Quando i due più celebri futuristi del mondo si incontrarono, l'italiano Marinetti e il sovietico Majakovski (Parigi, 1925) non seppero che cosa dirsi.
« Non sapevamo di che parlare. Io bolscevico — avrebbe raccontato Majakovski — lui fascista. Erompeva da noi l'odio dell'uno per l'altro. Per cortesia ci scambiavamo qualche parola in francese. Ah, questa cortesia: al diavolo! ».
E' che, per Majakovski l'uomo nuovo era il rivoluzionario. Per Marinetti era il "rivoluzionato": dalla tempesta di oggetti meccanici, dal fragore degli aerei, dal sibilo dei siluri, dalle luci al neon (Marinetti minacciò chissà cosa quando il comune di Milano osò proporre di togliere le insegne luminose pubblicitarie da piazza del Duomo a Milano), dalle manifestazioni esteriori, insomma, di una società radicalmente vecchia.
Dal testo di una conferenza su arte e fascismo tenuta nei primi anni 70 alla Casa della Cultura di Milano, poi pubblicata su “L’Europeo”.
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