Maddalena Rostagno |
Il suono di una sola mano, con sottotitolo Storia di mio padre Mauro Rostagno, è il titolo di un libro che Maddalena Rostagno e Andrea Gentile hanno pubblicato nel 2011 per Il Saggiatore. La figlia di Mauro Rostagno aveva quindici anni quando suo padre fu assassinato dalla mafia. Un colpo duro per la ragazza che lo aveva seguito dalle stanze di Macondo a Milano a Puna in India, fino a Trapani, dove Rostagno aveva creato un centro per tossicodipendenti e lanciava le sue sfide alla radio.
Passeranno molti anni da quel 26 settembre 1988, perché Maddalena trovi la forza per aprire i cassetti e riconciliarsi con la memoria. Ne passeranno ancora di più perché il procuratore Ingroia, superando gli innumerevoli depistaggi, trovi le prove per rinviare a giudizio i probabili assassini e i loro mandanti (2008) e altri ancora perché finalmente si apra il processo (2011) non ancora concluso, ma già pieno di inquietanti rivelazioni.
“Alias”, il supplemento del “manifesto”, ha ripreso nell'ottobre 2012 un capitolo struggente dal libro di Maddalena, il decimo. Ne “posto” qui una parte. (S.L.L.)
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Mauro Rostagno |
Ricordo che per diverso tempo, molto tempo, sono stata arrabbiata con lui. Che non mi aveva detto niente del pericolo che stava correndo. Che aveva rinunciato a me, a noi, per il suo lavoro. Che aveva deciso di andare avanti da solo. Ricordo che quell’idea, l’idea di quello che successe, non mi era mai venuta in mente nemmeno per un millesimo di secondo. Che non avevo nessun sentore di pericolo, che fu davvero come l’elaborazione dell’inelaborabile.
Ricordo che per diverso tempo, molto tempo, non ho mai parlato con nessuno di lui, di quello che gli era successo; di noi, di quello che ci era successo.
Ricordo che il 27 settembre 1988 sono andata in camera sua, a rovistare, in cerca di qualcosa, una lettera, un messaggio, qualcosa che mi desse una spiegazione. Ho trovato una lettera di Renato Curcio. Da quel momento abbiamo iniziato a scriverci.
Ricordo che il 27 settembre 1988, in una cava poco distante da Saman, è stata trovata una macchina bruciata, appartenente al parco macchine della mafia e rubata a Palermo il 30 marzo 1988 «ed oggetto di tempestiva denuncia».
Ricordo che il 27 settembre 1988 una delle prime persone ad arrivare a Saman è stato Paolo Borsellino.
Ricordo che il 29 settembre 1988 il procuratore della Repubblica Antonino Coci ha rilasciato un’intervista al Giornale di Sicilia. Il giornalista gli ha chiesto: «Ma Rostagno è stato ucciso dalla mafia?». Lui ha risposto: «E come si fa a dirlo? Bisognerebbe prima essere sicuri dell’esistenza di gruppi organizzati». «Trafficanti di droga?» «Che io sappia, Trapani non è un centro del traffico di eroina […]. Posso dire che dal luglio del 1987 al giugno scorso, in Procura non è arrivato alcun rapporto di polizia giudiziaria per associazione mafiosa. E allora come si fa a dire che esiste la mafia a Trapani?»
Ricordo che qualche riga dopo, nella stessa intervista, il procuratore della Repubblica Antonino Coci ha aggiunto: «Perché la gente dovrebbe ribellarsi alla mafia? La mafia qui ha portato soldi, benessere, lavoro e tranquillità».
Ricordo che io e Chicca siamo rimaste in Sicilia ancora un anno. Poi ci siamo trasferite a Milano. Siamo scappate anche dalla Trapani che scriveva sui muri mauro è vivo. È sempre stato Mauro a decidere dove andare a vivere. È stato duro, molto duro. Ricordo che le indagini sono state affidate al pubblico ministero Francesco Messina.
Ricordo che il 1º maggio 1989 è stato ucciso un certo Vincenzo Mastrantonio, l’autista più fidato di
Vincenzo Virga. Negli ambienti di Cosa Nostra dicono che sono «parrino e figlioccio».
Ricordo che proprio il 26 settembre 1988 sulla strada per Saman c’era un blackout e che proprio questo Vincenzo Mastrantonio di mestiere faceva il tecnico Enel.
