23.9.12

Spagna 1936. Nuove fonti sui retroscena vaticani (di Alfonso Botti)


Francisco Franco

Settantacinque anni fa, con il discorso del 14 settembre, per la prima volta il papa prese posizione pubblicamente sulla guerra civile
Il 14 settembre 1936, a Castel Gandolfo, Pio XI prese per la prima volta pubblicamente posizione sulla guerra civile spagnola, rivolgendosi a un gruppo di circa cinquecento ecclesiastici scampati alle brutali violenze che si erano abbattute sul clero all'indomani della sollevazione militare. Ancora qualche giorno prima, il 5 settembre, parlando ai terziari francescani, il pontefice si era riferito «a quella Spagna, dove fratelli uccidono fratelli» e dove era compiuto «orribile scempio di ogni cosa più umana, nonché divina e cristiana», esortando alla preghiera, ma rimanendo al di sopra delle parti.
Il discorso del 14 settembre era stato preparato con cura, tradotto in castigliano e distribuito ai presenti. L'indomani apparve sull'«Osservatore romano». Auspicando il «pieno e sicuro ritorno di serena pace», il papa inviava in modo speciale la propria benedizione a quanti si erano assunti «il difficile e pericoloso compito di difendere e restaurare i diritti e gli onori di Dio e della Religione». L'allocuzione pontificia ebbe un grande impatto internazionale, anche se nella Spagna dei militari ribelli il discorso fu censurato nella parte finale laddove il papa metteva in guardia sugli eccessi della difesa, sull'eventualità che «intenzioni non rette e interessi egoistici o di partito» subentrassero «a intorbidare e alterare tutta la moralità dell'azione» e invitava gli «altri» a tornare nella casa del Padre quando «l'arcobaleno della pace» si sarebbe lanciato «nel bel cielo di Spagna».
Oltre a una chiara opzione tra le due parti in lotta, era - come ha ricordato l'autorevole storico della Chiesa Hubert Wolf sulla «Frankfurter Allgemeine Zeitung» del 10 settembre scorso (Francos Putsch und Papsten Segen) - una legittimazione del colpo di stato militare, della violenza e del conflitto, formulata in base alla tradizionale dottrina sulla «guerra giusta». Sebbene alcuni vescovi spagnoli si fossero già apertamente pronunciati sulla guerra in corso, definendola una «crociata», il discorso del papa segnò un momento di svolta decisivo. A quella linea la Santa Sede si attenne, non senza qualche distinguo e diversità di toni rispetto al ben più militante episcopato e clero spagnolo, fino alla fine delle ostilità, quando il successore di Pio XI, papa Pacelli, celebrò la «vittoria» dei franchisti nel messaggio radiofonico del 16 aprile 1939.
Alla luce della nuova documentazione, accessibile con l'apertura dell'Archivio Segreto Vaticano per il pontificato di Pio XI, è ora possibile stabilire che la svolta fu tale non solo per i motivi appena detti, ma perché la posizione che Pio XI assunse fu diversa, nella forma e nel contenuto, da quella che aveva pensato di prendere, almeno fino alla fine di agosto.
Nell'udienza con Pacelli del 15 agosto, infatti, il papa si era mostrato orientato ad affrontare il problema spagnolo attraverso una Lettera Pontificia al Segretario di Stato. Del documento esistono almeno tre stesure. Nella prima il pontefice si rivolgeva a «tutti i nostri figli di Spagna» (compresi i non credenti) affinché cessassero dall'uccidersi tra di loro, invitando «tutto il mondo a pregare per la cessazione della strage fraterna». Nella seconda, come risulta dagli appunti, sempre di Pacelli, dell'udienza del 25 agosto, in nome della paternità universale il pontefice elevava la propria voce «per supplicare gli uomini e Dio» affinché cessasse «questo spettacolo così inumano di strage fratricida». Nella terza, simile alle precedenti, compare la seguente annotazione: «Progetto di Lettera Pontificia al Card. Segretario di Stato sospesa per disposizione del S. Padre 28-29 agosto 1936».
Nelle tre versioni, dunque, così come in un articolo, poi non pubblicato, sull' «Osservatore romano», ciò che si chiedeva apertis verbis era la cessazione della guerra. Un'invocazione che invano si cercherà nel discorso del 14 settembre. In esso, come si è visto, il pontefice pregava per il ritorno della pace, si sbilanciava fino a pronosticarne il ritorno a breve, ma non faceva appello alla cessazione delle ostilità. E una pace che fosse giunta senza cessazione delle ostilità poteva essere soltanto il risultato di una vittoria di una parte sull'altra.
