10.3.17

Il popolo delle case mobili. Venti milioni di statunitensi al bando della città (Benoît Bréville)

Negli Stati uniti anche i poveri possono diventare proprietari: è sufficiente che acquistino una casa mobile, per un prezzo che supera appena quello di un’automobile, e che trovino un terreno su cui stabilirsi. È a questo punto che iniziano i problemi...
 Francisco Guzman non ha il diritto di lasciare oggetti nel minuscolo giardino che circonda la sua casa. Non può portare fuori la spazzatura prima del giorno della raccolta dei rifiuti o ascoltare musica. «Posso avere un animale domestico, ma non deve superare i 40 centimetri di altezza. E se voglio ospitare qualcuno, anche mio fratello o mia madre, devo chiedere il permesso all’amministratore. È incredibile; eppure sono a cesa mia». Sebbene Guzman e la sua compagna siano i proprietari del loro alloggio, una casa prefabbricata con due camere da letto, l’abitazione si trova su un terreno in affitto situato all’interno di un parco per case mobili ad Aurora (Colorado).
Per occupare uno del 440 lotti, la giovane coppia paga 500 dollari al mese. A questi devono aggiungerne 250 per restituire il prestito a otto anni contratto per comprare il loro trilocale di 75 metri quadrati, dall’architettura tipica delle roulotte anni 1970: un tetto piatto, pareti esterne in alluminio e una facciata bianca ingiallita dagli anni. «L'affìtto comprende l’acqua corrente, il sistema fognario e la raccolta dei rifiuti; c’è anche una piccola piscina in comune, aggiunge il giovane. Naturalmente preferirei avere una casa vera, con un vero giardino, senza ritrovarmi con i vicini a cinque metri di distanza. Ma per questo prezzo, ad Aurora, è impossibile.» I Guzman dispongono di un reddito limitato: tra il lavoro di lui in una stazione di servizio e quello saltuario di lei in un'impresa di pulizie, guadagnano 2.000 dollari al mese.
È proprio poco per vivere in questa periferia residenziale senza fascino e attrattive, ma adiacente al dinamico capoluogo dello Stato, Denver, dove i prezzi degli immobili dal 2012 sono aumentati del 50%. Nell'ottobre del 2015, ad Aurora, non si trovavano appartamenti in affitto a meno di 1.000 dollari, e la casa meno cara, completamente da ristrutturare, costava 130.000 dollari. Nella stessa data, una casa mobile di equivalente superficie costruita nel 1973 era stata messa in vendita a 14.500 dollari e gli affitti nel parchi appositi oscillavano tra i 400 e i 600 dollari al mese. «In questo momento tutti i lotti sono presi. È necessario segnarsi sulle liste di attesa. Ma c’è molta rotazione, perciò potrebbe non volerci molto», ci spiega l’amministratore del Friendly Village.
Aurora ospita nove grandi parchi e oltre 2.500 lotti per case mobili. Quasi tutti si trovano intorno al Colfax Boulevard, in un quartiere periferico e poco attraente della città: Hillcrest Village, di proprietà della Equity Lifestyle Property, leader del settore con 140.000 lotti in tutto il paese; Green Acres, dove vivono solo persone anziane; Fox-ridge Farm, Cedar Village, Meadows, ecc. Né i nomi evocatori di paesaggi bucolici né gli sforzi degli abitanti per decorare la facciata delle proprie abitazioni con bandiere americane, statue della Vergine Maria o fiori riescono a nascondere la monotonia di queste aree urbane.
Come i quartieri di edilizia sociale, i parchi di case mobili di Aurora sono concepiti in rottura con il modello urbano classico, separati dal resto della città, con una rete stradale, una segnaletica e un piano di sviluppo propri. Piccole vie più o meno pavimentate collegano appezzamenti rettangolari disposti perpendicolarmente alla strada e separati gli uni dagli altri da una piccola siepe, da una catena o da una semplice linea sul terreno. Ogni unità abitativa è identificata da un numero, visibile sull’indirizzo dei residenti accanto al nome del loro parco. «A volte preferiremmo non dire che viviamo in un parco, ma non appena la gente vede il nostro indirizzo, la cosa viene fuori, si lamenta Guzman. E questo può anche causare svantaggi. C’è chi pensa: “Questo viene da un parco di roulotte [trailer park]. Meglio non assumerlo perché potrebbe causare problemi”.»

