Firmato con un curioso
nom de plume è stato pubblicato a fine novembre 2016,
l'articolo di cui riprendo un ampio stralcio, allarmato se non
allarmistico. (S.L.L.)
Banchiere a Zurigo |
[…]
Il problema a Siena è
che serve una nuova iniezione di denaro fresco per Mps, un aumento di
capitale da 5 miliardi di euro dopo i numerosi (e corposi) aumenti
lanciati negli ultimi anni. Ma l’azienda non fa profitti,
appesantita com’è da un carico di crediti deteriorati nettamente
superiore alla già indecorosa media del sistema finanziario
italiano. Mancando i profitti, mancano anche investitori interessati
a sottoscrivere le nuove azioni così il Monte dei Paschi intende
(manca ancora l’approvazione dell’assemblea) lanciare una
proposta agli obbligazionisti: la conversione dei bond.
Tutti i detentori di
emissioni subordinate, siano essi investitori professionali o uno dei
40 mila semplici risparmiatori correntisti della banca, verranno
invitati a sottoscrivere uno scambio: cedere all’istituto i loro
titoli e ricevere le nuove azioni della banca.
La proposta è corredata
da un promemoria che sembra uscito da un romanzo di Mario Puzo: si
può sottoscrivere questa conversione volontariamente, oppure la si
dovrà subire forzatamente. Infatti, se la banca non riuscirà a
realizzare questo aumento di capitale, la continuità aziendale sarà
messa in discussione e sarà necessario procedere alla richiesta di
aiuti di Stato e alla procedura di risoluzione nota come bail-in.
Il prezzo su cui
calcolare il concambio per gli obbligazionisti, in questa offerta, è
pari a 100 (quindi alla pari) o a 85 a seconda del tipo di emissione
posseduta. Un prezzo che sembra allettante: a fronte di 1 euro di
valore nominale di obbligazioni, il risparmiatore riceverà 1 euro di
controvalore in azioni (o 0,85 nel caso peggiore). L’offerta appare
conveniente specie se confrontata con l’alternativa di mercato:
vendere i titoli significa infatti incassare 65 centesimi per ogni
euro, al 23 novembre.
Tuttavia chi compra a
prezzo scontato, pagando in contanti, sono per lo più i cosiddetti
“fondi avvoltoio” che acquistano allo scopo di convertire per poi
vendere immediatamente le azioni, appena verranno loro consegnate.
Per loro il profitto consiste nella differenza fra il prezzo pagato
per comprare le obbligazioni e l’incasso per la vendita delle
azioni che riceveranno in concambio. Nel primo giorno di
contrattazione utile, pertanto, venderanno a tamburo battente e
continueranno a vendere anche di fronte ad un -20% perché a quei
valori staranno ancora registrando un profitto. Ed è così che i
risparmiatori che obtorto collo avranno convertito i loro
risparmi vivranno il loro “battesimo del fuoco” fin dal primo
giorno di possesso delle azioni, scoprendo che il concambio non li ha
protetti: una sorta di imprinting sul funzionamento del mercato.
Appare maldestro che, in
contemporanea a una vicenda destinata ad essere tormentata e
protagonista delle cronache finanziarie, ci sia qualcun altro che
medita di lanciare un aumento di capitale corposo da realizzare in
parte con la conversione di bond subordinati. Questo qualcuno è
Unicredit, l’unica banca italiana considerata sistemica in Europa.
Quanto tempo occorrerà
prima che la similitudine, grossolana, fra Mps ed Unicredit provochi
un danno d’immagine ingente all’istituto di piazza Gae Aulenti?
Il management deve avere qualche coniglio nel cappello, considerando
che i principali azionisti della banca hanno espresso malumore o
indisponibilità a sottoscrivere un aumento di capitale, che era
atteso – stimato – per 10 miliardi di euro e che invece parrebbe
verrà annunciato di 13 miliardi.
La velocità con cui si
distrugge il capitale nel sistema bancario italiano è allarmante:
dalla neonata Banco-Bpm, frutto della fusione fra Banco Popolare e
Popolare di Milano, spuntano problemi imprevisti. Le recenti
verifiche fatte per organizzare la fusione avrebbero tralasciato una
quota di crediti deteriorati che necessita di copertura, serve una
cifra ancora non definita ma che pare sia prossima a 2 miliardi.
Infine le disastrate Veneto Banca e Popolare di Vicenza, appena
ricapitalizzate dal fondo Atlante, appositamente creato, sono già
alla ricerca di altri 600 milioni attraverso una nuova
ricapitalizzazione.
Attendiamo di scoprire
gli eventi, che si dipaneranno in uno scenario politico che al
momento è incerto: il 4 dicembre il referendum costituzionale sarà
decisivo per il destino del governo Renzi; tra le altre, una delle
ragioni del Sì è quella di garantire stabilità politica per la
gestione delle turbolenze finanziarie. Parimenti il No potrebbe
portare ad un governo tecnico, secondo alcuni guidato dall’attuale
ministro delle Finanze Pier Carlo Padoan, e chi meglio di un governo
tecnico potrebbe tenere le redini nel pieno di una crisi bancaria?
È chiaro che, quale che
sia l’esito referendario, la possibile tensione su una o forse due
tra le più grandi banche del Paese potrebbe mettere nuovamente alla
prova dei mercati – attraverso lo spread Btp-Bund – la tenuta del
sistema Italia.[...]
Pagina 99, 26 novembre
2016
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