22.1.13

Il Settecento parigino. Salotti: la gaiezza come disciplina (Benedetta Craveri)

Il salotto di Madame Geoffrin
“Signora marescialla bisognerà che io riprenda le cose un po' dall'alto. Dall'alto quanto vorrete, purché possa capirvi. Se non mi capiste, sarebbe certamente colpa mia”.
Forse niente meglio di questo dialogo immaginario scritto da Diderot (Entretien d un philosophe avec la Maréchale de...) ci illumina sulla natura dell'alleanza che si stipula in Francia, a incominciare dalla Reggenza, tra aristocrazia e cultura, gente di lettere e gente di mondo.
Gli intellettuali si impegnano ad essere chiari, divertenti, brillanti, a rendere accessibile lo scibile umano, a piegare la scienza, la filosofia, la politica, l'economia, persino la teologia, alle forme del dialogo e della conversazione. Fontenelle è tra i primi ad aver dato l'esempio, intrattenendo una marchesa sulla pluralità dei mondi. I mondani si mostrano dal canto loro pronti a imparare e meravigliosamente onnivori. Gli scrittori si servono della gente di mondo per sostenere le proprie idee, ottenere appoggi economici e protezione politica: aiuti quanto mai necessari dal momento che, a differenza dei loro predecessori, essi hanno smesso di volgere il loro sguardo al re e alla corte per arruolarsi al servizio dell' opinione pubblica. E la gente di mondo, alle prese con la grave crisi dei valori tradizionali, in cerca di nuove certezze e di antidoti potenti contro la noia, chiede per questo aiuto agli scrittori.
E' una alleanza destinata a durare e ricca di conseguenze per entrambi i contraenti e per l'intera Nazione. Nel 1751 Charles Pinot-Duclos è già in grado di tracciarne un bilancio estremamente significativo: l'unione è stata di reciproca utilità. Le persone di mondo hanno coltivato lo spirito, formato il gusto e trovato nuovi piaceri. Gli uomini di lettere ne hanno tratto vantaggi non inferiori. Hanno trovato considerazione, perfezionato il gusto, affinato lo spirito, ingentilito i costumi, e acquistato su vari argomenti lumi che non avrebbero attinto dai libri.
Terreno d'incontro tra due mondi, tra lo spirito di società e l'Opinione, sono i salotti. Nati nel XVII secolo, essi assurgono ora a ruolo di primissimo piano nella vita sociale, culturale e politica del paese. Le ragioni della loro diffusione e dell' importanza crescente che essi acquistano nel giro di due generazioni non vanno cercate tanto nella tradizione seicentesca, quanto nel preciso contesto storico in cui essi affondano le loro radici. Tre sono i fattori essenziali che nel XVIII secolo concorrono a determinare l' ascesa dei salotti: la fine del monopolio mondano di Versailles, legato alla decadenza del prestigio reale, il ruolo predominante assunto dalla donna e il bisogno di informazione.
E' proprio questo bisogno d'informazione a trasformare i salotti da mondi preziosi, chiusi in se stessi, nati in antitesi al contesto politico-sociale del paese, in tessere di un unico mosaico, in punti di intersezione di un organico sistema di comunicazione e di scambio di informazioni. Ogni salotto ha una sua precisa fisionomia e una sua importanza oggettiva che varia a seconda del peso sociale della padrona di casa, della sua intelligenza, del suo fascino, ma è anche parte integrante di un unico, grande organismo, separato dal quale perderebbe quasi tutta la sua forza.
Nessun salotto, appartenga esso all' alta aristocrazia o alla noblesse de robe, al mondo della magistratura o della finanza, detiene un diritto d'esclusiva sui suoi frequentatori. Si possono scegliere gli invitati, ma bisogna essere rassegnati a spartirli. Gli ospiti circolano da una casa all'altra a un ritmo sempre più frenetico, e con loro circolano le notizie del giorno, gli avvenimenti politici, le novità culturali, i pettegolezzi, le mode, i libri, le idee.
Gli equipaggi corrono per tutte le strade della città e dei sobborghi, stigmatizza, alla vigilia della Rivoluzione, Louis-Sébastien Mercier. Ci si ferma davanti a una ventina di porte per lasciare il proprio nome. Ci si affaccia per un quarto d'ora in una mezza dozzina di case; c'è il giorno della marescialla, della presidentessa, della duchessa. Bisogna esibirsi in ogni salotto, salutare, sedersi sulla sedia che in quel momento è libera, e così si crede di poter coltivare la conoscenza di centinaia di persone. E la baronessa d'Oberkirch, in Francia nel 1782, constata: “Qui a Parigi non mi appartengo più... ho appena il tempo di scambiare due parole con mio marito. Non so come facciano quelle donne per cui questa vita è la norma”.
Ogni salotto importante ha infatti i suoi giorni fissi di ricevimento e ogni giorno dell'anno ha i suoi salotti. Si riceve dall' una di pomeriggio fino a tarda notte. Il pranzo, la cena, il souper servito a sera inoltrata, non sono delle cesure ma si inseriscono nel continuum della vita sociale. Questo ininterrotto tour-de-force mondano è certo reso possibile dalle condizioni di grande stabilità della vita dei privilegiati sotto l' Ancien Régime. Nessun lavoro duro e precoce in quei tempi, osserva Taine, nessuna concorrenza accanita; nessuna carriera indefinita o prospettive troppo lontane. I ranghi sono determinati, le ambizioni limitate, l' invidia è minore. L' uomo non è abitualmente scontento, inasprito, preoccupato come oggi. Si hanno pochi abusi di diritti là dove non si hanno diritti: noi pensiamo solo a fare carriera, loro non pensavano che a divertirsi. Ma il divertimento non è semplice svago, è una necessità esistenziale; la gaiezza è una disciplina, il desiderio di piacere una tirannide.

Da I chiacchieroni meravigliosi “la Repubblica”, 21 agosto 1987

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