L'articolo che segue è
solo in minima parte un articolo sul poema di Ariosto ed è – assai
più – un testo sull'insegnamento della letteratura italiana, in
particolare sui libri di testo in uso negli anni 80 del Novecento.
La critica di Almansi è
rivolta alla tendenza – caratteristica di quegli anni – a
comporre e utilizzare manuali e antologie “tuttologiche”: per il
troppo che contenevano i libri di testo inibivano o imbrigliavano la
lettura dei testi piuttosto che invogliare ad essa o aiutare la
comprensione.
Non so quale sia la
situazione odierna, ma dubito fortemente che il Furioso
o altri testi importanti e divertenti siano letti dagli studenti oggi
più che allora. Allora come oggi penso che sia fondamentale il ruolo
dell'insegnante: tocca a lui stimolare le curiosità e le domande,
senza togliere il piacere della scoperta e il divertimento della
lettura. (S.L.L.)
La letteratura italiana
del passato si divide in due parti: i classici che si leggono a
scuola e i libri che si leggono nella vita. La prima parte, molto
ampia, avvince a sé milioni di lettori coatti, disgustando della
pratica letteraria la maggior parte degli italiani per il resto della
loro esistenza. La seconda parte è costituita dai libri di autori
dei secoli scorsi che si leggono nella vita; pochi: degli ultimi
centocinquant' anni o poco più, quasi sempre gli stessi;
preselezionati da un inconscio collettivo che determina la fortuna di
certi testi. Gli altri grandi scrittori italiani, associati
fatalmente alla noia scolastica, sono letteratura morta. E forse la
perdita più dolorosa, perché più legata sia ai piaceri dell'
intelligenza che ai diletti della lettura di intrattenimento, è la
morte, incondizionata, del grande poema di Ariosto, l'Orlando
Furioso. Forse ci sono opere, nella letteratura mondiale,
divertenti quanto il Furioso, che possono offrire in ugual misura il
piacere della lettura e la gioia dell'intelletto; ma io non le
conosco.
L'Orlando Furioso
rimane per me il libro supremo, se ciò che conta è il piacere del
testo. Inoltre il Furioso è un libro per tutti: per vecchi
ipocondriaci e per ragazzini, per lettori di Shakespeare e per
cultori di westerns; per pozzi di scienza e per mostri di ignoranza;
per lettrici di Harmony e per studiosi di Heidegger; per tifosi di
calcio e per spiritualisti. Ce n'è per tutti, e la lingua del poema
è accessibile anche a lettori di scarsa cultura, purché facciano lo
sforzo di superare le prime centinaia di versi per abituarsi al
dettato ariostesco. Ebbene, confessiamo la verrità: quanti fra noi
hanno mai incontrato un solo lettore, dico un solo lettore, che non
fosse un professionista delle lettere, il quale stesse leggendo
l'Orlando Furioso per suo divertimento, così come si legge un
romanzo, si vede un film, si ascolta un'opera lirica? Quale genio
malefico è riuscito a rendere la lettura obbligata di alcuni canti
del Furioso, durante gli anni dal liceo, così spiacevole, che poi
nessuno si riproverà mai a prendere in mano quel libro?
È questo il periodo in
cui gli insegnanti delle scuole secondarie adottano i libri di testo
per il prossimo anno scolastico. Perciò ho voluto consultare le
antologie più diffuse nei licei per controllare le origini del
malessere ariostesco e per vedere che cosa c'è di nuovo. Esiste un
rapporto fra il modo in cui il Furioso è presentato ai
ragazzi di sedici-diciassette anni e il crollo della reputazione di
questo poema nella coscienza nazionale?