Case popolari a costo zero per lo Stato
Acquistare una casa mobile negli Stati uniti è un’operazione semplice e poco costosa. A differenza di una casa convenzionale, costruita da muratori, elettricisti, carpentieri, idraulici, ecc., le case mobili sono fatte interamente in fabbrica da lavoratori semi-qualificati. Escono dalla catena di montaggio già pronte per l’uso, a un prezzo che sfida ogni concorrenza. E siccome, per via dell’uso, con il passare del tempo si deprezzano (un po’ come un’automobile), i modelli costruiti negli anni '60 o '70 si possono ottenere per meno di 10.000 dollari. Un modello nuovo per un lotto di 70 metri quadrati si può avere già per 25.000 dollari, consegna compresa. Oggi venti milioni di statunitensi, di cui il 23% pensionati, vivono in questo tipo di abitazioni, contro i nove milioni del 1975. Negli Stati uniti le case mobili (8,6 milioni di unità) sono sette volte di più delle case ad affitto controllato (1,2 milioni). Ospitano famiglie disagiate, il cui reddito medio nel 2011 era inferiore alla metà del reddito medio nazionale (26.000 dollari contro 52.000 dollari) (3). Fungono così da case popolari, a costo zero per il governo, che non deve costruire niente, ma con grandi profitti per gli industriali che le vendono.
«Il problema non è comprare una casa mobile, ma trovare un posto dove stabilirsi», ci spiega un dipendente della Clayton Homes, il primo venditore di «abitazioni prefabbricate» negli Stati uniti (si legga la scheda in fondo al post). La stragrande maggioranza delle città statunitensi applica regole urbanistiche severe, che limitano le possibilità di installazione su terreni privati ad alcune zone specifiche già sature. Siccome questi alloggi hanno la reputazione di far perdere valore al terreni circostanti, i sindaci evitano accuratamente il loro sviluppo. A meno di allontanarsi verso aree rurali, molti proprietari sono costretti a rivolgersi ai parchi privati, che ospitano 12 milioni di cittadini.
Man mano che ci si avvicina al Nuovo Messico, dove superano in percentuale il 15% delle abitazioni totali, le case mobili sono sempre più presenti. Sono disseminate lungo le grandi strade e le viuzze di campagna, dove gli insediamenti sono meno densi e le norme urbanistiche più flessibili. A Trinidad sono raggruppate in una dozzina di parchi al margini della città, su terreni a buon mercato. Di modeste dimensioni, questi lotti non hanno l’aspetto di campi militari né il carattere impersonale dei parchi di Aurora.
Trinidad, una piccola città di 8.000 abitanti sperduta tra le basse montagne del Colorado al confine con il Nuovo Messico, ha conosciuto il suo periodo di massimo splendore all’inizio del XX secolo, grazie all'estrazione del carbone e allo sviluppo della ferrovia. Ma dopo la Seconda guerra mondiale la città ha perso il 40% del suol abitanti e non resta ormai che qualche vestigia di questo passato prospero: il vecchio Grand Hotel sulla strada principale, la maestosa biblioteca costruita nel 1904 grazie a una donazione del magnate dell’acciaio Andrew Carnegie, il vagone a vapore esposto nel parcheggio del supermercato. «Non c’è lavoro. Vivo qui da cinque anni e non ho mai trovato un contratto per più di due mesi», dice Jacqueline Johnson. A lungo impiegata in un ospedale di Las Vegas, la Johnson ha abbandonato il Nevada dopo aver lasciato il marito nel 2010. Si è allora trasferita dalla sua sorellastra, che viveva in una stanza di motel. «All’inizio abbiamo vissuto in due nella stessa stanza, con la cucina accanto al letto. Poi abbiamo preso in affitto questa casa mobile per 550 dollari al mese. È piuttosto cara, ma abbiamo tre camere, una cucina vera, e quando è bel tempo si può mangiare fuori.»

