Salama da sugo |
«C’è un cartello
solenne: fiume Po. E invece è un torrentello. Ma è già il nostro
fiume più grande, più lungo, più bello, più caro», scriveva
Mario Soldati, ai piedi della montagna.
Per la geografia il Po
nasce infatti dal Monviso, per la letteratura da Torino.
È Pavese, e poi tutta
una serie di fantasie operaie e impiegatizie: da Carlo Levi a
Soldati, da Calvino ad Arpino. Quindi si apre alla pianura e assume
aria contadina: Pavia, Piacenza, Cremona, Mantova, Reggio, Parma,
Ferrara, Rovigo.
Quattrocentomila persone
ogni anno ne navigano le acque tra rive di pioppi, salici, ontani e
canneti. Sono i pioppi di Novecento di Bernardo Bertolucci, il fiume
che si fa storia; l’acqua di Don Camillo e Peppone, l’Italia dei
nemici-amici che cercano di stare assieme. Di Michelangelo Antonioni,
che qui girò il suo primo documentario sulla Gente del Po, e qui
tornò trovando un fiume colorato nelle visioni di una giovane Monica
Vitti: era il Deserto Rosso.
La rete idroviaria
utilizzata a fini turistici si estende per circa 800 chilometri e
viene praticata per escursioni e itinerari naturalistici.
È un fiume della parola
e delle immagini, oggi solcato da battelli e house boat, ieri
dalle sandole dei pescatori. È il Po nebbioso di Ossessione,
dei colori accecanti di Ligabue, delle note di Verdi.
È il Mulino del Po
di Riccardo Bacchelli. «Una volta il Po si beveva», scriveva in un
saggio Domenico Rea. Acque pure che ispirarono a D’Annunzio un
«loderò la chiara sfera d’aere ed acque».
È il fiume di Salgari,
di Cesare Zavattini e del suo Viaggetto sul Po, dei viaggi di
Gianni Celati, da Piacenza e Caorso alle bocche del Po di Goro.
È padre di un padano per
sua definizione, Gianni Brera, che preferiva tenere i piedi sulla
terra: «E allora, buona madonna, che andate cianciando di
navigare?…. ne ho paura, una religiosa e fottuta paura. E se vi
sembro matto, pensate che anch’io sono figlio di Po. Da un padre
simile, chi volete che nasca?!!».
È il Po-confine di un
giovane Pier Vittorio Tondelli, e poi di un rocker delle sue parti,
anche lui Ligabue. Dell’Albero degli zoccoli e poi del
Mestiere delle Armi di Ermanno Olmi; del gourmet Ugo
Tognazzi, e quindi della salama da sugo, della filzetta all’aglio,
di polenta e di anguilla. E prima anche di storioni, lucci, scardole,
cavedani, carpe, e oggi del pesce siluro, lo “squalo del Po”, che
se li mangia tutti. È l’acqua della vite dell’Oltrepò, del
lambrusco, della Doc del Delta Ferrarese: il “vino delle sabbie”.
Si godono il panorama i
crocieristi, i canoisti, gli amanti del softrafting. Gli operatori
turistici più rilevanti in esercizio sulla rete idroviaria sono una
ventina: la maggior parte hanno sede in Emilia Romagna, seguono
Lombardia e Veneto, e dispongono di una flotta di 45 tra battelli e
motonavi operativi lungo l’asta fluviale, 37 houseboats e
diverse imbarcazioni minori. Per chi ama le due ruote, lungo gli
ultimi 115 chilometri fino al mare si snoda una delle ciclovie più
lunghe d’Europa, dai pressi di Bondeno in provincia di Ferrara fino
a Faro di Gorino.
Sono le acque grigie
dell’ultima scena di Paisà, i partigiani legati mani e
piedi gettati nel fiume. Oggi quelle acque si colorano di rosa: alla
foce di Comacchio, nel percorso che parte dal Casone Foce e arriva
alla Torre Rossa, dimora la più numerosa colonia di fenicotteri rosa
d’Italia. Ed è uno spettacolo vederli librarsi in volo al
tramonto.
Pagina 99 we, 5.12.2015 - L'autore dell'articolo è probabilmente Diego Bonocore
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