I risultati, come ci si
poteva aspettare, non sono affatto chiari. Una cosa, però, mi sembra
evidente: le storie della letteratura e le antologie si basano ancora
sul principio del tout se tient. In un momento culturale in
cui il concetto di materia, cioè del tessuto connettivo
dell'universo, non si tiene più insieme, ma si sfalda in campi di
forze, onde, vettori, flussi magnetici, il concetto di materia
scolastica, specie nell' ambito letterario, rimane saldissimo. E
all'interno di questo campo di studi ogni cosa viene messa in
relazione con ogni altra, per cui non esiste opera eccentrica o
inattesa, perché anche l'imprevisto diventa previsto in quel senno
di poi che è la mente dell'antologista. Non solo la letteratura e
l'arte dipendono dal prezzo dei barili di petrolio, secondo un ben
noto modello di comprensione tuttologica del mondo, ma ogni
manifestazione culturale (in pittura, nel teatro, nel cinema, nella
musica) è collegata a tutte le altre manifestazioni, in una ideale
armonia della cultura tutta e in una galassia di significati
incrociati.
Questi eccellenti
antologisti non hanno mai dubbi. Nella sua Letteratura degli
italiani. Storia e antologia (editore Palumbo), Giuseppe Petronio
passa in rassegna la varia documentazione delle lettere come un
generale che ispeziona le truppe. A volte si sofferma per indicare un
bottone pendulo o un lustrino poco fiammante, e suggerisce un modello
di comportamento; ma nel complesso sembra soddisfatto dei suoi
reggimenti in ordine di parata. Non c' è mai sorpresa, mai sgomento;
tutto si intreccia all' interno di un modello preordinato. Ariosto,
per esempio, rappresenta la civiltà letteraria del suo tempo
emblematicamente; con questo avverbio magico il problema è risolto,
e Petronio può avanzare verso il prossimo manipolo. Una delle
antologie più popolari è quella dell'editore Zanichelli (Mario
Pazzaglia, Letteratura italiana. Testi e critica), la quale,
volendo difendere ogni episodio del poema ariostesco, finisce per
condannarlo. Tutti coloro che si sono accinti a leggere il Furioso
dalla prima all' ultima pagina (compito malagevole, e forse non
consigliabile: il poema dovrebbe essere soprattutto un luogo di
ritrovo, un pretesto per percorsi curiosi, non una scarpinata senza
fine), trovano alcune difficoltà nel Canto terzo, che narra la
discendenza di Ruggiero e Bradamante fino a Ippolito e Alfonso d'
Este; ma il motivo encomiastico non turba la validità poetica di
questa storia, scrive Pazzaglia. Beh, la turba, sì, e come; ma un
grande poema è fatto anche di parti noiose, e non è certo
esaltandole che si incoraggiano i ragazzi a leggerlo. D'altronde, che
cosa possono imparare gli scolari da frasi come “la vita colta è
rappresentata nella sua inesauribile complessità o creazione che
riflette tutta la realtà nella sua vicenda cangiante e inesauribile
(l'aggettivo favorito) come la natura che crea sempre nuove forme e
le compone in un'immagine di cosmica bellezza”. Ma c' è da
meravigliarsi, poi, se i ragazzi preferiscono all'Ariosto le canzoni
di Sting?
Pazzaglia descrive quella
grande follia che è la follia di Orlando come una lenta ma
implacabile progressione psicologica: c'è da trasecolare, Salvatore
Guglielmino e Hermann Grosser (Il sistema letterario. Guida alla
storia letteraria e all' analisi testuale, Principato), trovano
invece che è il comportamento di Angelica, la quale si innamora di
un semplice soldato invece che del grande paladino, ad essere
paradossale, assurdo, contrario ad ogni logica. E perché mai? E'
ovvio fin dall'inizio che Orlando non ci sa fare, e che Angelica
preferirà il bel garzone, giovane, vivace, e senza il peso della
difesa della Cristianità che gli grava addosso. A loro volta,
Riccardo Marchese e Andrea Grillini (Scrittori e opere. Storia e
antologia, La Nuova Italia), esaltano il continuo fervore di
studi ariosteschi, ma contribuiscono alla noia generale con delle
belle coordinate culturali, delle placide suddivisioni fra vita e
opere, struttura e tematiche, un commento pedestre che smorzerebbe l'
entusiasmo del più acceso lettore di poesia.
Non abbiamo trovato in
nessuna di queste antologie uno sforzo per convincere lo scolaro che
leggere Ariosto non è solo altamente culturale ma è anche fun,
spasso, divertimento, allegria. Forse l' antologia più colpevole di
quell'imperialismo culturale per cui tutto lo scibile deve essere
abbracciato e messo a confronto in una antologia letteraria, è Il
materiale e l' immaginario di Remo Ceserani e Lidia De Federicis.
