La «guerra del vino»
tra Italia e Francia non è un fatto nuovo del nostro tempo, ma
affonda le sue radici nel lontano passato. Più di duemila anni or
sono, infatti, i vini italiani venivano imbottigliati in migliaia di
anfore e trasportati per mezzo di navi da carico nella Francia
meridionale, dove era possibile venderli a caro prezzo e senza
concorrenza: questo è l'ultimo risultato di una serie di scoperte e
di studi degli archeologi subacquei dell'Istituto francese di
Archeologia mediterranea.
Le indagini da tempo in
atto sotto la direzione di Andre Tchernia e Patrice Pomey nella
località di Mandrague de Giens, presso Tolone, hanno consentito di
individuare i resti di una nave da carico romana, naufragata con
tutto quanto trasportava intorno al 70-60 a.C. Questa data è resa
certa dalle monete rinvenute nella nave, che scendono fin verso tale
data. Un ampio rapporto sugli scavi sarà pubblicato prossimamente;
ma possiamo intanto registrare le maggiori rivelazioni di questa
ricerca, che viene considerata come la più importante ed esemplare
tra quelle attualmente in corso nel campo dell'archeologia subacquea.
Le strutture dello scafo
di legno della nave, dopo che è stata rimossa con le pompe aspiranti
la coltre di fango e sabbia da cui erano coperte, si sono rivelate
pressoché complete, sicché costituiscono la testimonianza forse
migliore oggi disponibile sull'architettura navale antica, dopo
l'incendio che ha distrutto le navi di Nemi. Tra gli aspetti
caratteristici, sono da notare in specie le cabine per passeggeri,
con pareti di legno e coperture di tegole. Il carico era costituito
da lingotti di piombo, che provenivano dalla Spagna e servivano in
specie per le tubature d'acqua; da un abbondante vasellame, tra cui
servizi completi di piatti, scodelle, vassoi, bicchieri; infine e
soprattutto da varie migliaia di anfore contenenti vino. Qui
s'inserisce l'ultima scoperta, recentemente annunziata da Antoinette
Hesnard, che fa parte della missione. Le anfore recano impressi dei
bolli con i nomi dei produttori, in particolare «Sabina» e «P.
Veveius Papus»: ebbene, gli stessi nomi sono stati rinvenuti su
altre anfore in località Canneto, subito a sud di Terracina, dove si
trovava evidentemente la fornace in cui erano prodotte le anfore.
Quanto al contenuto, è verosimile che si trattasse del cècubo, il
vino assai rinomato che si produceva in quella zona.
La «guerra del vino»,
dunque, si svolgeva nel seguente modo. I Romani avevano proibito con
apposita legge agli abitanti delle Gallie, già dalla fine del II
secolo a.C., di coltivare la vite. Premunitisi cosi contro la
concorrenza, esportavano il loro prodotto caricandolo in grande
quantità sulle navi che effettuavano il percorso dalle coste
tirreniche a quelle della Provenza, e della Spagna. Una volta
sbarcato il vino in Provenza, ne accrescevano il prezzo mediante dazi
e lo inoltravano per via fluviale verso l'interno del paese. Come si
difendevano i francesi di allora dinanzi a questo imperialismo
commerciale? In mancanza di altri mezzi efficaci, ricorrevano forse
all'eterno mezzo dell'autarchia, accontentandosi della birra, o più
esattamente della ben nota cervogia.
“Corriere della sera”,
ritaglio senza data, probabilmente 1978
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