Giorgio Manganelli |
Nessuno dei miei amici ha
amato i libri come Giorgio Manganelli. Qualcuno ne aveva letti più
di lui: nessuno li ha mai desiderati e posseduti con la stessa
passione. Il suo era una specie di drammatico e demoniaco
cannibalismo amoroso. Quando comprava un libro, si guardava intorno,
con sguardi obliqui e un poco torvi, come se qualcuno potesse
invidiargliene e contendergliene il possesso; e lo nascondeva in una
grossa borsa. Se restava in città, al ristorante o al cinema covava
con inquietudine il suo nuovo tesoro. Poi tornava a casa, dove nel
segreto, in silenzio, avveniva il rito dell' identificazione. Come il
profeta Ezechiele, come il veggente dell' Apocalisse, Manganelli
ingoiava i libri: ingoiava i volumi che contenevano ogni dolcezza,
ogni amarezza; e li trasformava nella carne della sua carne. Ora il
Fedro, ora una delle Bucoliche, ora una canzone di
Petrarca, ora un racconto di Poe, ora le Operette morali, ora
Pinocchio.
Chi entrava nella sua
casa, aspettando di vedere al suolo costole di libri sbranati,
trovava un ordine impeccabile, che lo meravigliava. I libri stavano
lì, serrati, in file, disposti negli scaffali, come i soldati dell'
esercito immaginario dell' imperatore cinese, che vennero sepolti
insieme a lui. Non era giusto meravigliarsi. Solo nei libri
Manganelli esprimeva il suo immenso bisogno di ordine e di armonia
che mancava in ogni altra parte della sua vita e della sua opera. Il
mondo dei libri era l'ordine, anzi conteneva moltissimi ordini, tra i
quali era difficile scegliere. Doveva preferire l'ordine alfabetico?
O l'ordine storico? O l'ordine delle collezioni? O quello delle
parentele e delle affinità? O quello delle inimicizie? In una vita
anteriore era stato un bibliotecario e anche adesso aveva le cautele,
le attenzioni, lo scrupolo, le pruderies che il vero
bibliotecario ha per il libro.
Amava i commenti. Pensava
che nessuna attività intellettuale potesse paragonarsi a quella di
un sapiente commentatore, che annota le fonti e le allusioni del suo
testo, e ne spiega tutti i sensi possibili.
Non so se egli credesse
nel Paradiso, sebbene molte credenze cattoliche gli sembrassero, col
passare degli anni, piene di echi simbolici. Doveva trovarlo troppo
affollato e promiscuo. Qualche volta, nei momenti in cui la sua
immaginazione si abbandonava capricciosamente a sé stessa,
fantasticò di trovarsi, anche lui, di là. Il Paradiso era una
immensa città di diaspro, come la Gerusalemme celeste
nell'Apocalisse. Le mura cristalline emanavano una luce
leggera, mite e finissima, che non si offuscava nemmeno durante la
notte. Non c'era Dio. Non c'era nessuno. E, insieme a lui, c'erano i
libri. Tutte le mura della città erano gremite di volumi, che
anch'essi gettavano una luce sottile e radiosa. Suppongo che
Manganelli immaginasse che lassù non abitavano i nostri libri, che
appartengono soltanto alla terra. C'erano i grandi libri che gli
uomini hanno cercato di scrivere, senza riuscirvi, e che ora avevano
finalmente tutte le sillabe e le lettere e le pagine compiute.
C'erano i libri eventuali, i libri possibili, i libri sognati, i
libri impossibili...
Come tutti gli uomini coltissimi, Manganelli sapeva che i libri non bastano. Oltre il radioso Paradiso dei libri, in qualche luogo dell'universo si estendeva uno spazio desolato, come può essere desolata la parola infinito. Era il mondo della mente, dove non ci sono più volumi. Là non vi è più né tempo né spazio: né momento né luogo né eco né strada né crocicchio. Questo era il luogo al quale Manganelli sentiva di restare incatenato per sempre. Lui non doveva far altro che registrare cosa vi accade: battiti, fruscii, apparizioni, sparizioni, metamorfosi, morti incessanti, fecondazioni, disastri, rinascite, reincarnazioni, estenuazioni, vertigini... Quando prendete in mano uno dei libri che Manganelli ha donato alla Biblioteca di Pavia, ricordate, vi prego, che in fondo all'animo egli era uno dei rarissimi cittadini di questo mondo inabitabile.
Come tutti gli uomini coltissimi, Manganelli sapeva che i libri non bastano. Oltre il radioso Paradiso dei libri, in qualche luogo dell'universo si estendeva uno spazio desolato, come può essere desolata la parola infinito. Era il mondo della mente, dove non ci sono più volumi. Là non vi è più né tempo né spazio: né momento né luogo né eco né strada né crocicchio. Questo era il luogo al quale Manganelli sentiva di restare incatenato per sempre. Lui non doveva far altro che registrare cosa vi accade: battiti, fruscii, apparizioni, sparizioni, metamorfosi, morti incessanti, fecondazioni, disastri, rinascite, reincarnazioni, estenuazioni, vertigini... Quando prendete in mano uno dei libri che Manganelli ha donato alla Biblioteca di Pavia, ricordate, vi prego, che in fondo all'animo egli era uno dei rarissimi cittadini di questo mondo inabitabile.
la Repubblica, 2 maggio, 1992
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