«Ci sono problemi di droga e sparatorie»
Tra i sussidi sociali e qualche lavoretto, le due sorelle sfiorano i 2.000 dollari al mese. «Una volta pagate le bollette e il cibo, non ci resta quasi nulla. Inoltre, abbiamo un’automobile in due.» Un vero handicap: da quelle parti non c’è niente che sia raggiungibile a piedi, a parte un ristorante cinese con un menù all you can eat aperto tutto il giorno. «Quando ho bisogno della macchina e mia sorella è in ritardo, vado su tutte le furie, ci racconta la Johnson. Ma qui ci conosciamo tutti e c’è sempre un vicino di casa disposto a darci un passaggio. Un parco di case mobili è una vera e propria comunità.»
Per Harry Vallejos è anche una «piccola famiglia». Harry è un pensionato e risiede in un parco di Trinidad chiamato Cedar Ridge, dove paga 250 dollari al mese. Reso invalido da una malattia che riduce la sua capacità di movimento, passa nel campo buona parte del suo tempo e conosce tutti i suoi abitanti. Può indicare gli interessi, la situazione familiare e le opinioni politiche di ciascuno: Annle McDaniel, che con i suoi 91 anni non può più guidare e riceve una visita da sua figlia due volte a settimana; Harold e Hannelore Thomason, di 85 anni, che vivono lì da quattro decenni, ecc.
La vita in un parco di case mobili non offre né l'intimità di una casa tradizionale, che consente di rifugiarsi in un giardino sul retro, né l'anonimato di un immobile. Da uno sguardo fuori dalla finestra, un residente può sapere se un altro è in casa o è andato a lavorare, se ha ospiti o se la grondaia è intasata. Non è raro sentir gridare o sbattere le porte. Questa vita comunitaria, se da una parte permette la formazione di stretti rapporti tra vicini, favorisce anche il diffondersi di voci e pettegolezzi. A Cedar Ridge ci sono venti case, per lo più occupate da anziani proprietari. I pochi residenti più giovani, tra cui una famiglia appena arrivata dal Texas e un uomo che abita nella sua casa mobile solo qualche mese l’anno, sono guardati con sospetto. «C’è un grande via vai da noi e bisogna fare attenzione», dice Vallejos, che tuttavia afferma di vivere «nella migliore comunità della città».
Per niente al mondo questo pensionato abiterebbe ad Almar, un parco che gode di pessima reputazione. Nella primavera del 2015, la polizia vi ha ucciso un giovane di colore che si nascondeva in una baracca abbandonata. Il caso, che ha animato i dibattiti della televisione locale, è impresso nella memoria di tutti. «Facciamo costantemente la ronda, io e mio marito, dice l’amministratrice per rassicurare i potenziali locatari. Anche mio figlio, oltre a occuparsi della manutenzione, fa delle ronde, aiutato dalla sua fidanzata. Il padre di Nicky [un residente del parco] è ispettore di polizia e qui vivono anche i miei fratelli... Sa, tutti sorvegliano tutti. Capita molto spesso che debba espellere dei locatari che si comportano male!». A suo parere, sarebbe piuttosto il Lakeside a dover essere evitato.
Aperto quindici anni fa, questo parco si estende in un ampio quadrato di terra e ghiaia che si trasforma in fango dopo ogni temporale. Un lotto senza casa si affitta a 150 dollari al mese; con l’aggiunta di 300 dollari si può anche avere una vecchia casa mobile con tre camere. Fatto unico a Trinidad, al Lakeside ci sono molti lotti vacanti, anche se le tariffe sono le più basse della città. «Non vuole abitarci nessuno. Ci sono problemi di droga, risse, sparatorie. È molto negativo per il quartiere», spiega la proprietaria di una casa senza pretese a 200 metri dal parco. Quando le chiediamo se può raccontarci dei fatti specifici, prima esita, poi ci dice che «spesso si sentono delle sirene» e infine dichiara con aria infastidita che «non le piacciono i giornalisti». Prima di salutarci ammetterà di non aver mai messo piede nel parco e di non conoscere nessuno dei locatari.
