Più uguali
Salvatore Lo Leggio
Verso la metà degli anni Ottanta, grazie allo sforzo diplomatico del premier Craxi e del ministro Andreotti, un nuovo Concordato con la Chiesa cattolica sostituì quello mussoliniano del 1929. Le concessioni ai preti erano tali che con qualche ragione Rutelli, bello guaglione radicale, arrampicandosi su un balcone di Montecitorio, vi collocò la bandiera vaticana. Socialisti, comunisti e altri laici votarono invece soddisfatti: dicevano che era un grande passo avanti l’abolizione della qualifica di “Religione di Stato”, che in precedenza spettava al cattolicesimo romano, differenziandolo nettamente da protestantesimo, ebraismo, ecc., abbassati al rango di “culti ammessi”.
Cambiava anche il profilo giuridico della religione nelle scuole secondarie statali. Col nuovo Concordato il suo insegnamento non era più un obbligo (da cui chiedere eventualmente l’esonero), ma era derubricato a offerta formativa di cui l’alunno liberamente si avvaleva o non avvaleva, con la possibilità di un insegnamento alternativo. La sostanza non cambiava. I ragazzi che “si avvalevano” lo facevano automaticamente con l’iscrizione, come se fosse la scelta “normale”, mentre ai “non avvalentisi” le scuole richiedevano una domanda scritta. Solo dopo un lungo e complicato contenzioso si affermò la prassi di inserire l’opzione nella domanda di iscrizione.
Un altro problema toccava gli insegnanti di religione, che erano scelti dal Vescovo e non dall’amministrazione statale. Molti – con ottime ragioni - volevano che rimanessero fuori dal lavoro collegiale e seguissero una loro peculiare programmazione didattica distinta da quella dei consigli di classe. Ma questa fu ritenuta dalla Chiesa militante un’oltraggiosa bestemmia laicista: quelli di religione – dicevano – devono poter decidere di bocciature, promozioni e voti di condotta come tutti gli altri e non essere trattati da insegnanti di serie B.
Le gerarchie cattoliche non si limitarono però a volerli uguali, nel tempo li pretesero “più uguali”, come i maiali della orwelliana Fattoria degli animali. Sono di conseguenza molti i privilegi di cui godono codesti insegnanti, anche per le compiacenze del ceto politico di destra e di sinistra. Gli esiti sono talora paradossali. I docenti a tempo indeterminato, per esempio, in caso di revoca del nulla osta vescovile, perdono la possibilità di insegnare, ma non lo stipendio: i vescovi potrebbero mettere in atto una strategia per sistemare i disoccupati loro protetti e ho l’impressione che da qualche parte lo facciano veramente.
Anche gli insegnanti di religione precari godono di un privilegio esclusivo: gli scatti biennali che gli altri precari possono solo sognarsi. Quattro anni fa il Tribunale del lavoro di Perugia stabilì che si trattava di un ingiusto vantaggio, ma la sentenza rimase sulla carta.
I precari delle altre materie fondamentali (italiano, matematica, scienze, ecc.), che reclamavano analogo trattamento, nulla nell’immediato ottennero. Ora la Corte d’Appello di Perugia ha ribaltato la sentenza con una decisione destinata a “fare giurisprudenza”. Secondo i giudici, gli scatti sono previsti solo per i precari di religione, il cui rapporto di lavo ro sarebbe regolato da norme speciali.
Questa condizione di “più uguali” di cui godono gli insegnanti di fiducia della Chiesa cattolica è emblematica delle condizioni di favore di cui preti e pretini godono in diversi ambiti: basti come esempio il trattamento fiscale degli immobili. In Italia si può dire che viga un “doppio diritto”, disuguale, che ci riporta a situazioni da ancien régime.
Si comprende perché, con questi chiari di luna, la solennità civile del 20 settembre, che ricorda la fine del potere temporale della Chiesa cattolica sia passata quasi completamente sotto silenzio. A guardare le cose col senno di poi, a distanza di tanti decenni, si direbbe che i Bersaglieri nel 1870 abbiano aperto quella breccia a Porta Pia per permettere al Papa e ai Papalini di regnare, invece che sulla sola Roma, su tutta l’Italia.
Pubblicato nella rubrica "La battaglia delle idee"
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