Da un supplemento del “manifesto” del 2010 dedicato al “transgenico” recupero una pagina sul mutamento climatico, sui suoi effetti sull’agricoltura mondiale, sulla lotta sotterranea o esplicita tra multinazionali dei semi e piccoli produttori contadini. Credo che la scheda e l’articolo di cui la pagina si compone – l’una e l’altro opera di un esperto nordamericano – fornisca sulle questioni aperte notizie e chiarimenti utilissimi. (S.L.L.)
Nepal, La festa contadina della semina del riso. |
Scheda
I dati su cui riflettere
Secondo un rapporto della Fao, un aumento della temperatura di 3-4 gradi Celsius potrebbe provocare un crollo dei raccolti del 15-35% in Africa e in Asia occidentale e del 25-35% nel Medioriente.
- Come conseguenza del cambiamento climatico, 65 paesi del Sud del mondo, soprattutto in Africa, rischiano di perdere 280 milioni di tonnellate di potenziale produzione di cereali.
- Gli aumenti di temperatura e i cambiamenti dei regimi di pioggia diminuiranno i periodi di crescita di oltre il 20% in molte zone dell’Africa sub-sahariana.
- Entro il 2060, i contadini delle zone aride dell’Africa sub-sahariana subiranno delle perdite di reddito del 25% per acro.
- I raccolti di riso asiatico diminuiranno drasticamente a causa di temperature notturne più elevate. Infatti, in presenza di condizioni climatiche più calde, la fotosintesi diminuisce o s’interrompe del tutto, l’impollinazione è ostacolata e si verifica la disidratazione. Secondo uno studio portato a termine dall’International Rice Research Institute, i raccolti di riso diminuiscono del 10% per ogni aumento notturno di un grado Celsius.
- La zona di maggiore produzione di frumento dell’Asia meridionale – l’enorme pianura indo-gangetica da cui proviene circa il 15% del raccolto mondiale di frumento – si ridurrà del 51% entro il 2050 a causa di condizioni atmosferiche più calde e asciutte e del peggioramento dei raccolti, una perdita che porrà almeno 200 milioni di persone a maggiore rischio di fame.
- Entro il 2055, l’America Latina e l’Africa assisteranno a un declino del 10% nella produzione di granturco.
- In America Latina, le perdite nella produzione di granturco alimentato a pioggia saranno di gran lunga superiori a quelle della produzione di granturco irrigato: alcuni modelli prevedono che le perdite raggiungeranno il 60% in Messico, dove circa 2 milioni di piccoli coltivatori vivono grazie alla coltivazione di granturco alimentato a pioggia.
- I raccolti selvatici saranno particolarmente vulnerabili all’estinzione causata dai cambiamenti climatici. Secondo uno studio delle specie di piante selvatiche connesse con i raccolti alimentari, il 16-22% dei parenti selvatici di cowpea (Vigna unguiculata), arachidi e patate si estinguerà entro il 2055 e il territorio geografico di coltivazione delle rimanenti specie selvatiche sarà ridotto di oltre la metà.
- A lunghissimo termine, nel 2070-2100, i modelli climatici prevedono dei cambiamenti climatici estremi e delle proiezioni impensabili per la sicurezza alimentare. Nel corso degli ultimi tre decenni di questo secolo, la temperatura media di molti tra i paesi più poveri del mondo oltrepasserà la temperatura massima raggiunta dagli stessi paesi tra il 1900 e il 2000. (p.r. m.)
Nepal, Contadina durante il raccolto del riso. |
Per ogni clima
di Pat Roy Mooney
Le analisi recenti riguardo al rapporto raccolti-clima suggeriscono che i cinque anni più caldi del XX secolo saranno paragonabili ai cinque più freddi della fine del secolo in corso.
Dal Nepal all’Etiopia alla Bolivia, i contadini assisteranno a temperature elevate come non mai e nessuno può sapere con certezza se verdure e animali sopravviveranno: potrebbero scomparire le razze e i semi tradizionali che i contadini allevano e coltivano da sempre, oltre ai loro parenti che crescono selvatici nelle radure e nelle foreste, e con essi la biodiversità genetica che serve al pianeta per adattarsi ai cambiamenti climatici.
Le multinazionali di sementi, le prime 10 delle quali controllano il 57% delle vendite commerciali mondiali, sono certe che le loro varietà brevettate saranno “adattabili a ogni clima”, più di quanto non lo siano le varietà dei contadini. Per contro, i contadini sostengono che saranno proprio le fattorie industriali su grande scala a trovarsi in difficoltà, mentre i loro semi possiedono la robustezza e la resistenza per adattarsi ai climi in cambiamento, ai parassiti e alle malattie. Chi ha ragione?
Multinazionali come Monsanto, Basf, DuPont, Syngenta e Dow hanno in mano le redini del gioco. Sotto pressione da parte di trattative commerciali bilaterali, regionali e dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), i governi nazionali del Sud del mondo stanno adottando norme sui semi applicabili alla nomenclatura, all’uniformità e alla manutenzione delle varietà, oltre che a leggi di mercato che stanno conducendo la biodiversità agricola locale all’estinzione.
