Il primo Berlusconi (e a fasi alterne anche il secondo) lasciava trapelare un incontenibile fastidio per la Costituzione italiana. Parlava di tanto in tanto di “costituzione sovietica” ed alcuni dei suoi servili interpreti, ministri o giornalisti, puntavano il dito sull’articolo 1, sulla “Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Un’altra accusa del Cavaliere e dei suoi cavallerizzi al dettato costituzionale era un peccato d’omissione: “manca ogni riferimento – gridavano indignati – alla centralità dell’impresa”. Berlusconi non riuscì a mutare la Costituzione formale nella sua prima parte, quella che ne fissa i principi, ma un mutamento della “costituzione materiale” è avvenuto: per cui alcuni articoli al potere sembrano essere obsoleti e sono perciò sistematicamente disattesi, mentre altre norme, pur non essendo state approvate si fanno strada.
Una verifica di tutto ciò si può trovare nelle forti dichiarazioni di Napolitano sulla corruzione e sui privilegi dei politicanti di ieri sera. L’uomo del Quirinale ha alzato la voce e ha gridato che la situazione rivelata dai cali laziali "non e' accettabile per persone sensibili al bene comune, per cittadini onesti, né per chi voglia avviare un'impresa". In una repubblica fondata sul lavoro ci si sarebbe aspettato che il Presidente esprimesse, insieme a quella dei cittadini onesti, soprattutto la rabbia dei lavoratori, di quelli a 1000 euro al mese e anche meno, di quelli precari con i lavoretti saltuari e sottopagati, di quelli disoccupati, di quelli licenziati, di quelli che rischiano il licenziamento a breve termine e di tutti gli altri che subiscono riduzioni di redditi, diritti e tutele. E invece no: Napolitano, principescamente, mostra di considerare “canaglia pezzente” e dunque poco “sensibile” la massa dei lavoratori e si preoccupa invece di chi investe capitali. Insomma l’emarginazione dei lavoratori e la centralità dell’impresa, chiodo fisso dei berlusconiani.
L’ex capo dei miglioristi è tornato sul tema della corruzione anche oggi: “Bisogna combatterla. Ce lo chiede l’Europa!”. C’è un sistematico e ricorrente servilismo del signor Napolitano nei confronti di questa indistinta Europa, a cui un Presidente della Repubblica Italiana con un minimo d’orgoglio risponderebbe piccato che l’Italia non necessita di consigli e può fare pulizia senza altrui sollecitazioni. Ma il signor G no, lui dice agl’Italiani “l’Europa lo chiede”. Umilmente gli domando: se l’Europa non lo chiedesse, dovremmo tenerci la corruzione e le malversazioni dei politicanti, non sarebbero ugualmente un cancro da estirpare?
Ultima osservazione. Il visionario del Quirinale ieri aggiungeva al suo argomentare un parallelo, assolutamente condivisibile, tra lotta alle mafie e lotta alla corruzione, che così concludeva: "Vincere le mafie si può, come hanno dimostrato 20 anni fa Falcone e Borsellino". La frase riportata dall’AGI e da altre agenzie è insensata: venti anni fa Falcone e Borsellino furono uccisi e non mi pare che questa fosse una vittoria sulla mafia. C’è di peggio: da molti elementi convergenti risulta che proprio vent’anni fa, intorno a quelle due orribili manifestazioni della “potenza di fuoco” di Cosa Nostra, si svolse una torbida e oscura trattativa tra pezzi dello Stato e “Cupola”; ma Napolitano non dice ai suoi potenti amici nelle istituzioni dello Stato di pentirsi, di confessare, di vuotare il sacco, ma concorre con atti e dichiarazioni a creare polveroni e a delegittimare i magistrati antimafia. Si vergogni.
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