25.1.13

Lettera "senza scopo" a Pietro Nenni. Una poesia di Pier Paolo Pasolini

Pier Paolo Pasolini
Questa lettera in versi di Pier Paolo Pasolini a Pietro Nenni, pubblicata per la prima volta sull'"Avanti!" del 31 dicembre 1961 insieme a una breve nota dell'autore, venne ripresa da “L’Espresso” nel 1982 come testimonianza significativa dell'atteggiamento di un intellettuale dell'epoca nei confronti del leader socialista.
La prima strofe rievoca il Luglio 60, con gli scontri di piazza e la caduta del governo Tambroni; non manca una attestazione di gratitudine a Fanfani. Le strofe successive esprimono una “disperata speranza” per il tentativo di “collaborazione” con la Democrazia Cristiana che Nenni portava avanti nell’interesse del popolo lavoratore. La poesia ha il suo cuore nella “cara imagine paterna” del capo socialista (“…Lei, acerbo / gli occhiali e il basco da intellettuale, / e quella faccia casalinga e romagnola…) e trova una chiusa – drammatica – in alcuni interrogativi senza risposta.
Forse il testo non ha la potenza espressiva di alcune altre poesie politiche di PPP (penso alle Ceneri di Gramsci o alla discussa Il Pci ai giovani), nondimeno a me appare emblematico dell’approccio di Pasolini alla politica, approccio che ne fa insieme un “poeta civile” e un “poeta incivile” (secondo la felice escogitazione di Gianni D’Elia).  
Nella letterina di accompagnamento Pasolini traccia una storia di questi versi che proclama “buttati giù” in una delle ultime mattine del 1960, l’anno delle Olimpiadi e del tentativo autoritario di Tambroni. Dichiara di essersene vergognato come di una “rinuncia a certe mie posizioni estreme” e tende ad attribuire l’apertura della poesia verso un “riformismo”, anche debole, a un personale “profondo scoraggiamento”. Al poeta friulano sembra tuttavia che – trascorso un anno – la “lettera senza scopo” abbia “trovato il suo scopo”, che il centro-sinistra possa essere “difendibile sul piano razionale e politico” e che i suoi versi possano rappresentare gli auguri agli “amici del Psi, per il nuovo anno”. (S.L.L.)
Petro Nenni
Era il pieno dell'estate, quell'estate
dell'anno bisestile, così triste
per la nazione in cui sopravviviamo.
Un governo fascista era caduto, e dappertutto
c'era, se non quell'aria nuova, quella nuova
luce che colorò genti, città, campagne,
il venticinque Luglio — una sia pur incerta
luce, che dava al cuore un'allegrezza
eccezionale, il senso di una festa.
E io come « il naufrago che guata » (scrivo
a un uomo che certo mi concede il cedere
a delle citazioni antidannunziane...)
felice d'aver salvato la pelle — bisestile
doppiamente per me, è stato l'anno —
ho avuto, per un mattino, dentro, il senso
d'un « poema a Fanfani »: e non soltanto
per solidale antifascismo e gratitudine,
ma per un contributo, anche se ideale,
di letterato: un « appoggio morale », com'è
uso dire. Fu l'idea di un mattino
bruciato dal sole di quell'estate
che qualcuno aveva maledetto, e il cui biancore
faceva, dell'Italia ricca, — che ronzava
in lidi popolari e in grandi alberghi,
nelle strade delle Olimpiadi incombenti
— l'imitazione d'una civiltà sepolta.

E poi, ero ridotto a una sola ferita:
se ancora ero in grado di esistere,
lo dovevo a una forza prenatale, ai nonni
o paterni o materni, non so, a una natura
radicata ormai in un'altra società.
Eppure, in quel mio slancio, mezzo
pazzo e mezzo troppo razionale,
c'era una necessità reale: lo vedo
meglio ora, che la collaborazione
è un problema politico: e Lei lo pone.
Dal quarantotto siamo all'opposizione:
dodici anni di una vita: da Lei
tutta dedicata a questa lotta — da me,
in gran parte, seppure in privato
(quanti interni terrori, quante furie).

Con che amore io vedo Lei, acerbo,
gli occhiali e il basco d'intellettuale,
e quella faccia casalinga e romagnola,
in fotografie, che, a volerle allineare,
farebbero la più vera storia d'Italia, la sola.
Io ero ancora in fasce, e poi bambino,
e poi adolescente antifascista per estetica
rivolta... Timidamente La seguivo
d'una generazione: e L'ho vista trionfare
con Parri, con Togliatti, nei grandiosi,
dolenti, picareschi giorni del Dopoguerra.
Poi è ricominciata: e questa volta,
abbiamo, sia pur lontani, ricominciato insieme.

Dodici anni, è, in fondo, tutta la mia vita.
Io mi chiedo: è possibile passare una vita
sempre a negare, sempre a lottare, sempre
fuori dalla nazione, che vive, intanto,
ed esclude da sé, dalle feste, dalle tregue,
dalle stagioni, chi le si pone contro?
Essere cittadini, ma non cittadini,
essere presenti ma non presenti,
essere furenti in ogni lieta occasione,
essere testimoni solamente del male,
essere nemici dei vicini, essere odiati
d'odio da chi odiamo per amore,
essere in un continuo, ossessionato esilio
pur vivendo in cuore alla nazione?

E poi, se noi non lottiamo per noi,
ma per la vita di milioni di uomini,
possiamo assistere impotenti a una fatale
inattuazione, al dilagare tra loro
della corruzione, dell'omissione, del cinismo?
Per voler veder sparire questo stato
di metastorica ingiustizia, assisteremo
al suo riassestarsi sotto i nostri occhi?
Se non possiamo realizzare tutto, non sarà
giusto accontentarsi a realizzare poco?
La lotta senza vittoria inaridisce.

(Una lettera, di solito, ha uno scopo.
Questa che io Le scrivo non ne ha.
Chiude con tre interrogativi ed una clausola.
Ma se fosse qui confermata la necessità
di qualche ambiguità della Sua lotta,
la sua complicazione ed il suo rischio,
sarei contento di avergliela scritta.
Senza ombre la vittoria non dà luce).

“L'Espresso” - 12 Settembre 1982

1 commento:

Anonimo ha detto...

Nenni, personaggio coraggioso e passionale come tanto romagnoli, ha avuto il demerito di avere dato una spallata al Partito socialista con la sua testarda volontà di legarne le sorti al cominismo internazionale staliniano del quale, proprio per le sue ppasionalità,non aveva capito nulla

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