Nella Basilica di S.Maria degli Angeli in Assisi, in attesa dell'apertura della Porta Santa
Nel Giubileo cattolico
sopravvive l'eredità del Giubileo ebraico, l'anno in cui si
liberavano schiavi e prigionieri e si rimettevano debiti, in verità
più predicato che praticato, e si sovrappongono intrecciandosi
diverse simbologie. Due sono le immagini centrali, il viaggio e la
porta, identificabili nel pellegrino penitente che nell'anno Santo
con fatica percorre la strada per Roma e lì compie il giro delle
quattro chiese e nell'apertura di uno speciale accesso alla basilica
di San Pietro, la soglia da varcare per poter godere dell'indulgenza
plenaria. C'è un nesso tra i due simboli - viaggi e porte mettono in
comunicazione - ma c'è una differenza importante: il viator
compie un itinerario che – attraverso rinunce, scomodità,
conoscenze - conduce verso il lontano, la porta separa o congiunge, a
seconda che sia chiusa o aperta, spazi contigui.
Nel
Giubileo straordinario indetto quest'anno dal papa Bergoglio prevale,
nettamente, il simbolo della porta. Il pellegrinaggio verso Roma
viene consigliato e auspicato, ma se ne può fare a meno: la chiesa
universale tende a coprire tutti gli spazi abitati (l'ekumene);
per ottenere la misericordia, la tenerezza e l'indulgenza del dio
onnipotente non è obbligatorio un lungo tragitto, basta un atto di
volontà, basta oltrepassare la soglia che ci separa dalla nostra
chiesa. Tutto ciò ha molto a che vedere con l'orgoglio cattolico,
con il primato del vescovo di Roma, con lo speciale carisma che il
cattolicesimo attribuisce ai suoi vescovi e preti: l'immaginario
cattolico al primo dei papi, l'apostolo e martire Pietro, assegna
nell'aldilà il ruolo di custode della porta del paradiso, di cui
detiene le chiavi. Il messaggio, non solo religioso, ma anche etico
e, in senso lato, politico, è che solo nella Chiesa cattolica,
apostolica e romana, l'umanità sbandata può trovare salvezza e che
essa Chiesa, attraverso i suoi ministri, è vicina agli uomini,
ovunque abitino e vivano.
La
scelta papale è stata pertanto di non legare l'indulgenza plenaria
(che consente, una volta morti, di andare dritti dritti in Paradiso,
scampando oltre che alle fiamme infernali alle penitenze
purgatoriali) alla visita della basilica di San Pietro o di un'altra
riconosciuta come papale, ma di moltiplicare le porte del Paradiso di
modo che ne sia almeno una in ogni diocesi e che “porte sante”
possano funzionare nelle cappelle di carceri e ospedali, luoghi della
sofferenza e della misericordia.
Tutto
ciò ha moltiplicato il numero delle cerimonie di apertura della
porta e di inaugurazione del Giubileo. Dopo quella vaticana dell'8
dicembre il Papa in persona si è dovuto sobbarcare il compito di
altre aperture a Roma e dintorni, mentre a partire dal 13 riti
analoghi si svolgevano in molte sedi vescovili, in tutto il mondo.
In Umbria, quasi in ogni diocesi, a leggere i giornali l'apertura
dell'Anno Santo s'è trasformata in una festa del vescovo, a cui alla
fine del rito sacro vengono tributati clamorosi applausi. Si è
potuto notare anche in Tv il compiacimento con cui l'arcivescovo di
Perugia, il cardinale Bassetti, parlava del calore dei suoi preti e
delle sue suore. Un filo sembra legare questa innovativa
organizzazione del Giubileo con il Sinodo sulla famiglia svolto di
recente a Firenze: il Papa cerca un rapporto diretto con i vescovi,
scavalcando o emarginando la Curia romana e i suoi cardinaloni.
Progetta un Concilio ecumenico? E' difficile dirlo: Bergoglio è
costretto a muoversi con prudenza, in contesti piuttosto ostili.
Certo è che per l'apertura della porta e dell'Anno santo ha scelto
l'8 dicembre in cui ricorrevano i cinquant'anni dalla conclusione del
concilio del Concilio Vaticano II e che di esso ha voluto parlare
proprio nell'occasione più solenne.
