Eccezionale
ritrovamento della Missione francese sulla costa di Suez: una caverna
restituisce papiri che raccontano il colossale cantiere attraverso
date, organizzazione del lavoro e trasporto dei materiali.
È stato il più
gigantesco cantiere architettonico di tutti i tempi per l’intera
durata dell’Antichità e del Medioevo, fino agli albori dell’Età
moderna. Considerata in età ellenistica una delle sette meraviglie
del mondo, la Piramide di Cheope, eretta negli anni attorno al 2600
a.C., impegnò migliaia di operai e artigiani di altissima
specializzazione. È probabile che il suo architetto sia stato il
principe Hemiunu, figlio del vizir Nefermaat e della sua sposa Itet e
nipote di Snofru, fondatore della IV Dinastia, vizir anch’egli e
«sovrintendente dei lavori del re», che fu sepolto in una delle
tombe a mastaba localizzata su uno dei lati del gigantesco sepolcro
di Cheope. La sua immagine ci è conservata in un’impressionante
scultura del Pelizaeus Museum di Hildesheim.
Inattese testimonianze
sulla complessa organizzazione dei lavori che permisero la
realizzazione della straordinaria ultima dimora del faraone che una
tradizione assai antica, ancora viva all’inizio del III secolo a.C.
(quando il sacerdote Manetone scrisse per i nuovi signori dell’Egitto
di stirpe macedone dopo la conquista di Alessandro), dipingeva come
un inflessibile tiranno, vengono dalle scoperte recenti di una
Missione archeologica francese dell’Università di Paris-Sorbonne e
dell’Institut Français d’Archéologie Orientale, guidata da
Pierre Tallet, allo Wadi el-Jarf sulla costa occidentale del Golfo di
Suez.
In questa località sono
venute alla luce installazioni marittime, che sono state definite a
ragione le più antiche del mondo, databili tra la fine della III e
gli inizi della IV Dinastia del regno faraonico: un molo composto di
due segmenti ortogonali lunghi 160 e 120 metri, proteggeva un bacino
d’ancoraggio di più di due ettari di superficie dove sono ancora
più di una ventina di ancore disperse sul fondo del mare. A circa
200 metri di distanza sono state identificate cellette disposte a
pettine in due campi, dove sono state trovate un centinaio di ancore
in calcare, alcune iscritte in caratteri geroglifici corsivi con i
nomi di battelli 0 di equipaggi. A una distanza di circa 6 chilometri
sono stati identificati i resti di accampamenti faraonici con serie
di gallerie scavate nella roccia che dovevano servire per custodire
materiali appartenuti a equipaggi di piccole imbarcazioni dei primi
decenni dell’antico Regno.
All’ingresso di una di
queste gallerie, bloccate da grossi massi squadrati che dovevano
sigillare questi apprestamenti quando furono abbandonati, sono stati
trovati un’ampia serie di resti di papiri nei quali compare
ripetutamente il nomedi Cheope. In una cinquantina di frammenti di
papiro, che costituiscono la più antica documentazione papirologica
finora scoperta in Egitto, si trovano inattese informazioni sui
lavori preparatori della costruzione della Grande Piramide,
risultanti da due serie distinte di documenti, che possono essere
definiti, da un lato, contabilità e, dall’altro, veri e propri
giornali di bordo.
Uno dei documenti
contiene una data che corrisponde al 26° o 27° anno di regno di
Cheope, mentre i testi fanno riferimento alle équipe
impegnate nella costruzione dell’immenso sepolcro, che
raccoglievano un migliaio di lavoratori e che erano suddivise in
manipoli, detti “tribù”, di 200 operai, di cui sono riportati i
nomi: la «Grande», l’«Asiatica», la «Prospera», la «Piccola».
Una perfetta macchina organizzativa era prevista: nei documenti sono
registrati, per ciascun manipolo, l’ammontare della dotazione
prevista, quello di quanto realmente consegnato e, infine, il residuo
presente nell’accampamento, mentre tra le registrazioni appaiono i
nomi dei nòmoi, le provincie dell’antico Egitto, con quanto
avevano versato in granaglie per il mantenimento dei lavoratori.
Per quanto concerne,
invece, i giornali di bordo, questi, in maniera del tutto
inaspettata, fanno riferimento proprio al trasporto per via fluviale
verso Giza delle gigantesche lastre della pregiata pietra di Turah
che venne utilizzata per il rivestimento della Grande Piramide, il
cui nome antico era «Orizzonte di Cheope»: i papiri citano il
transito delle pietre verso la «Porta dello Stagno di Cheope», che
doveva essere la sede del distretto amministrativo creato per il
coordinamento dei lavori di realizzazione del gigantesco progetto.
Erodoto, più di 2000
anni dopo la costruzione, afferma che per la costruzione della Grande
Piramide lavorarono 100mila uomini per 20 anni. Nelle ricostruzioni
moderne si ritiene verosimile che furono in realtà impiegati tra
20mila e 30mila uomini divisi in gruppi di 2mila lavoratori per
l’estrazione, il trasporto e la messa in opera di blocchi di pietra
del peso, solo in media, di circa 2 tonnellate e mezza.
Le recenti straordinarie
scoperte della Missione francese permettono oggi di controllare
queste teorie, per verificare le quali nella stessa Giza negli anni
passati fu costruita una piccola piramide moderna chiamata la
piramide «Nova» secondo le tipiche e suggestive procedure
dell’archeologia sperimentale.
Ma nessuno poteva
immaginare che stupefacenti documentazioni epigrafiche contemporanee
del grande faraone potessero confermare gli audaci calcoli degli
egittologi di oggi.
“Il Sole 24 ore
domenica”, 15 marzo 2015
Nessun commento:
Posta un commento