31.1.13

La politica controfattuale di Alessandro Campi (S.L.L: - "micropolis", gennaio 2013)


L'articolo è stato pubblicato nella rubrica "La battaglia delle idee" con il titolo Illusioni senza fondamento. (S.L.L.)
Alessandro Campi
Alessandro Campi conobbe nel 2010 un momento di notorietà che andava oltre la sua attività di politologo e storico: da intellettuale sosteneva, guidando la fondazione Fare Futuro, la sfida che Fini aveva lanciato a Berlusconi per la leadership della destra. Lo fece fino alla scissione di Bastia  e all’operazione che doveva condurre, sul finire di quell’anno, alla caduta del governo in Parlamento. L’invereconda campagna acquisti del Cavaliere stroncò le velleità del presidente della Camera e ne ridimensionò drasticamente il peso; e Campi per convinzione o senso dell’opportunità lo abbandonò al suo destino. Pur senza smettere del tutto velleità frondiste rientrò nell’orbita della destra ufficiale.
Non ha tuttavia abbandonato l’ambizione a fare il “maestro pensatore” e a Perugia ha potuto agevolmente continuare a farlo dal suo istituto universitario e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, ove è tra i consiglieri più ascoltati del presidente, il cementiere Colaiacovo. Campi utilizza anche le colonne del quotidiano di Colaiacovo, “Il Giornale dell’Umbria”, per i lunghi e ragionati editoriali in cui promuove un’altra destra.
Alla vigilia delle elezioni Campi si cimenta in una curiosa forma di endorsement retroattivo. Non nei confronti del Cav, per il quale non mancano parole di simpatie (“si diverte come un pazzo all’idea di vendicarsi di chi l’aveva dato per spacciato”), ma nei confronti di Renzi. L’articolo del 19 gennaio si intitola infatti Se Renzi avesse vinto le primarie… e viene presentato come una “esercitazione”, giacché – spiega Campi – “la storia e la politica non si fanno con i se”.
In verità la “storia controfattuale” e la “politica controfattuale” sono utilizzati in due modi, come modalità argomentativa a fini propagandistici (negli anni 50 giravano libretti che immaginavano un’Italia impoverita e schiavizzata dai “sovieti”, se i comunisti avessero vinto le elezioni) e come modalità conoscitiva, certo imperfetta ma utile.
Campi segue un po’ la prima, un po’ la seconda via. Da un lato spiega che con Renzi non sarebbero accadute cose che vuole stigmatizzare: l’intesa – data per certa – tra “progressisti e moderati”, in quella che lui considera una riedizione del deleterio compromesso storico, lo strabordare pieno di numeri da avanspettacolo di Berlusconi, il boom dei grillini, la discesa in campo di Ingroia, Monti che parla di “società civile”, ma è in mano a “due vecchi marpioni”. A disegnare il noiosissimo scenario di prima e dopo le elezioni – secondo Campi - è Bersani coi suoi seguaci, antidiluviani anche quando siano giovani d’età. Con Renzi invece sarebbe accaduto il miracolo che avrebbe cambiato la sinistra e la destra e avrebbe liberato tutti da Ingroia, Grillo, Vendola e dai “due marpioni”.
Nella “esercitazione” di Campi non manca qualcosa di accettabile: per esempio il giudizio sulla campagna elettorale (“film già visto e neppure divertente”) o l’individuazione del governo che nascerà – a prescindere dagli stessi risultati elettorali. Ma – esercitazione per esercitazione – dubitiamo che un governo a guida Renzi potesse essere diverso nella sostanza da un governo Bersani. In verità nel ragionare di Campi vive e si esprime una ideologia di destra - oserei dire di destra spinta - che ha contaminato l’intero quadro politico e che io chiamerei “nuovismo leaderistico”. L’idea che possa cambiare orientamenti, culture politiche, schieramenti in un grande corpo sociale e politico un leader come Renzi che viene dal nulla, senza elaborazioni, senza gruppi dirigenti anche ristretti ma diffusi, è illusione senza fondamento. Berlusconi quando scese in campo aveva dietro di sé, oltre che le televisioni commerciali e la loro intelligenza collettiva, il craxismo  e il progetto piduista: tutto ciò non gli è bastato a impiantare un nuovo regime, ma gli ha fornito e tuttora gli fornisce una forza notevole. Perfino il grillismo, che esplode adesso, ha avuto bisogno di una lunga sedimentazione.
Quel che vale per Renzi vale a maggior ragione per Ingroia, uomo di sinistra e magistrato agguerrito. Forse – se eletto – potrà condurre qualche utile battaglia di verità, ma pensare che una sinistra classista e ragionatamente anticapitalistica possa nascere dall’accrocco tra un leader inventato e i parassitari apparati dei partitini è anche quella un’illusione senza fondamento.

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