L'economista Larry Summers, ex ministro del Tesoro USA |
La decisione della Bce di
prolungare fino al 2017 e forse oltre il suo programma di espansione
monetaria, il quantitative easing, ha certificato la “normale
eccezionalità” delle condizioni in cui si trova l’economia
europea e quella mondiale. Ci si avvia verso un’era in cui
l’economia tende naturalmente a crescere in modo insufficiente o a
generare instabilità, per cui le misure non convenzionali adottate
in questi anni potrebbero diventare la norma. Ma perché siamo
invischiati in questo nuovo regime di “stagnazione secolare”? E
quali sono le implicazioni per la nostra vita quotidiana e per la
condotta della politica economica?
Il termine stagnazione
secolare, coniato negli anni Trenta del secolo scorso, è stato
riportato in auge recentemente dall’economista Bob Gordon e dall’ex
segretario al tesoro Usa Larry Summers. Secondo Gordon, l’assenza
di grandi rivoluzioni tecnologiche comparabili a quelle del
Novecento, l’invecchiamento della popolazione, e il deterioramento
dei sistemi educativi, fanno ritenere che sia impossibile immaginare
in futuro tassi di crescita simili a quelli del dopoguerra. Larry
Summers ha arricchito l’analisi di Gordon, sostenendo che un freno
alla crescita futura potrebbe venire anche dalla domanda, che per una
serie di ragioni potrebbe rimanere cronicamente depressa. Ai fattori
elencati da Gordon (demografia, tecnologia), si aggiungono
l’indebitamento elevato, la minore intensità capitalistica
(Summers nota come WhatsApp abbia un valore di mercato maggiore di
Sony, con uno stock di capitale fisico prossimo allo zero), il
deterioramento delle infrastrutture pubbliche comune a tutti i Paesi
Ocse. Questo ha permanentemente ridotto la propensione delle imprese
a investire. Ora, l’investimento ha la caratteristica di essere
allo stesso tempo domanda di beni oggi (le imprese comprano
macchinari o finanziano ricerca) e, tramite l’accumulazione di
capitale, offerta di beni domani. La tendenza a una cronica
insufficienza di investimento quindi ritarda l’uscita dalla crisi,
e consegna al futuro un’economia più fragile e con un potenziale
di crescita più basso.
A rendere ancora più
problematica la caduta dell’investimento è il contemporaneo
aumento del risparmio globale. Società sempre più diseguali hanno
trasferito risorse da chi spendeva a chi risparmiava (è un fatto
noto in economia che più alto è il reddito più alta è la
cosiddetta propensione al risparmio), e interi Paesi (soprattutto ma
non solo in Asia) accumulano oggi riserve ingenti per far fronte
all’aumentata instabilità finanziaria.
Grandi masse di risparmio
in cerca di opportunità di investimento sempre più rare. Sono
questi gli ingredienti di una stagnazione secolare in cui i tassi di
interesse sono depressi e in cui le autorità di politica economica
per evitare la Scilla di tassi di crescita insufficienti sono
costrette ad alimentare la Cariddi di bolle speculative e
indebitamento che conducono a crescita sostenuta ma insostenibile.
L’Europa ha scelto la prima strada, dotandosi di politiche e di
istituzioni che vincolano l’indebitamento; gli Stati Uniti hanno
optato per la seconda, lasciando filare due grandi bolle in un
decennio (la bolla internet e quella immobiliare), e facendo
sprofondare l’economia mondiale nella più grande recessione dagli
anni Trenta.
È con questo contesto
che famiglie e imprese devono imparare a convivere. Che si tratti di
trovare impieghi per il risparmio, o di investire in progetti
imprenditoriali, si è costretti a un gioco di equilibrismo tra alto
rischio e rendimenti insufficienti, che provoca fluttuazioni
eccessive e impedisce di pianificare per il lungo periodo. È così
che si spiegano le fluttuazioni delle borse e delle valute, appese
alle dichiarazioni del banchiere centrale di turno e l’eccesso di
investimenti speculativi le cui caratteristiche sono proprio di
essere legati a (incerti) profitti immediati.
Se ne può uscire? La
risposta è sì, e si riassume in una parola: equilibrio. Le
politiche pubbliche devono essere orientate a ristabilire
l’equilibrio. Ridurre l’eccesso di risparmi cercando di ridurre
la diseguaglianza e regolamentando i mercati finanziari (così da
ridurre rischio e risparmio precauzionale). E incentivare
l’investimento con sussidi e investimenti pubblici, questi ultimi
resi particolarmente produttivi dai tassi di interesse vicini allo
zero. La transizione ecologica non è solo una necessità per il
pianeta; è anche un’opportunità formidabile per rilanciare la
produttività.
Tutto più facile a dirsi
che a farsi. Ma l’alternativa è la stagnazione secolare, e come
provano le recenti elezioni francesi, non c’è terreno di coltura
migliore per l’estremismo.
Pagina 99, 21 dicembre
2015
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