Devo confessare una certa
ostilità verso questa impresa, specialmente nei volumi sul
Novecento, dove si cerca di far quadrare il cerchio, di far
funzionare tutto (le istituzioni, le poesie, i film, i movimenti
migratori, il monologo interiore e la stampa popolare, il cubismo e
il meridionalismo, la nuova oggettività e la Carta Atlantica). Pure,
basta consultare la sezione su Ariosto per rendersi conto che qui il
livello culturale è ben più alto delle altre antologie. Il
difficilissimo discorso sul Furioso è condotto con
suggerimenti che provocano l'intelligenza e ti costringono a pensare:
per esempio, l'inchiesta come motivo dinamico dell'azione; lo statuto
ambiguo del personaggio (altro che il realismo delle reazioni
psicologiche di Orlando, secondo Pazzaglia); l'importanza del tema
del tradimento (forse l'idea più interessante di tutta la parte
sull'Ariosto). Sono linee speculative stimolanti per lo scolaro,
anche se il tono generale dell'antologia è sempre eccessivamente
serioso. Inoltre la panoramica bibliografica di Ceserani e De
Federicis, e le letture parallele suggerite dall'antologia, sono
molto più ricche e meno provinciali di quelle delle altre
compilazioni, che citano i consueti Lanfranco Caretti, Walter Binni
ed Emilio Bigi. Il materiale e l'immaginario va a ripescare
la bellissima lettura del primo canto del Furioso fatta dallo
studioso americano D.S. Carne-Ross, e suggerisce di leggere Luigi da
Porto o Guicciardini nell'analisi della polemica ariostesca contro le
armi da fuoco.
Forse questa antologia è
fondamentalmente elitaria, perché richiede ottimi insegnanti e
studenti vivaci e interessati; ma almeno, un discorso sul Furioso
viene portato avanti senza eccessivo sussiego, mentre gli altri libri
di testo non fanno che affossare il poema, contribuendo a mantenerlo
illeggibile anche se nobilmente armonico, psicologicamente variegato,
emblematicamente significativo.
Certo, è facile
criticare le antologie: più difficile fare delle proposte
alternative. Il compito di fare da mallevadore fra la poesia da una
parte e la curiosità e gli interessi degli adolescenti dall' altra,
è tremendo. Azzarderò comunque qualche suggerimento. Io credo che
bisognerebbe abolire gli esclamativi e moltiplicare gli
interrogativi, sia nel senso letterale della punteggiatura, sia in
senso metaforico. Basta con l' enfasi, a morte il sussiego, al bando
la solennità e la pomposità. E invece avanti con i dubbi, le
interrogazioni, le incertezze, e magari anche le domande senza
risposta. E ancora: perché non eliminare gli aggettivi che tendono
troppo verso l'alto (sublime) o troppo verso il basso (profondo)?
Parafrasando un paradosso alla moda, si potrà dire che in questo
campo l'intelligenza deve essere superficiale: è la stupidità che
va a fondo. Non c'è modo di convincere lo studente che la lettura di
“così la neve al sol si dissigilla”, o “di nullo martìro fuor
che la tua rabbia” con quel che segue, è un'esperienza sublime e
profonda. Bisogna, invece, adoperare una segnaletica di superficie,
indirizzando i giovani lettori a quei versi senza spiegare troppo,
fidando nella poesia che potrebbe far scattare la scintilla della
comprensione.
In altre parole,
l'antologista non deve prendersi troppo sul serio. Un ultimo punto:
non bisogna staccare gli ormeggi dall'elemento ludico della
letteratura; e qui ci soccorre la Vita di Maria Wuz di Jean
Paul, appena pubblicata dalla Tea (pagg. 78), dove trovo
la frase seguente: “L'insegnamento del nostro Wuz... aveva in sé
qualcosa di infantile che ricordava il gioco; non però nella pena,
ma nella gioia”.
“la Repubblica”, 23
aprile 1988
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