Jean-Joseph Surin |
"Bisogna sapere che ci sono due vie per pervenire alla conoscenza delle cose, che si chiama scienza. La prima via è lo studio: leggere molto, ascoltare i maestri, fare gran lavoro. L'altra via è nell'abbandono e nella separazione da ogni affezione alle cose create, avvicinandosi a Dio e dandosi all' orazione. Così l' anima si trova istruita dall' alto...e anche le cose umane e naturali vengono spesso scoperte..."… Per quanto riguarda la "seconda via" c' è dietro tutta l' esplosione del misticismo cattolico francese del secolo XVII: il brano è tratto infatti da Jean-Joseph Surin (1600-1665), gesuita, scrittore mistico, la cui produzione letteraria spirituale viene esaminata da Mino Bergamo (La scienza dei santi - Studi sul misticismo del Seicento, Sansoni, pagg. VIII-256, lire 18.000).
Il primo interesse di Bergamo appare quello dell' analisi e della comparazione dei testi: strada talvolta complessa e adatta a studiosi specialisti. Tuttavia, attraverso la tela scientifica, l'autore rivela un Surin in tutta la sua altezza mistica e anche in tutta la sua piacevolezza letteraria. Più noto per essere stato inviato dal cardinal Richelieu ad esorcizzare Madre Giovanna degli Angeli e le altre Orsoline di Loudun invase dal diavolo - dalla cui traumatica esperienza riporterà vent'anni di forti turbamenti psichici - Surin è il più chiaro e appassionato "teologo" della corrente mistica francese del Seicento. Ma, coerente con il proprio giudizio e il giudizio di tutti i mistici sulla inutilità della scienza, anche teologica (diffida delle "potenti macchine della teologia") ecco che, per parlare della contemplazione, della "scienza dei santi", si affida più alla poesia che ai trattati. Una poetica quasi popolare, quasi stornellistica, che canta l' annientamento di sé, il rifiuto di ogni cosa, per lanciarsi nell' amore di Dio. Nei Cantici spirituali dell' amore divino, sotto la lievità e serenità della parola, c'è la stessa passione dei mistici spagnoli del secolo precedente al suo, lo stesso languore delle mistiche italiane del Duecento. Scrive Surin, descrivendo l' Amore che lo prende in suo potere: "Il a rèduit mon coeur en poudre / depuis une langueur extreme / me tient tout l'esprit empechè". Come sant'Angela da Foligno, la mistica francescana del Duecento, che così descriveva una sua estasi: "Internamente l' anima gridava che egli (Cristo) non la facesse languire di quella morte, ché la vita stimava morte". Dagli sviluppi delle tesi di San Paolo (la sapienza della croce e l' insipienza dei sapienti) e dalla ascetica della povertà dei movimenti religiosi del Due-Trecento, Surin arriva alla "passione della perdita" di sé e delle cose, all' annientamento interiore gratuito, senza mire di ricompensa, nemmeno celeste, ma solo per puro amore di Dio, al culmine della "scienza dei santi", cioè di coloro "che hanno abbandonato nelle mani di Dio perfino la loro salvezza e la loro eternità, senza voler conservare in se stessi alcuna inquietudine, né sguardo alcuno se non per vedere ciò che da essi vuole Dio, al quale essi vogliono piacere sempre, e non sono scossi da alcuna cosa se non per servire Dio di puro amore per lui". Arrivata allo stesso stadio di contemplazione, Angela da Foligno scrive: "giungo ad amare rettili e rospi e fino i demoni; se allora un cane mi divorasse, non me ne preoccuperei e, credo, neppure me ne affliggerei o proverei dolore".
Splendidi viaggi nella mistica, che però non piacciono ai superiori. Surin deve smettere di scrivere delle sublimi cose di Dio, sia in prosa che in poesia. "Vostra reverenza", gli scrive il Vicario generale della Compagnia di Gesù, "indirizzi la sua penna da qualche altra parte. Non mancano materie molto più utili, per esempio la riforma dei costumi o la spiegazione della Sacra Scrittura".
“la Repubblica”, 28 luglio 1984
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