduli dopo mesi di esilio in una stanza 3x4 di un hotel di Pescara. L’albergo è a misura della mia/nostra condizione di sfollati anzi, con qualche ulteriore intervento distruttivo, i proprietari l’hanno reso perfettamente adeguato ad ospitare i terremotati aquilani.

Mi manca il verde delle mie montagne, la roccia bianca dei fianchi arditi del Gran Sasso, l’aria fresca, naturalmente condizionata, della mia città.

Mi manca L’Aquila.

Il terrore, alle 3 e 32 del 6 aprile 2009, è stato tale da costringerci ad uscire di casa e, poi, ad allontanarci dalla città come animali in fuga, in cerca di salvezza.

Non resisto in nessun luogo.

I luoghi dell’oggi sono quelli della costrizione, dell’adattamento, dello straniamento, della necessità di sopravvivere in questa lunga fase di dolore.

Dalla notte del 6 aprile siamo dei profughi allo sbando, degli esuli sulla propria terra.

Lo stato delle cose è questo.

Mancano case, manca il lavoro, mancano tutte le sedi che ospitavano enti ed associazioni culturali, prestigiosi nella nostra città, mancano tutte le sedi istituzionali, scolastiche, universitarie, commerciali, professionali, sanitarie, temporaneamente ripartite in containers, tensostrutture, tende e tendoni.

L’Aquila ora è un sogno, una realtà irreale nella sua dimensione di lontananza, di silenzio, di attesa.

Un città monumentale, con la sua ricchezza architettonica, artistica, sociale e culturale, ridotta a fantasma.

Capolavori che hanno attraversato i secoli sono stati sbriciolati dalla furia del mostro e dall’incuria dimostrata durante gli anni precedenti e, purtroppo, anche ora dalle istituzioni che avrebbero dovuto tutelarli.

Sale l’indignazione perché, chi doveva occuparsi della nostra incolumità, ci ha rassicurati mentendo; perché L’Aquila ed i suoi piccoli centri sono ancora invasi dalle macerie; perché non siamo stati coinvolti in nessun progetto di ricostruzione; perché manca il lavoro; perché la città è sigillata e militarizzata; perché è stato ulteriormente distrutto il nostro territorio ed il nostro paesaggio con la scelta – come tutto, calata dall’alto – di edificare le new towns; perché gli avvoltoi dell’illegalità, specie molto diffusa in Italia, volano sui nostri cieli, un tempo puliti; perché la nostra socialità, pesantemente colpita dal sisma, viene ostacolata con intenzione; perché nulla è chiaro circa le ingenti risorse finanziarie che occorrono per la cosiddetta “ricostruzione pesante”; perché nulla si sa della sbandierata “zona franca”, ancora inseguita, e della sospensione del pagamento delle tasse, dilazionate soltanto fino a giugno.

Questi sono i reali motivi per cui la mia vita, come quella di noi tutti, è sospesa in un limbo.

Una recente manifestazione della popolazione terremotata che vuole accelerare la concreta rinascita dell'Aquila.

Alle 3 e 32 del 6 aprile 2009 si è scavato, infatti, un abisso nella nostra interiorità, una frattura radicale e sono mutati tutti i nostri sensi, a volte iperattivi, a volte sopiti ed indifferenti.

Mi chiedo quali mutamenti ci saranno nel tessuto sociale e culturale del territorio dopo questo evento.

Durante questi mesi a L’Aquila sono venuti personaggi di livello internazionale, compresi i cosiddetti potenti della terra, riuniti nel G8 alla Guardia di Finanza, su idea geniale del cavaliere.

Sono approdati in città, si fa per dire, attori, registi, musicisti, cariche istituzionali e religiose, scienziati di chiara fama, questi ultimi a studiare le faglie ballerine, ma la scena l’ha costantemente tenuta il signor b che, come si suol dire, non s’è fatto mancare nulla: consiglio dei ministri, festeggiamenti di compleanno, vacanze, inaugurazioni, cerimonie, consegne, dichiarazioni, promesse, propagande, commozioni, esaltazioni, vittoria del “fare concreto” col progetto C.A.S.E.

Al cavaliere popolano, popolare, populista, non è parso vero di calcare la scena politica con un repertorio tanto vasto, che soltanto un terremoto può offrire.

Ma L’Aquila, in realtà, è uno scenario di solitudine, è una città svuotata, dove risuonano soltanto le voci delle numerose fontane, al contrario di quanto viene propagandato dalla prezzolata truppa mediatica di sostegno al governo.

L’Aquila, finalmente riconosciuta luogo di interesse mondiale, continua a perdere giorno per giorno il suo patrimonio artistico ed architettonico inestimabile, mentre sono ferme tutte le attività.

Le vere, imprescindibili sfide da affrontare sono queste.

E proprio in questa direzione, invece, non esiste un chiaro progetto che preveda i tempi, i modi, i finanziamenti per la ricostruzione.

Perciò c’è da stare in allerta, per cercare di porre i problemi in continuazione, anche se inascoltati, anche se fiaccati dalle continue difficoltà della vita concreta.

C’è da dire, ovviamente, che il nostro terremoto è inscritto in questo preciso contesto nazionale, storico, politico e sociale, estremamente compromesso e falso per cui, secondo la propaganda indiscutibile della “corte dei miracoli”, a L’Aquila è tutto a posto, tutto è stato risolto.

Questa idea è “strapassata” nel contesto nazionale, ben supportata da una informazione per lo più asservita.

Secondo questa logica, quindi, gli aquilani sono irriconoscenti e ingrati, a fronte di ciò che hanno avuto, come se non fosse stato un loro diritto essere soccorsi dopo una catastrofe di dimensioni storiche.

Finalmente gran parte della popolazione, dopo un naturale periodo di difficile ricostruzione interiore e materiale, ha iniziato a manifestare la volontà concreta di partecipare, togliendo con le proprie mani le macerie del centro, selezionandole e dimostrando che, in tal modo, saranno poche quelle da portar via.

Gli aquilani oggi vogliono quello che avevano, pretendono certezze e lottano per diventare di nuovo cittadini.

Senza città non lo sono più.

Questa è l’unica strada da percorrere.

A un anno dal terremoto le condizioni reali della città restano drammatiche.

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