Per la morte di Enzo
Mazzi, parroco contestatore dell'Isolotto di Firenze al tempo della
contestazione, il necrologio di Giovanni Gozzini, anche lui figura
del dissenso cattolico, famoso per la umanissima (e violatissima)
legge penitenziaria di cui fu primo firmatario negli anni 70, quando
era deputato indipendente di sinistra eletto nel Pci. C'è qualche
accento ottimistico, francamente eccessivo, sull'Italia di oggi, ma
nella ricostruzione della sessantottina ribellione nel cattolicesimo
italiano e dei suoi effetti non solo immediati mi pare affidabile. (S.L.L.)
Don Enzo Mazzi, estromesso dalla parrocchia dell'Isolotto celebra la Messa in piazza con molti dei parrocchiani (1969) |
Enzo Mazzi a Firenze vuol
dire Isolotto. Cioè un quartiere povero della città, storicamente
legato ai renaioli che tiravano su la sabbia (la “rena” in
toscano) dall’Arno: un mondo rimasto compatto di botteghe e
mestieri. A mandare don Mazzi in quel quartiere era stato il cardinal
Dalla Costa, lo stesso che nel 1938 aveva chiuso porte e finestre
dell’arcivescovado, in piazza del Duomo, quando Hitler aveva fatto
visita a Firenze.
Nel 1966 quello stesso
fiume che dava da mangiare, sommerse con le sue acque limacciose
l’Isolotto e tutta la città. Don Mazzi era il parroco e insieme
alla Casa del Popolo, ai democristiani e ai comunisti di allora, si
dette da fare per aiutare la gente rimasta senza casa e senza lavoro.
Niente di eccezionale: il pastore stava con le sue pecore, loro lo
riconoscevano e lui le ascoltava.
Nell’Italia di quegli
anni l’Isolotto di don Mazzi incarnava un’esperienza di comunità
di base (allora si chiamavano così) che cercava di praticare il
Vangelo senza preclusioni politiche e badando al sodo: solidarietà,
accoglienza, povertà condivisa. Dormire in cantina per far posto in
canonica a una famiglia di sfrattati. La messa si diceva in italiano
e non più in latino, come aveva indicato il Concilio Vaticano II. Il
prete smise di mostrare le spalle ai fedeli e si girò per sempre
verso di loro: quello che faceva, la liturgia, era affare di tutti,
non di un solo sacerdote.
Nel Sessantotto questo
modo di fare Chiesa si colorò un po’ più di politica. Contro la
guerra in Vietnam, contro la Democrazia Cristiana che non aveva
ricandidato La Pira, il sindaco che della pace aveva fatto la sua
bandiera. Il successore di Dalla Costa, Florit, ebbe paura di questo
andazzo. Una delle gocce che fece traboccare il vaso fu una lettera
di solidarietà inviata dall’Isolotto agli studenti di Parma che
avevano occupato la cattedrale in segno di protesta contro la Curia
che voleva costruirne una nuova, più grande e più ricca. Non ce
n’era bisogno, dicevano: Gesù l’unica volta che si era
arrabbiato davvero era contro i mercanti che occupavano il tempio.
Ricchezza e Chiesa non devono andare d’accordo.
Florit sospese don Mazzi
e mandò un nuovo parroco all’Isolotto. Ma alla sua prima messa si
presentarono in venti. Tutti gli altri andarono in piazza, dove don
Mazzi continuò a dire messa per tutta la comunità. Da allora in poi
quella separazione fisica continuò a rappresentare un diverso
cammino. La comunità di base dell’Isolotto (come tante altre in
Italia) continuò a praticare un Vangelo che significava stare in
maniera intransigente dalla parte degli ultimi. Il Vescovo, la
gerarchia seguì una strada diversa, più cauta, ma non rinunciò ad
esercitare il proprio potere: nel 1974 don Mazzi venne sospeso a
divinis. Non per questo il parroco «ufficioso» smise di essere il
pastore delle sue pecore: fino all’ultimo è stato punto di
riferimento non solo per le prese di posizioni pubbliche che facevano
rumore sui giornali (come quella a favore di papà Englaro) ma
soprattutto per un’azione concreta, silenziosa e quotidiana di
aiuto a chi aveva bisogno.
Potrà sembrare strano ma
se oggi la maggioranza dei cattolici italiani (il 53% secondo il
sondaggio di Mannheimer reso pubblico domenica scorsa) non rivuole la
Democrazia cristiana è anche per merito (o per colpa) di don Mazzi.
Gli ultimi due pontificati hanno lavorato molto per piallare le
comunità di base, per togliere legittimazione e visibilità a un
cattolicesimo eterodosso.
Ma come tante altre cose
del Sessantotto (si pensi a Steve Jobs che va in India prima di
mettersi a inventare il computer per tutti) quel cattolicesimo non ha
smesso di lavorare in profondità e di cambiare la testa degli
italiani.
Si può essere
molto religiosi senza per forza essere democristiani e senza per
forza pensarla politicamente alla stessa maniera.
Si può cercare di
vivere il Vangelo con coerenza senza per forza obbedire alle autorità
ecclesiali.
Si può, si deve,
pensare con la propria testa.
Ciò che nel 1968
sembrava eresia ora è senso comune.
Troppo spesso i politici
chiusi nelle loro stanze non si accorgono di come è cambiata
l’Italia. E ragionano (dato che sono in perenne carestia di idee
nuove) su come ricostituire una presenza cattolica nella vita
politica. Non sanno che decine di migliaia di cattolici prestano il
loro impegno nel volontariato (come don Mazzi) preferendolo a una
politica che (almeno per come viene fatta “professionalmente”, si
fa per dire, oggi in Italia) non li interessa e non li appassiona.
Quello che li appassionava (e li appassiona) di don Mazzi era che non
faceva politica per sé, per fare carriera o per arricchirsi. O per
difendere il posto di lavoro, come molti politici italiani attuali.
Ma semplicemente per stare dalla parte degli ultimi. Questo dice il
Vangelo. Altro che nuovo partito dei cattolici.
l’Unità, 24 ottobre
2011
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