In occasione dell'apertura di una interessante mostra a Nuoro, la storica dell'arte Fiorella Minervino ha tracciato per "La Stampa" un profilo, sintetico e sugoso, delle artiste del futurismo, che qui volentieri posto. (S.L.L.)
Wanda Vulz, Io + gatto |
Erano coraggiose, audaci,
anticonformiste. Anche belle e cocciute. Non era facile essere donne
e artiste all’alba del ’900 in un mondo tutto al maschile. Tanto
più in un movimento misogino come il Futurismo che nel Primo
Manifesto del 1909 dichiarava il disprezzo della donna, invocando
forza, velocità, guerra. Almeno secondo il programma dell’autore
F.T. Marinetti che tuttavia non ostacolò mai le tante giovani che
sperimentavano, a partire da sua moglie Benedetta (Cappa).
Spesso cominciavano sulla
scia del coniuge, amante o parente e sempre nel comune intento di
velocità, dinamismo, simultaneità, ma l’impulso era di liberarsi
dai vincoli, magari con nomi diversi per occultare l’identità e
approdare a linguaggi originali.
Le più coraggiose
Talune sceglievano lo
scandalo, come l’eccentrica parigina Valentine de Saintbon che nel
1912 rispose a Marinetti con Il Manifesto della donna futurista,
seguito nel '13 da quello della lussuria;
oppure l’audace Giannina Censi, aerodanzatrice, coreografa,
fanatica di volo, che nel ’30 stupì Milano con pantomime futuriste
al Castello Sforzesco e nel ’31 si esibì, al ritmo della sola
parola, stretta nella guaina simil alluminio progettata da
Prampolini. Alcune vissero sfruttate dai maschi come Elica e Luce, le
figlie di Giacomo Balla, recluse nella Casa d’Arte a preparare
arazzi, ricami, tappeti.
Altre erano irriverenti,
coraggiose, usavano sarcasmo, ironia e autoironia, come Adriana Bisi
Fabbri, lontana cugina di Boccioni, pittrice e vignettista pungente
contro politici e Cubisti, in anticipo sulla Nuova Oggettività.
Invisibili quasi fino
agli Anni 70, chi erano in realtà le amazzoni del Futurismo? A
rispondere, recuperandole talvolta alla memoria, è la preziosa
mostra L’elica e la luce. Le futuriste. 1912-1944, aperta al
Museo Man di Nuoro (fino al 10 giugno 2018) , curata da Chiara Gatti
e Raffaella Reich, che ne dilata il tempo agli Anni 40 con esiti
astratto-geometrici di Carla Badiali e Bice Lazzari.
Sfilano 100 opere, con 9
deliziosi filmati e documenti, elaborate da menti eclettiche;
scrivevano romanzi, poemi, articoli, parolibere, in parallelo davano
vita a pittura, scultura, foto, grafica, scenografia,
danza, cinema, teatro, arti decorative, studi di metapsichica e
occultismo.
Benedetta Cappa, Cime arse di solitudine. Museo dell'aviazione L. Caproni, Trento |
Convinte del loro ruolo, dopo che la Grande Guerra ne
aveva sottolineato la portata, esponevano in mostre rilevanti,
incluse le Biennali veneziane e Triennali; consapevoli del proprio
corpo, ne facevano spesso un’opera d’arte, anticipando Body Art e
performance.
Pochi hanno affrontato la
nevrosi alla pari di Adriana Bisi Fabbri in Autoritratto (1913) o la
follia come Leandra Angelucci Cominazzi (1932) nel turbinio di
capelli rossi surreali, sia pure ricordando gli Stati d’animo
di Boccioni.
Gatti, spilli,
alluminio
La triestina Wanda Wulz
parte dai Bragaglia e cattura straordinari fotomontaggi e
fotodinamiche come Io+ Gatto (1932), fusione del suo volto col
felino. Regina (Casoli Bracchi) introdotta da Fillia al Futurismo
Anni 30, inventa sculture originali con lastre d’alluminio in
rilievo, preparava prima la carta puntandola con spilli, ne risultano
creazioni rare come l’Amante dell’Aviatore, mentre la
boema Ruzena Za’tkova’ univa la Mitteleuropa agli incantevoli
altorilievi tridimensionali con tecniche miste, metallo, cuoio,
oggetti. Li racconta il noto Acqua corrente sotto ghiaccio e neve
(1918).
Regina (Casoli Bracchi), La danzatrice, in alluminio (1930) |
Della geniale Alma Fidora, artista totale, poco resta per i
bombardamenti delle due guerre, ecco Ventaglio (1914) e un
possente olio del 1919. L’intraprendente Marisa Mori aderisce
all’aeropittura Anni 30, dipinge travolgenti battaglie aeree e
spazi inediti; ma seduce Barbara (Olga Oglieri Scurto) aeropittrice,
con la visione de La città che ruota (1930). Caso unico è
Benedetta, ironica, arguta, sempre in viaggio col marito che l’adora;
affronta poesie, libri, invettive sarcastiche contro il sessismo pure
di Marinetti; è coreografa e pittrice di talento come
nell’acquerello di Velocita d’un motoscafo (1918) e
nell’olio Ritmi di rocce e mare (1929); è apprezzata tanto
che il Guggenheim a New York, nella mostra sul Futurismo (2014) la
celebra con la vasta sala dedicata ai pannelli delle Comunicazioni
terrestri, marine, aeree, telegrafiche, telefoniche e radio (1934)
per il Palazzo delle Poste di Palermo, dove figurano studi
preparatori. Altre sono da riscoprire nella gustosa rassegna che vale
il viaggio: Bruna, Tina Cordero, Adele Gloria, la Korompay, ecc. le
loro vite scorrono nel bel catalogo (ed. Officina Libraria).
"La Stampa", 31 marzo 2018
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