La formazione del primo governo
Mussolini segna per la Libia l'abbandono immediato di qualsiasi
ipotesi di costituzionalizzazione e di dialogo nata nel contesto
dello wilsonismo, e un innalzamento brusco dei livelli di
repressione. Il primo dato importante che il fondo Africa
settentrionale dell'archivio storico dell'arma dei carabinieri
documenta, è una precisa consapevolezza che la lotta per la
riconquista della colonia si svolge in un quadro mediterraneo segnato
da profonde turbolenze. Nel 1925 la grande rivolta in Marocco di
Abdel Krim, nel 1925-27 la rivolta antifrancese in Siria che porta a
due bombardamenti di Damasco, nel 1929 la prima grande insurrezione
palestinese contro il sionismo e la politica mandataria inglese. A
questi eventi e alla coeva formazione di una coscienza panaraba si
guarda in continuazione, sperimentando nello stesso tempo nuove forme
di interevento coloniale.
La nuova strategia fascista di
controllo tendenzialmente totale del territorio avanza sulla base di
un modello che guarda, anche se in modo non confessato, al più
sperimentato colonialismo francese. In primo luogo l'azione militare
per controbattere l'iniziativa dei ribelli tesa a mettere
costantemente in questione la sovranità dell'occupante. Centrale
l'impiego quasi quotidiano del mezzo aereo con cui si bombardano non
solo le truppe ribelli, ma carovane, accampamenti, bestiame, pozzi
con una tecnica esplicita di terra bruciata. Omar El Muktar viene
identificato, fin dal 1923-24, come l'animatore della rivolta. In
secondo luogo una politica delle infrastrutture che ridisegna il
territorio secondo principi che sconvolgono i precedenti assetti di
vita, e che per questo sono sempre duramente osteggiati dalle
popolazioni locali. Ma anche costruzione di edifici che incarnano la
logica del nuovo potere che si vuole trapiantare: il palazzo del
governo, la stazione dei carabinieri, la scuola, la chiesa,
l'ospedale. La proliferazione di infrastrutture ben lungi dall'essere
una regalia, come vuole la leggenda del colonialismo buono, è il
modo in cui avanza un principio di organizzazione del territorio
ostile e sovvertitore della cultura del luogo. Si coglie qui la
logica del piccolo impero, che interpreta la colonia come «quarta
sponda», ossia come estrapolazione e continuazione della metropoli.
Diversa, già allora, la logica dell'impero inglese in cui il
controllo del territorio è volto esclusivamente a mantenere lo
scorrimento di grandi catene di merci che si muovono su scala
mondiale. Per non parlare della mediazione essenziale che svolgerà
il mercato nel grande impero americano.
Tra Tunisia e Egitto
L'archivio dell'arma documenta tuttavia
un'altra importante consapevolezza strategica. Ritorna per tutti gli
anni '20 la constatazione che non prende corpo in Libia quel fenomeno
di un nascente nazionalismo arabo che sta mettendo radici profonde
nei due paesi di confine, Tunisia e Egitto. Giustamente i rapporti
dei carabinieri vedono in questa mancanza di cultura nazionalista la
ragione di una maggiore stabilità relativa. Il motore della rivolta
è la Senussia, una confraternita religiosa che chiama alla lotta
antitaliana nel nome del ristabilimento dei principi originari
dell'islamismo minacciati dalla penetrazione della cultura
occidentale. Si tratta insomma di una rivolta islamica, dai contenuti
fortemente arcaici, premoderni (si sarebbe detto prima della
rivoluzione iraniana del 1979), che può tuttavia sempre trapassare
in qualcosa di più complesso e minaccioso.
Per questo i rapporti dell'arma
guardano costantemente a quanto avviene nei due paesi di confine.
