Italo Calvino |
Se avesse scritto il suo saggio per la Letteratura italiana diretta da Asor Rosa per Einaudi – ricorda Mario Porro nel suo Letteratura come filosofia naturale (Medusa, Milano 2009) – Calvino lo avrebbe intitolato La letteratura e la filosofia naturale, e in un saggio del 1969 definiva Gadda l'ultimo «filosofo naturale».
L'espressione per molto tempo è stata sinonimo di «scienza»: Newton scrisse i Principi matematici della filosofia naturale e ancora nel 1970 Monod sottotitolava la sua opera più nota – Il caso e la necessità – Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea. Ma la corrispondenza tra letteratura e «filosofia naturale» apparve allora, e lo è ancor oggi, provocatoria, forse soltanto perché molti «intellettuali» trascurano di guardare alla dimensione «naturale» presente in ogni narrazione.
Basterebbe ricordare come il rapporto tra cosmologia e letteratura permetta di ricostruire – è ancora Calvino che scrive – «una ininterrotta linea galileiana», che si estende da Dante ad Ariosto, Galileo, Leopardi e Calvino stesso, tutti scrittori cosmici e «lunari».
Da Lucrezio a Galileo
Dante è, con Lucrezio, il «poeta della scienza». Perché nella sua Commedia riesce a raccontare, come Lucrezio, tutta la scienza e tutto il dibattito scientifico del suo tempo. Un esempio per tutti: nel secondo Canto nel Paradiso ci sono tutte le conoscenze del tempo sulla Luna e sulla sua natura. Il Paradiso stesso è un compendio della cosmologia di Aristotele. Ma Dante è anche il primo e il più potente teorico di quel ménage a trois tra letteratura, filosofia e scienza di cui parla Calvino. E basta leggere il Convivio per rendersene conto. La conoscenza, inclusa la conoscenza della natura, spiega Dante, è l'aspirazione più nobile della natura umana: quella, razionale e angelica, che rende l'uomo simile a Dio. Purtroppo molte ragioni impediscono all'uomo di indossare «l'abito di scienza». La letteratura e, in particolare la poesia, sono strumenti utili a coloro che sono impediti se non proprio di sedersi al tavolo degli angeli, almeno di gustare le briciole del pane della scienza che vi viene spezzato. Il poeta, dunque, è strumento di diffusione democratica del sapere.
Anche Galileo si porrà il tema della diffusione della scienza – della filosofia naturale – tra il pubblico dei non esperti. E soprattutto dopo la pubblicazione del Sidereus Nuncius, il 12 marzo 1610, svilupperà la sua pericolosa idea: «comunicare tutto a tutti». Perché intuisce che o la filosofia naturale diventerà patrimonio di quell'opinione pubblica che proprio nel Seicento inizia a nascere o rischierà di perdere la sua partita. Galileo ha un legame molto stretto – da autentico studioso, da critico direbbe Panofsky – con Dante e con Ariosto. Peraltro anche il legame tra Galileo, Leopardi e Calvino è intrigante: Calvino esalta la dimensione cosmica e «lunare» di Leopardi, confessando ad Antonio Prete (1984) che le Operette morali «sono il libro da cui deriva tutto quello che scrivo» (e pensava alle Cosmicomiche), ma impara anche da Leopardi a scegliere tra i passi galileiani, come avviene con il saggio Le livre de la nature chez Galilée (1985), nel quale alcune scelte corrispondono a quelle di Leopardi nella Crestomazia della prosa (1827), la prima antologia letteraria italiana, contenente a sua volta la prima antologia di prose di Galilei. Per Calvino «l'opera letteraria come mappa del mondo dello scibile» è «una vocazione profonda della letteratura italiana», effetto di «una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria» (1968). Ma non si tratta di una vocazione solo italiana. Lo dimostra il prezioso Piccolo atlante celeste. Racconti di astronomia, curato da Giangiacomo Gandolfi e Stefano Sandrelli (Einaudi, Torino 2009), che ci conduce alle più diverse forme di narrazione cosmica, dall'Atlante celeste al Sentimento del cielo, alle figure di Astronomi e ai racconti di Cosmologie, in compagnia di Asimov, Bellamy, Bradbury, Collins, Cortázar, Daudet, Høeg, Lem, Munro, Queneau, Stifter, Theuriet, Updike, Vukcevich, Wells (per citare soltanto gli stranieri), «un piccolo atlante per orientarci negli abissi dello spazio, in bilico tra finta scienza, vera scienza, delicate emozioni, artificio poetico, conquista tecnologica e inventiva luddista» (p. VIII), nella convinzione che ciò che accomuna scienza e letteratura è «cercare la misura dell'uomo», «adagiare su un foglio l'incommensurabile», «guardare in faccia il mondo» (p. XIV).
Gadda e Leibniz
Ma la «filosofia naturale» è ancora più ampiamente letteraria nelle grandi narrazioni, nel grand récit (proposto da Michel Serres), che ha da sempre convissuto con la scienza, bisognosa, quando esce dal formalismo algoritmico, di ricorrere al pensiero figurale, all'analogia e alla metafora. E lo dimostra bene ancora Porro seguendo Gadda nel suo pensiero della complessità, modellato su Leibniz e illuminato dalla teoria dei sistemi e dalla cibernetica, o Primo Levi nel suo materialismo chimico. Abbiamo bisogno di nuove mitografie, per comprendere meglio qual è il nostro posto nella natura e per cancellare il mito di una scienza esente dal mito. E la letteratura ha visto bene come le costanti mitiche irrorano la conoscenza e la scienza, come l'immaginario viene sempre rinnovato e rimodellato dai nuovi spazi aperti dalla «filosofia naturale». A sessant'anni dalla scoperta del laser, sarebbe curioso leggere nuove «osmicomiche», che narrino ad esempio la vicenda della valigia coperta di specchi speciali, depositata sulla superficie della Luna da Amstrong e Aldrin il 20 luglio 1969, e che ancora riflette i raggi laser lanciati dalla Terra per misurarne la distanza al centimetro.
"l'Unità", 23 aprile 2010
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