Il dandismo umanistico di
Montale, il suo snobismo eccentrico e spaesato facevano dire a Longhi
che con lui «siamo sempre all'ombra di un albergo di lusso». In
realtà la parabola di Montale è quella di un «poeta niente affatto
fuori della storia e tutt'altro che privo di storia». In Storia
di Montale (Laterza 1986) Romano Luperini percorre le tappe di un
percorso poetico emblematico, radicato nel vissuto individuale oltre
che nella cultura e nella storia del Novecento. Il libro è una guida
all'opera in versi sostenuta da elementi storici e biografici, ma
anche una originale biografia ricavata dall'analisi delle raccolte
poetiche nell'ordine della successione cronologica.
Ossi di Seppia, Le
occasioni, La bufera e altro, Satura: attraversare
l'opera di Montale porta a rileggere il Novecento filtrato dalla
coscienza di un intellettuale che, alla ricerca di una identità, ne
segna i passaggi significativi, registrandoli nella costruzione
poetica. Dall'ambiente ligure di Monterosso e Genova alla Torino di
Gobetti, dalla Firenze di “Solaria” e “Letteratura” alla
Milano industriale del “Corriere della sera”, situazioni
esistenziali, suggestioni culturali, snodi storici significativi si
intersecano nell'opera di Montale imprimendosi nei temi, nello stile,
nelle forme, secondo una linea di progressiva riduzione tonale, che
scivola sempre più verso la prosa, segnando la crisi della
tradizione poetica simbolista e tardosimbolista.
Nella ricostruzione di
Luperini il cammino poetico di Montale è seguito nel faticoso
tentativo di armonizzare l'io individuale con il mondo della natura e
degli uomini: un cammino dall'alto al basso, dal sublime al «comico»,
guidato prima dalle figure di Clizia, donna angelo, poi di Volpe,
istinto a terra, quindi dell'anguilla, infine dalla tarma e da Mosca,
insetti minimi.
Gli Ossi di seppia,
pubblicati a Torino da Gobetti nel 1925, raccolgono i temi di una
giovinezza che cerca di riscattare un'avvertita inettitudine alla
vita pratica attraverso la poesia.
Già negli Ossi di
seppia, afferma Luperini, è evidente lo scontro tra le due
polarità dell'inno e dell'elegia, tra sacralità poetica e armonia
con il mondo, da un lato, esilio e rinuncia alla parola dall'altro.
Con Le occasioni, tra gli anni Trenta e Quaranta, siamo nel
periodo successivo al licenziamento dal Gabinetto Viesseux per il
mancato allineamento col regime. La frattura tra soggetto e oggetto
si risolve a favore del secondo: recupero di forme tradizionali,
innalzamento lessicale e stilistico, giustapposizione di «cose»,
che si affiancano senza nessi lungo una linea paratattica, secondo i
principi poetici del classicismo simbolista di Eliot.
Il momento fiorentino è
quello più aperto alla letteratura europea, in particolare a Valery
e a Eliot: l'unica alternativa alla incoerenza e alla discontinuità
del reale, in tempi in cui la «repubblica delle lettere» è
minacciata sembra essere nel richiamo della stilnovistica Clizia ad
un nuovo e solitario umanesimo. Alla seconda stagione poetica di
Montale Luperini attribuisce un significato diverso rispetto a quello
proposto da Contini, che, nelle Occasioni sottolinea la
solidità classica della forma e la positività tematica opponendole
all'«annullamento panico» e al frammentismo degli Ossi di
seppia.
Per Luperini i temi
dell'assenza, dell'attesa, della passività, nonostante le precarie
certezze offerte dalla cultura (significativo è Notizie
dall'Amiata a conclusione delle Occasioni) traducono un
umanesimo declinante, l'inevitabile straniamento del soggetto dalla
storia che lo assedia.
Con La bufera e altro
(1940-54) le interrelazioni tra vissuto e storia piegano forme e temi
poetici a esprimere l'angoscia e la speranza del dopoguerra contro le
vane chiusure dell'ermetismo e contro l'ottimismo neorealista.
Potenzialità figurale, rafforzamento realistico e rinnovamento
lessicale oppongono dantescamente dannazione e salvezza accrescendo
nell'urto il tasso di prosasticità. Nell'unico tortuoso periodo
dell'Anguilla si legge l'incerto cammino della poesia, che tenta di
recuperare uno spazio vitale in un mondo basso destituito di senso e
valore.
Con Satura, che
raccoglie testi degli anni Sessanta, fino agli ultimi Diari,
sembra chiudersi il cerchio di un itinerario poetico, contrassegnato
fin dall'inizio dalla ricerca di una identità poetica, risolta di
volta in volta con il dubbio, quindi con l'utopia della cultura e
l'isolamento elitario dello snob, infine con la negazione e la
cancellazione: «La mia musa ha lasciato da tempo un ripostiglio/ di
sartoria teatrale; ed era d'alto bordo/ chi di lei si vestiva. Un
giorno fu riempita/ di me e ne andò fiera....»
“il manifesto”,
ritaglio senza data, probabilmente 1986
Nessun commento:
Posta un commento