Ricordo che per anni non mi sono occupata di queste questioni. Che non ho letto carte, ho chiuso
gli occhi, ho cercato di dimenticare.
Ricordo che l’unica cosa che volevo non potevo riaverla.
Ricordo che il 13 ottobre 1988 Renato Curcio mi ha raccontato in una lettera del loro primo incontro. «Qualcuno mi invitò in una strana mansarda dove doveva svolgersi una strana discussione. Sulle scimmie antropoidi». «Chissà che non impari qualcosa anche sulla mia intelligenza» pensai. E così, senza troppo indugiare, mi infilai. Quel giorno indossavo un gilè alla Toulouse-Lautrec. Un look un po’ buffo ai suoi occhi di allora, tant’è che egli, appena mi vide, sbottò in una formidabile risata. Come se fossimo stati da sempre amici. E, forse, anche se non ci eravamo mai visti prima, era proprio così».
Ricordo che il 15 maggio 1989, al mio primo compleanno senza Mauro, Chicca mi ha regalato un libro con i testi delle canzoni dei Beatles, indicandomi quello di When I am sixty-four. Gliela cantava sempre Mauro, quando si erano appena conosciuti. Parla d’amore. «When I get older losing my hair / Many years from now /Will you still be sending me the Valentine / Birthday greetings, bottle of wine.»
Ricordo che Chicca quel libretto l’ha firmato con il disegno di tre margherite. Da quel momento firmerà sempre così. Siamo noi tre.
Ricordo che quando abbiamo iniziato a lavorare su questo libro, ho pensato che per descrivere Mauro ci sarebbe voluto un disco in allegato. Una compilation, dieci canzoni per ogni momento della sua vita, per ogni mio ricordo. Avrei scelto:
1) Sultans of swing dei Dire Straits, perché è lui che balla, scanzonato, appassionato.
2) Cuanta pasión di Paolo Conte, perché «una ilusión temeraria, un indiscreto final».
3) The sound of silence di Simon & Garfunkel, perché è la canzone che scelsi come colonna sonora per accompagnarlo al cimitero.
4) Voglio vederti danzare di Franco Battiato, perché la ascoltava quasi ogni giorno.
5) Me and Bobby McGee di Janis Joplin , perché è Janis Joplin.
6) Bartali di Paolo Conte, perché è lui, godereccio e dissacrante.
7) Emozioni di Lucio Battisti, perché lui tanti anni prima aveva detto ai compagni che Battisti si poteva ascoltare, anche se non era un compagno.
8) Rimmel di Francesco De Gregori, perché forse nel suo salotto De Gregori stava suonando proprio quella, mentre io facevo la pipì sul suo tappeto.
9) Andrea di Fabrizio De André, perché è una canzone d’amore e una canzone contro la guerra.
10) La libertà di Giorgio Gaber, perché parla di libertà, perché libertà è partecipazione.
Ricordo che subito la polizia e il dirigente della Squadra mobile Calogero Germanà hanno parlato di
delitto mafioso. Che subito i carabinieri, il brigadiere Beniamino Cannas e il maggiore Nazareno Montanti hanno detto che no, non era un delitto mafioso.
Ricordo che Calogero Germanà è l’unico che si è visto puntare contro un’arma da Matteo Messina Denaro e può ancora raccontarlo.
Ricordo che il 27 settembre 1988 Chicca sentì un carabiniere dire ai giornalisti che nella sua borsa che era nell’auto avevano trovato dollari e siringhe; che Chicca andò subito dal pm Francesco Messina per chiedergli di smentire, e lui smentì.
Ricordo di aver letto molti anni dopo che la prima delle voci che girò subito dopo la morte del magistrato Antonino Scopelliti, ucciso dalla ’ndrangheta in Calabria il 9 agosto 1991, fu: «U mazzaru pe’ fìmmani».
Ricordo che il 13 ottobre 1988 Renato Curcio mi ha riportato in una lettera ciò che gli aveva scritto Mauro poco tempo prima: «Vent’anni fa non ci siamo incontrati per caso a Milano, in una mansarda. Non c’è il ‘per caso’. Anche la testuggine oceanica che viene in superficie solo una volta ogni duecento anni e passa la testa dentro il buco rotondo in una tavolaccia che galleggia… non è per caso».
