Foglie di canapa indiana |
In genere sono il padre e la madre che si precipitano in commissariato per scoprire che il figlio l'ha fatta grossa. Questa volta è andata esattamente al contrario. Pochi giorni fa un signore di quarant'anni, dopo una telefonata della polizia, si è trovato nella curiosa (e imbarazzante) situazione di guardare negli occhi il padre davanti a due ispettori e chiedergli con una certa incredulità: ma che cosa hai fatto? La risposta si stava accumulando in una stanza vicina, quintali di marijuana che il signor Giuseppe Condello, 84 anni, coltivava nella sua vigna alle porte di Vigevano, in un terreno demaniale fra orti, capanni, alberi da frutto. L'altro giorno ha patteggiato tre anni di carcere e 12 mila euro di multa, ma data l'età non andrà in prigione. E' agli arresti domiciliari in casa del figlio Salvatore, e per quel che lo riguarda la brutta storia è già conclusa. Per la polizia mica tanto, perché, comunque la si giri, la vicenda del signor Condello resta enigmatica, e persino bizzarramente misteriosa. Lui ha detto chiaro e tondo che coltivava canapa indiana per il semplice fatto che la pensione di 300 euro al mese non gli consentiva di tirare avanti. E che lo faceva personalmente, non si limitava a mettere il terreno a disposizione di qualcun altro. Gli ispettori Domenico Nicodemo e Roberto De Florentis, a tutta prima, non gli hanno creduto. Sono vecchi del mestiere, sanno che in Lomellina i coltivatori non mancano; a partire da agosto, quando si avvicina il momento del raccolto, fanno ogni anno le loro belle retate. Finora però non si erano mai trovate tutte quelle piante, ben 260 chili di fronde, in un solo appezzamento. Possibile che il signor Condello facesse tutto da solo? Ebbene sì, è stata la risposta. Anzi, l'anziano contadino (contadino per tutta la vita, prima in Calabria poi a Vigevano, dove è stato fittavolo qui e là) si è messo al tavolo e ha spiegato punto per punto le sue tecniche. Sofisticate. Coltivare bene la marijuana non è da tutti. Bisogna far germogliare i semi con particolari accorgimenti, separare le piante, buttare via i «maschi» e tenere le «femmine» , irrigare a dovere; è un lavoro che richiede passione e dedizione, e lui ce le metteva entrambe, anche quando tagliava le fronde e le metteva a essiccare in un capanno ben aerato, proprio come i prosciutti, non certo nei forni come fanno quelli che hanno fretta. Contava di guadagnarci piuttosto bene: un misterioso «negro», che gli aveva portato i semi in una bottiglia, doveva comprare il raccolto a mille euro il chilo (di erba secca). Fatti due calcoli, la stagione stava per rendere un'ottantina di chili, ergo 80 mila euro. Un bel gruzzolo. Lo ha ripetuto in tribunale, con un eloquio non proprio torrenziale, parlando più che altro il suo stretto dialetto nativo, ma senza incertezze, chiaro, semplice e tranquillo. Sapeva che era un reato, ma insomma con quella pensione, signor giudice, cercate di capirmi. E' finita che l'hanno capito benissimo, tutti quanti: magari la storiella del «negro», questo Aladino fantasma, non è proprio il massimo della credibilità; e non è detto che quei mille euro dovessero andare tutti a lui, anziché a un giro di intermediari. Il succo della vicenda è però assodato: a 84 anni, un contadino decide che può dedicarsi a qualche coltura più redditizia dei pomodori…
“La Stampa”, 20 settembre 2009
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