Dalla Tunisia, verso cui si indirizzano i rifugiati politici della
Tripolitania, è sempre immanente la minaccia di un sostegno e
un'amplificazione della rivolta senussa, in termini di nazionalismo
arabo, in primo luogo. Ma soprattutto a partire dalla fine degli anni
'20 arrivano in Tunisia gli echi dell'opposizione antifascista
italiana emigrata a Parigi che vede nelle colonie un propizio terreno
di organizzazione. Ma non meno importanti sono le influenze che
vengono dall'Egitto. I rapporti dei carabinieri parlano di «una
egemonia politico-commerciale degli egiziani sui territori di
confine». In Egitto sconfina la guerriglia armata e dall'Egitto
viene organizzato un contrabbando di derrate e prodotti che sottrae
alla colonia importanti risorse, mentre rifornisce gli uomini di Omar
El Muktar.
La svolta si ha nel 1929. Un rapporto
dell'arma è dedicato a riportare la motivazione con cui Badoglio,
appena nominato governatore della Libia, enuncia la necessità di una
fase nuova: «Occorre occupare l'intera colonia se si vuole
pacificarla, oltre che per ragioni di dignità nazionale, per poter
avere il diritto di alzare la voce nel concerto europeo, per ottenere
mandati coloniali». La durezza con cui Graziani si muoverà nel
solco di questa indicazione politica nasce dunque più che da
motivazioni interne alla vita della colonia, dal venire a maturazione
di una nuova fase della politica estera fascista, che nel corso degli
anni '30 farà della guerra il suo strumento principale, dall'Etiopia
alla Spagna alla II guerra mondiale.
Quale sia il retaggio della
pacificazione lo si trova riassunto in un promemoria dell'11 maggio
'34 in cui si riportano «discordi commenti» sull'operato di
Graziani che circolano al suo rimpatrio: «In particolare viene
rilevato: che i campi di concentramento disposti ed effettuati in
località sprovviste di acqua, legna, con pascolo scarso o nulla
addirittura, hanno messo a dura prova la resistenza di quelle
popolazioni tra le quali hanno infierito lo scorbuto e il tifo
esantematico, provocando con la fame una fortissima mortalità; che
il bestiame è stato distrutto quasi completamente e interi
accampamenti di sopravvissuti si sono trovati con poche decine di
pecore, senza cavalli e bestiame di altro genere; che non si può
oggi a così breve distanza dalla cessazione della ribellione,
parlare di una economia cirenaica, quando le popolazioni indigene,
eccezion fatta per due, tre mila persone che lavorano ancora sulle
strade e sono perciò salariati, vivono di sussidi distribuiti dal
governo». Ci sono insomma verità che nemmeno il regime totalitario
riesce a scancellare.
La politica del filo spinato
Il salto che si determina nella
strategia repressiva risulta chiaro se si mette a confronto il tipo
di azione che Attilio Teruzzi descrive in Cirenaica verde (Mondatori
1931), ancora concentrata in una risposta militare alla guerriglia, e
quella che Graziani definisce una «decisa politica di popolazione
basata sui termini di assoluto dominio di essa». Le vicende sono
note: l'evacuazione di circa 80 mila beduini, popolazione nomade
dedita all'allevamento del bestiame, dalle colline boscose del Gebel
ai deserti della Sirte, e la loro reclusione in campi di
concentramento, con gli effetti che il rapporto dei carabinieri del
1934 sintetizzava efficacemente. «Tutti i campi - scriveva Graziani
- furono circondati da doppio reticolato, i viveri razionati, i
pascoli contratti e controllati, la circolazione esterna resa
soggetta a permessi speciali. Furono concentrati nel campo-punizione
di El Agheila tutti i parenti dei ribelli, perché più facilmente
portati alla connivenza» (Cirenaica pacificata, Mondadori 1933).