Ricordo che una sera, negli ultimi mesi del 1989, ero nella mia stanza di Milano con Alessandra, una delle bimbe di corso Vercelli. Che ho iniziato a parlarle della mia storia, che le ho descritto le mie sensazioni. Ricordo che a un certo punto mi ha abbracciata forte e mi ha detto ciò che fino a quel momento non mi aveva detto nessuno: «Non devi sentirti in colpa, puoi permetterti di essere arrabbiata con lui, anche con lui».
Ricordo che Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mario Francese, Pippo Fava, Beppe Alfano. E mio padre Mauro Rostagno. (...)
Ricordo Veronica, una ragazza che soffriva di una forma di autismo, che Mauro amava. Se la portava sotto braccio a fare lunghe passeggiate; con lui iniziò a esprimersi canticchiando e perse venti chili di sovrappeso, dovuti all’assunzione di psicofarmaci. Lui le insegnò Il chitarrista di Ivan Graziani.
Ricordo che nel novembre 1988 Isabella La Torre, la vedova di Giangiacomo Ciaccio Montalto, ha lasciato il processo per gli assassini di suo marito, dopo aver scritto una lettera che era un vero e proprio atto d’accusa verso la giustizia.
Ricordo che l’ho saputo molti anni dopo. L’ho saputo molti anni dopo che nella lettera di Isabella La Torre c’era scritto che l’uccisione di suo marito e di Mauro Rostagno aveva «consentito la conservazione ad alto livello di quel circuito d’interessi mafiosi e paramafiosi sui quali poggiano equilibri economici e sociali che si tramandano di padre in figlio».
Ricordo che ha continuato scrivendo che «non sarà un processo ai killer a scuotere o minacciare un assetto strutturale che, se ricorre al delitto eccellente ogni sei anni, è segno che è fortemente integrato nel contesto trapanese».
Ricordo che nella cava in cui quel 27 settembre 1988 trovarono quella macchina bruciata, trovarono
anche uno scontrino di una macelleria, la macelleria – si scoprirà tanti anni dopo – della famiglia Virga.
Ricordo che per anni non me ne sono mai interessata. Non ho letto le carte giudiziarie, non ho letto
articoli, non ho ascoltato pareri, non ho visto, letto, ascoltato, non ho.
Ricordo che il 26 settembre 1989 si è parlato di una svolta per le indagini.
Ricordo che il 26 settembre 1990 si è parlato di una svolta per le indagini.
Ricordo che il 26 settembre 1991 si è parlato di una svolta per le indagini.
Ricordo che ogni anno.
Ricordo che tempo dopo i parenti di Veronica ci hanno raccontato che il 26 settembre 1988 la televisione ha dato la notizia, e Veronica appena ha sentito «Mauro Rostagno» ha cantato «Sanatuccio è stata una svista, abbi un occhio di riguardo per il tuo chitarrista».
Ricordo che sono cresciuta, e che dopo il liceo artistico sono andata a studiare all’Accademia di Brera, e che anche lì non ho mai parlato della mia storia.
Ricordo che ho molte foto dell’occupazione alla cattedrale di Palermo per i senzatetto del 16 dicembre 1975, organizzata da Mauro. Durò da mezzogiorno alle otto di sera, quando la cattedrale venne sgombrata dalla polizia. Io avevo tre anni e mezzo, Lisa Noja ne aveva due. Nei passeggini esponevamo i cartelli dateci un tetto e vogliamo la casa.
Ricordo che nel 1976 Mauro scriveva: «Come si possa essere comunisti con la propria donna, non lo so. Sono maschio, per questo non lo so… essere maschio vuol dire la destra rispetto alla donna… Ho capito una cosa con Maddalena: che tutto il modo di trattare i bambini è «di destra» perché considera la loro vita in funzione di un’altra vita (adulta). La pedagogia, anche se di sinistra, vuole «preparare i bambini a essere adulti». Non considera la loro età come ‘autentica’. Non parte dalle loro contraddizioni».
Ricordo che nel 1992 le indagini sono passate al sostituto procuratore Massimo Palmieri.
Ricordo che una volta Chicca mi ha raccontato di quel corteo subito dopo la morte di Aldo Moro. Con Mauro che camminava da solo e piangeva, piangeva forte, che l’unica cosa che è riuscito a dire è stato: «Oggi abbiamo perso tutto, oggi abbiamo perso tutti». (...)
Ricordo che il 26 settembre 1992 si è parlato di una svolta per le indagini.
Ricordo che ogni anno.(...)
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