Libri
C'è
un gran chiacchiericcio mediatico sul significato di questo
straordinario Giubileo della Misericordia (qualcuno lo chiama “di
Francesco”), ma forse vale la pena riferirsi a volumi di un qualche
spessore. Due storici, Alberto Melloni e Giovanni Miccoli hanno
dedicato, in concomitanza con le scelte pontificie, un libro al tema:
il primo ha pubblicato per Laterza Il
Giubileo. Una storia,
il secondo per Carocci Anno
Santo. Un'“invenzione” spettacolare. L'uno
e l'altro sembrano nutrire la speranza di una imminente riforma della
Chiesa, i cui caratterisi possono desumere da un giudizio di Melloni,
non propriamente positivo, sul Giubileo del millennio (e di Wojtila):
«Tutto quello che poteva accadere di imbarazzante accadde: dalla
moltiplicazione dei pellegrinaggi per categorie professionali, alle
grandi opere tipiche dell’Italia di quei decenni; al sogno di
creare, grazie ai mega-eventi, come l’adunata dei giovani a Tor
Vergata, un traino evangelizzatore di cui si perderanno rapidamente
le tracce». Nella lettura di Miccoli, che ha dedicato un'ampia
parte del libro al giubileo appena indetto, Bergoglio porta a
conclusione un processo intrapreso dal papa polacco. Costui aveva
usato il Giubileo del millennio per proclamare un perdono non solo
offerto dalla Chiesa ma da essa richiesto per le proprie colpe
storiche, nei confronti degli ebrei e delle donne, per esempio, o di
pensatori e scienziati in sospetto di eresia; ma di questi errori
aveva attribuito la responsabilità a singoli uomini di Chiesa,
seppure posti ai vertici di essa, salvando l'infallibilità
dell'istituzione. Bergoglio la mette esplicitamente in discussione e
di quando in quando sembra promettere un pubblico lavacro dei
cosiddetti “panni sporchi”, chiedendo misericordia per i
“comportamenti non cristiani” di ieri e di oggi. Secondo Miccoli,
nell'indicare un ruolo pastorale alla Chiesa, l'attuale papa farebbe
prevalere sulla stessa verità la misericordia.
Chiesa trionfante e
Chiesa militante
La “grande riforma individuale e collettiva” cui il Papa gesuita
aspira rammenta quella originata dal Concilio di Trento. Accantonate
le professioni dogmatiche e la repressione dell'eresia, di quel
modello resta viva l'idea di una Chiesa potente e ricca, i cui uomini
tuttavia non ostentano ricchezza e si pongono come organizzatori di
opere di carità e misericordia, difensori dei poveri verso le altre
potenze. Questo segna la differenza più profonda con il Giubileo di
Giovanni Paolo II: anche lì erano presenti uomini e istituzioni
della carità cattolica, ma il primato era della “Chiesa
trionfante”, che aveva sconfitto il comunismo, mentre papa
Francesco lo rivendica per la “Chiesa militante”.
In
questo progetto Bergoglio incontra la Chiesa del Concilio Vaticano
II posta ai margini – o addirittura condannata - da Wojtila, quella
che traeva ispirazione dalle encicliche “militanti” di Roncalli
e Montini (la Mater
et magistra,
la Pacem in
terris, la
Populorum
progressio),
quella della Teologia della Liberazione in America latina, dei preti
operai in Francia, dei “preti sociali” vicini alla sinistra in
Italia. Bergoglio è convinto quanto Wojtila che la sconfitta del
comunismo novecentesco contenga in sé la sconfitta dell'aspirazione
a un mondo costruito secondo ragione degli illuministi: l'idea che
gli uomini, i popoli, i poveri e gli oppressi possano emanciparsi da
sé senza la grazia di un dio e senza la guida della sua chiesa e dei
suoi preti è anche per lui una bestemmia che deve essere cancellata.
La “misericordia” offre peraltro una sponda anche agli orfani del
socialismo laico e del comunismo, ma non è più il “dialogo” la
base della collaborazione per il bene comune, visto che un dialogo
presuppone la parità tra gli interlocutori, ma il riconoscimento da
parte dei laici di una “egemonia” da parte della chiesa.