Le licenze e le norme sui brevetti rendono quasi impossibile per i coltivatori la conservazione o lo scambio dei semi, le multinazionali trovano il modo di trarre profitto dalle future incertezze dei raccolti indotte dal clima.
Negli ultimissimi anni, le più grandi multinazionali biotecnologiche dei semi hanno applicato o ricevuto oltre 500 brevetti che, sostengono, aiuteranno i raccolti a rispondere a un’ampia gamma di situazioni critiche a cui saranno sottoposti – dalla tolleranza a sale, caldo o freddo, alle inondazioni. Parecchi di questi brevetti contengono individualmente molti – se non tutti – i raccolti del mondo e molte o tutte le forme di situazioni critiche; e s’impadroniscono di gigantesche sequenze genetiche che non hanno inventato ma scoperto. Il brevetto Us numero 7.161.063 della Basf, per esempio, rivendica una sequenza associata all’aumentata tolleranza allo stress ambientale che si trova in tutti i prodotti transgenici. Gli oltre 500 brevetti convergono attualmente in 55 di ciò che gli uffici dei brevetti definiscono “famiglie”, e 51 di queste sono di proprietà dei sei giganti dell’agrobusiness: Basf, Bayer, Dow, DuPont, Monsanto e Syngenta – oppure di piccole aziende biotecnologiche specializzate che lavorano con le grandi multinazionali. La Basf da sola possiede 21 “famiglie” ma ha stabilito una joint venture con la Monsanto, che ne possiede altre sei e, indirettamente, ha interessi in aziende che ne possiedono altre nove. In altre parole: la Basf e la Monsanto insieme possiedono direttamente 27 delle 55 principali famiglie di brevetto, e indirettamente 36.
Queste sei multinazionali sostengono, ovviamente, che né i coltivatori né la concorrenza sono obbligati a comprare o imitare i loro prodotti. Ma queste sei multinazionali insieme controllano il 73% delle vendite dei pesticidi mondiali, e quattro di loro oltre il 40% delle vendite globali di semi. È ovvio, quindi, che tutti sono costretti a seguire la direzione da loro intrapresa, ovunque essa conduca. E i principali ricercatori del settore pubblico stanno già dichiarando che le tecnologie d’ingegneria genetica e le sequenze genetiche “adattabili a ogni clima” possono essere la migliore risposta ai cambiamenti climatici.
Di fatto, alcuni tra i principali scienziati dipingono un’immagine incredibilmente pessimistica del futuro dell’agricoltura contadina. Sostengono infatti la possibilità di un “capovolgimento” relativamente veloce delle condizioni climatiche relative ai raccolti, che obbligheranno gli scienziati
agricoli a focalizzarsi sulle coltivazioni principali (frumento, riso, granturco, patata, soia) nelle maggiori aree di produzione, quali le pianure, le praterie, la pampa e la regione del Punjab. Ciò significa che 1,4 miliardi di persone che vivono nelle zone rurali, che dipendono dai semi conservati dai contadini e abitano territori marginali, saranno costretti a spostarsi nelle grandi città. In più, le grandi aziende biotecnologiche aggiungono che le colline abbandonate possono essere trasformate per la produzione del biocarburante.
Con la stessa velocità con cui i contadini dovranno riversarsi nelle città, la biodiversità agricola diventerà un ricordo. I semi dei raccolti che da oltre 12 mila anni sono custoditi dalle famiglie di agricoltori si estingueranno, schiacciati dai grandi raccolti trans geneticamente uniformi della biotecnologia, coltivati nelle regioni con i terreni più favorevoli, e dalla diffusione dei raccolti per combustibile, altrettanto uniformi e coltivati nei terreni più aspri.
Esiste un’alternativa realistica?
Assolutamente sì. Via Campesina – la più grande rete mondiale di piccoli coltivatori – ha unito le sue forze con i pastori, i pescatori e le popolazioni indigene, nel tentativo di promuovere un punto di vista, su cibo e agricoltura, all’interno del concetto di “sovranità del cibo”, che enfatizza la produzione e il consumo locale e promuove il rispetto per i produttori e i consumatori.
La sovranità del cibo valorizza la diversità genetica. Piuttosto che adottare un approccio iper-tecnologico, monopolistico e mai testato, ai cambiamenti climatici, i piccoli coltivatori stanno facendo pressione per lo sviluppo di raccolti “sotto-utilizzati”, che hanno mostrato grande plasticità di fronte alle situazioni di cambiamento, oltre a possedere considerevoli qualità nutrizionali.
Due decenni fa, in una serie che purtroppo descriveva “gli ultimi raccolti” dell’Africa e delle Ande, il National Research Council degli Stati Uniti ha richiesto lo sviluppo degli oltre 50 raccolti che sembrano essere adattabili alla temperatura, all’esposizione solare, all’altitudine e alle precipitazioni
che li rendono candidati eccellenti per ulteriori ricerche. Questi 50 raccolti non si sono quasi mai trovati nelle banche del gene nazionali o mondiali e attualmente sono protetti soltanto nei campi dei contadini.
Se riusciremo a collaborare con i piccoli coltivatori di tutto il mondo per sviluppare questa diversità, forse i nostri bambini non saranno destinati a mangiare la polvere.
“il manifesto” Supplemento alimentazione - febbraio 2010
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