Quali i motivi di tale svolta? Lo scatenarsi di una rivoluzione e le violenze anticlericali, per altro già note alla metà di agosto, non bastano da sole a spiegare l'abbandono del progetto originario e i contenuti del discorso del 14 settembre. Lo stesso dicasi per la requisizione degli edifici delle congregazioni religiose destinati all'insegnamento, decretata alla fine di luglio e per la costituzione, anch'esso alla fine di luglio, a Barcellona, del Comité de Milicias Antifascistas, che era subentrato al governo della Generalitat quale principale organo esecutivo e nel quale erano entrati rappresentanti delle sinistre estreme.
Allo stato delle ricerche si può solo ipotizzare il concorso di altri fattori. Anzitutto la mancata risposta delle autorità repubblicane alla formale protesta, inoltrata per via diplomatica dalla S. Sede, sulle violenze anticlericali con la richiesta di una esplicita dissociazione e condanna. Poi, ma non meno importante, il primo dei rapporti sulla situazione spagnola inviato il 13 agosto alla Santa Sede dal cardinale primate Gomá in cui, tra l'altro, si menzionava l'esistenza di un complotto comunista che la sollevazione militare aveva sventato e si affermava che le violenze anticlericali erano state programmate. Non a caso il pontefice nel discorso del 14 settembre alludeva ad esse nei termini di una «satanica preparazione». Indi il decreto che in modo discrezionale attribuiva alle autorità repubblicane la facoltà di chiudere le sedi e sciogliere le congregazioni religiose che avessero partecipato in modo diretto o indiretto «al movimento sedizioso». E poi ancora, ma già oltre la fine di agosto, la costituzione, i primi di settembre, del governo di Fronte popolare presieduto da Largo Caballero (il «Lenin spagnolo») nella cui compagine figuravano alcuni ministri comunisti.
È, infine, probabile che sulla netta opzione del pontefice influì l'orientamento di Pacelli che il 6 agosto aveva riferito all'ambasciatore francese l'impossibilità della Chiesa di rimanere neutrale, in considerazione della minaccia comunista. Seguendo giorno per giorno, dal 19 luglio al 14 settembre, le cronache e i commenti sull'«Osservatore romano» si ha un'ulteriore conferma del graduale delinearsi del nuovo atteggiamento con il passaggio da una posizione ancora interlocutoria e tendenzialmente equidistante a una chiara opzione a favore dei militari ribelli. Se queste sono alcune delle possibili cause di quella scelta, meno dubbi restano sulle sue gravi conseguenze.
Pur svolgendo una discreta e incessante azione diplomatica presso le autorità franchiste per l'umanizzazione del conflitto e a favore della commutazione delle pene capitali, come rivela la ricchissima documentazione vaticana, la Santa Sede rimase imbrigliata nella scelta di ritenere quella una «guerra giusta» e non poté più svolgere un ruolo di pacificazione. Restò così al margine dei tentativi di soluzione negoziata del conflitto avanzati dalla diplomazia francese, britannica e da altre entità (compresi gruppi di prestigiosi cattolici con alla testa Sturzo, Maritain e lo spagnolo Mendizábal). Tacque pubblicamente di fronte alle atrocità commesse dai militari sediziosi e dai falangisti. Fu reticente sui bombardamenti dei centri abitati. Avallò di fatto, anche se non fece mai propria la parola, l'interpretazione della guerra civile come «crociata» sostenuta dall'episcopato spagnolo, che concorse a innalzare i livelli di violenza: trattandosi di un conflitto tra il bene e il male, infatti, non erano possibili compromessi e il male andava distrutto. Come spesso avviene, la distanza e l'acquisizione di nuove fonti rendono più agevole l'interpretazione del passato. È così che una nuova stagione di studi sul ruolo della Chiesa nella guerra del 1936-39 si va aprendo.

“il manifesto” 14.09.2011

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