L'ambizioso
progetto trova un limite nella “mondanizzazione della chiesa” e
nelle forti resistenze che ciò determina verso i conati
riformistici. Due libri recenti, Avarizia
di
Fittipaldi e Via
Crucis di
Nuzzi, utilizzando documenti provenienti dal Vaticano, hanno mostrato
non solo le ruberie, i lussi, gli sprechi di tanti dignitari
ecclesiastici, ma anche la connessione organica della potenza
economica della Chiesa con una finanza internazionale per molti
aspetti criminale; ma in Vaticano tuttavia non si processano i
corrotti della Curia, solo gli autori dei libri e i loro presunti
informatori. E ha fatto ridere la trovata del cardinale Bertone di
donare alla Fondazione dell'Ospedale del Bambino Gesù 150 mila euro,
dopo averne fatto spendere alla stessa 200 mila per ristrutturare
secondo i propri gusti il sontuoso appartamento ove abita. Uno dei
preti di sinistra che oggi appoggiano Bergoglio soleva dire che in
politica la distinzione non è tra credenti e non credenti, ma tra
credibili e non credibili. Vale anche per il Papa, di cui molti
riconoscono le buone intenzioni, ma trovano gli atti sembrano al di
sotto delle necessità di pulizia.
Assisi: pagelline e
omissioni
Il flop dell'8 dicembre per la inaugurazione a Roma dell'Anno Santo
(50 mila persone contro le 100 mila attese e le 200 mila sperate) è
stato spiegato con la paura degli attentati. Non basta. Né
corrisponde del tutto al vero quanto scrive “La Voce”, organo dei
vescovi dell'Umbria, secondo cui ci sarebbe stata una partecipazione
amplissima ed entusiastica all'apertura delle porte sante nelle
diocesi della regione. Il successo di pubblico dei riti nella regione
è un po' a macchia di leopardo e non c'è la mobilitazione di tipo
militare che ci fu nel 2000, quando le diocesi organizzavano la
presenza a Roma in alcune domeniche prestabilite e gli autobus
portavano seco intere scolaresche, personale di uffici e di
fabbriche, pensionati e curiosi in grande quantità. Una parte di
clero conservatore rema contro e non mancano perplessità in vari
settori della società.
Pare che ad Assisi, in ogni caso, ci sia un impegno speciale, anche
nella speranza di successi turistici legati alla speciale simpatia
del Papa per il Santo poverello. Hanno addirittura organizzato per i
pellegrini un percorso in sette tappe, inserito all’interno di una
guida con la mappa della città, che ripercorre i luoghi francescani
visitati da papa Francesco nella sua visita il 4 ottobre del 2013
(San Rufino, San Damiano, sala della Spogliazione, tomba di San
Francesco, Istituto Serafico, la Porziuncola agli Angeli e il Tugurio
nella chiesa di Rivotorto). Ogni volta che i pellegrini si
soffermeranno per un congruo spazio di tempo in raccoglimento
riceveranno una “pagellina del pellegrino francescano” per
l’applicazione dei timbri di tappa in tappa, che conserveranno come
ricordo.
Tra i riti che ho seguito di persona mi è parso abbastanza riuscito
quello nella basilica di Santa Maria degli Angeli in Assisi, che si è
svolto il 20 pomeriggio. Controlli di polizia accurati all'ingresso
del grande piazzale, autorità, frati, suore, confraternite,
paramenti delle grandi occasioni, basilica piena ma non zeppa. Canti
in latino, sulla linea “Cristo regna e il Padre è misericordioso”,
litanie in onore del Papa e del Vescovo che guida il corteo dei
religiosi e apre la “porta santa” che è quella della piccola
Porziuncola interna alla grande Basilica.
Com'è noto, i cassieri dei frati cappuccini che gestivano la
basilica, travolti dall'avarizia, hanno coinvolto l'Ordine in uno
degli scandali finanziari che più hanno indignato i fedeli: prima
una forse ignara, ma altamente interessata (11% ?), compartecipazione
con i proventi delle elemosine ad attività speculative che non
escludevano il traffico d'armi, poi la perdita di una parte delle
somme investite e il sequestro del resto in una banca svizzera ad
opera della magistratura internazionale. Ma nell'omelia alla cosa non
c'è stato alcun riferimento comprensibile. Si suol dire che “non
si parla di corda in casa dell'impiccato”, ma se Bergoglio non
spinge i suoi vescovi a farlo, ad alta voce e dappertutto, finirà
con l'essere lui impiccato alle sue stesse velleità riformistiche.
“micropolis”, supplemento al manifesto di martedì 29 dicembre
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