Jack London |
Il “manifesto” del 10 luglio 1988 rievocava, con articoli di Gianni Riotta e Severino Cesari, la figura di Maurizio Flores d’Arcais, morto giovane e suicida 10 anni prima (12 luglio 1978), un “giovane maestro”, redattore delle pagine culturali del “quotidiano comunista”. Alle testimonianze dei suoi antichi compagni di lavoro il giornale fa seguire tre scritti di Flores, su London, su Orwell, su Trotzkij, molto belli.
Qui riprendo il primo, su Jack London, scrittore atipico, popolare, socialista e individualista. Il brano contiene una lunga citazione da un Vittorini dimenticato, che, in polemica con Togliatti, si produce in una lettura del pensiero di Marx originale e, a mio avviso, assolutamente attendibile. Non ricordavo il brano, ma - nel mio piccolo - ho sempre pensato, detto e scritto che il nostro caro e barbuto maestro dell’Ottocento non aveva affatto in mente nel suo progetto comunista solo la liberazione delle masse, ma soprattutto la liberazione degli individui dal peso dell’economico, dall’alienazione capitalistica, dal feticismo delle merci, per permettere ad ognuno – superate le classi sociali e la divisione sociale del lavoro - di realizzare la propria felicità (o almeno di provarci). Karl Marx non era solo un collettivista, ma spingeva l’individualismo più avanti, oltre le remore della civiltà borghese, perché nessuna libertà autentica è concessa ai singoli senza l’uguaglianza di tutti. (S.L.L.)
Elio Vittorini |
Con la sua vita breve ma intensa, con una attività letteraria ma ricca di originalità, London non è stato soltanto il rappresentante di un’epoca, quella in cui gli Stati Uniti sono emersi come punta d’iceberg dell’imperialismo contemporaneo. Le sue storie di animali e di uomini hanno messo in luce il drammatico rapporto tra individuo e storia, e l’aspirazione dell’umanità a una vita più felice e più libera. E proprio il non riuscire a conquistare la sua dose di felicità ha condotto London alla morte.
Ma il suo mito della primordialità, l'utopia di un mondo diverso, più naturale e più umano, non rappresentano semplicemente una fuga dalla realtà. L'evasione è per London una ricerca, il tentativo di prefigurare un diverso destino dell'uomo, di proporre un modello da confrontare alla realtà per essere in grado di affermare che la possibilità di costruire qualcosa di nuovo esiste, che il mondo in cui siamo condannati a vivere non è immutabile ed eterno. Così come il suo individualismo non ha nulla dell'individualismo meschino che regola i rapporti fra gli uomini nella società del capitale. Contro un malinteso concetto di collettività ed eguaglianza che ancora fa presa nella sinistra, sarà opportuno ricordare le belle e attualissime parole di Vittorini: «Spesso si confondono le constatazioni di Marx con i fini del marxismo, e il suo disgusto della storia com'è con un presunto suo gusto di storia come dovrebbe essere. Marx constata che le attività dell'uomo si svolgono sotto il dominio dell'attività economica. E non si intende ch'egli mira appunto a liberarle da un tale dominio. Marx constata che sono le manifestazioni collettive, non le individuali, ad aver peso nella storia. E non si intende ch'egli mira, appunto, a una storia in cui abbiano infine un peso, come cultura, come qualità, le manifestazioni individuali. Si fa confusione tra il grandioso 'idealismo morale' di Marx e l'arma possente del suo realismo. E non si intende che, pur insegnandoci come non si possa avere nessuna liberazione dell'individuo senza uno sforzo collettivo, Marx propugna una rivoluzione che non è a fine collettivista ma a fine individualista ed anzi fa prima, la vera, a fine propriamente individualista.
«Impegnato nella lotta per la conquista della società senza classi il marxismo non si è ancora sviluppato molto in direzione del suo significato intrinseco. Né ancora ha scoperto un mezzo o un modo di impedire le scivolate in un autonomismo o un altro della cultura, in un autonomismo o un altro della politica, e di tener vivo nell'uomo quello spirito di ascesa che già fu, chiamandosi protestante, lo spirito di ascesa della borghesia. Una società, sia pure senza classi, in cui l'uomo mancasse di questo spirito (e della problematicità derivante da un simile spirito), sarebbe una società in cui nessun nuovo Marx, e nessun nuovo filosofo, nessun nuovo poeta, nessun nuovo uomo politico avrebbero motivo di vivere. Sarebbe il contrario di quella società sognata da Marx in cui l'individuo dovrebbe, infine, avere un motivo qualitativo di vivere» (Elio Vittorini, Politica e cultura, Lettera a Togliatti, «Il Politecnico» n. 35, gennaio-marzo 1947.)
Sono parole in cui certamente London si sarebbe potuto riconoscere, perché in fin dei conti, cos'altro era il suo superuomo se non quell'individuo alla ricerca di un motivo qualitativo per vivere di cui parla l'autore di Conversazione in Sicilia?
Malgrado l'ostracismo cui l'ha condannata la letteratura ufficiale, l'opera di London non è passata senza lasciar traccia. Basti ricordare, solo per fare un esempio, Ernest Hemingway, che ne ereditò il gusto dell'avventura, l'amore per la caccia, il mito della forza, la passione del giornalismo (e infine la tragica scelta della morte volontaria). E' giunto il momento di riconoscere la presenza significativa, di London nella storia della cultura. Un riconoscimento che, senza imbalsamazioni di sorta, si deve tradurre in primo luogo nell'allargamento delle edizioni critiche, sulla scia di quel poco che già è stato fatto.
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