Sulla popolazione deportata si abbatte la giustizia del «tribunale
volante»: processi che condannano a morte con immediata esecuzione
delle vittime dinanzi alla popolazione del campo obbligata ad
assistere. Si tratta di felici anticipazioni dello scenario che si
determina sulla Appelplatz del Lager tedesco. Come, in fondo, assai
simile ai processi di «ricostruzione etnica» perseguiti dai nazisti
in Europa orientale, è il ripopolamento del Gebel con agricoltori
italiani, destinati a essere vittime della vendetta araba nel '41,
quando la Cirenaica cade sotto il regime di occupazione inglese. Un
rapporto dei carabinieri dell'aprile '42 spiegava il fossato che si
era aperto in quella zona tra italiani e arabi ricordando la politica
fatta di «eccidi di massa, decimazioni e deportazioni di intere
popolazioni».
La «politica del filo spinato» torna
con il conflitto mondiale allorché nella seconda metà del 1940,
Graziani, da pacificatore della Cirenaica, diventa il massimo
responsabile, anche agli occhi di Mussolini che lo destituisce, della
distruzione della X armata di stanza in Libia al momento
dell'ingresso dell'Italia in guerra. L'abile massacratore di arabi
allevato all'interno del regime non ha la minima idea su come debba
essere condotta una guerra di massa a tecnologia avanzata. Un
rapporto dei carabinieri del 31 marzo '41 così descrive la
conclusione finale della rotta imposta dall'offensiva inglese:
«L'afflusso rapido di automezzi, ufficiali e soldati delle varie
armi e specialità, dava l'impressione, all'osservatore obbiettivo,
dell'improvviso debordare di un fiume che ha sommesso gli argini.
Quali le cause che portarono la parte ancora integra della X armata a
un rovesciamento così repentino? Esse sono imponderabili e la genesi
del fenomeno potrà essere solo identificata, dopo maturo studio, nel
tempo avvenire». È nel clima della sconfitta e della conseguente
perdita di gran parte del territorio della colonia che ebrei e
maltesi (quest'ultimi spesso con passaporto inglese) cominciano a
essere definiti nei rapporti dei carabinieri come «elementi malfidi»
che spargono notizie catastrofiche e sfiducia. E in effetti una parte
della popolazione ebraica collaborerà con gli inglesi, accogliendo
l'invito del sionismo che ha ormai scelto di battersi a fianco degli
alleati, creando una proprio brigata all'interno della VIII armata di
Montgomery.
Il 28 febbraio '42 i carabinieri
registrano la svolta che si sta determinando verso la popolazione
ebraica della colonia: «Il ministro Teruzzi con un foglio
riservatissimo ha comunicato al generale Bastico che il Duce ha
deciso che tutti gli ebrei della Cirenaica siano riuniti in un campo
di concentramento della Tripolitania, che in un secondo tempo si
esaminerà l'opportunità di adottare lo stesso provvedimento anche
per gli ebrei della Tripolitania, mentre saranno presi, poi,
ulteriori accordi per un eventuale trasporto degli internati in
Italia». Tre settimane dopo l'ordinanza di Bastico ordina «lo
sgombro dalla Cirenaica di tutti indistintamente gli israeliti siano
essi cittadini italiani metropolitani, cittadini italiani libici,
ovvero cittadini e sudditi stranieri». I campi di concentramento
dovranno essere installati a Giado e Jefren. La deportazione dovrà
svolgersi con la formazione di scaglioni giornalieri di circa 200
persone, che potranno portare con sé solo effetti personali.
L'assegnazione ai campi di concentramento può tuttavia essere
sospesa nei confronti di ebrei che abbiano tenuto «un contegno
lodevole durante l'occupazione inglese della Cirenaica» o che
«abbiano reso in passato utili servizi e si siano dimostrati
particolarmente benemeriti». Il fascismo italiano non rinuncia mai
all'esercizio di un potere discrezionale che vada in deroga alla
legge. Ma è certo che la colonia dei primi anni '30 ha svolto il
ruolo di importante laboratorio in cui si sono sperimentate non più
avanzate strategie militari, ma spietate politiche di persecuzione
destinate a dilagare poi sul continente.
il manifesto, 1 dicembre 2006
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