Le case mobili, i cui abitanti sono soprannominati con disprezzo trailer trash («scarti di roulotte»), non hanno mai goduto di una buona fama negli Stati uniti. Sebbene contengano un 8,7% di afroamericani, sono associate al sottoproletariato bianco, alla «spazzatura bianca», un po’ come I quartieri di edilizia residenziale pubblica, nell'immaginario statunitense, sono associati al neri. La storia ebbe inizio negli anni tra le due guerre, quando i venditori ambulanti, i braccianti e i lavoratori del settore edile che attraversavano il paese in roulotte si videro accusare di immoralità e di non pagare le tasse nelle città in cui si stabilivano. Il decennio successivo, nel 1937, la rivista Fortune se la prende ancora con queste «colonie sovrappopolate di catapecchie itineranti».
La popolazione di queste abitazioni cambia a partire dagli anni 1950, con l’immissione sul mercato di case mobile grandi 10 piedi (3 metri), contro gli 8 di prima (2,40 metri): non è più necessario passare attraverso la prima camera per accedere alla seconda. In un contesto di crisi degli alloggi, questo miglioramento sul piano dell'intimità porta molti statunitensi con un reddito basso, in particolare anziani e giovani coppie di operai e impiegati, a fare di queste roulotte un domicilio fisso e stabile. Quelle prodotte oggi sono larghe fino a 5 metri; ne esistono anche modelli di lusso, visibili accanto al porti turistici e al campi da golf nelle residenze per pensionati della Florida e della California. D’altronde, ufficialmente, non vengono più chiamate «mobile homes», ma «case prefabbricate» (manifactured homes).
Tuttavia, un raggiro semantico orchestrato da qualche industriale raramente riesce ad arginare un diluvio di immagini, perciò le case mobili mantengono la loro cattiva reputazione. In televisione, i notiziari locali parlano instancabilmente del vari fatti (sparatorie, irruzioni, casi di droga...) che hanno luogo nei parchi. Su Internet si può vedere «Trailer Park Boys», un programma trasmesso da quindici anni sui piccoli schermi canadesi e statunitensi. Realizzata sotto forma di un falso documentario, questa serie presenta personaggi piuttosto rozzi che vivacchiano tra piccoli delitti e soggiorni in prigione. Nel cinema, film di successo come Boys don’t cry (1999) o come 8 Mlle (2002), dedicato alla vita da giovane del rapper Eminem, mettono anch'essi in scena luoghi in cui la violenza è onnipresente. Anche il quadro più sfumato di una comunità del New Hampshire tratteggiato dallo scrittore Russell Banks nel suo libro Trailerpark (1981) riprende i temi della droga e dell’alcol.
Con una simile immagine diffusa nella cultura popolare, non stupisce affatto che molti abitanti di Trinidad abbiano una pessima opinione degli occupanti delle case mobili. «Su di noi dicono di tutto, lamenta una residente di Lakeslde che preferisce rimanere anonima. Per lo più qui le persone sono oneste e lavorano duramente. Questo è un buon posto per vivere. Ma ci sono molte case in affitto e gli occupanti cambiano spesso, perciò è normale che a volte capiti un poco di buono. Oggi ci sono dei giovani che fumano erba tutto il giorno. Hanno un cane che abbaia ferocemente a chiunque passi». La giovane donna rimprovera anche alla proprietaria, un'insegnante in pensione che vive a Trinidad, una certa leggerezza nella scelta dei locatari, da cui non esige alcuna garanzia: «Vuole solo riempire i lotti vacanti e se ne infischia di chi abita qui. Quando c’è un problema, non risponde mai.»

I residenti non possono né minacciare né traslocare
Secondo Dave Anderson, direttore esecutivo dell’associazione All Parks Alliance for Change, che difende gli interessi dei proprietari di case mobili, questo problema riguarda le residenze situate in zone rurali. «Nelle aree metropolitane, ci spiega, dove gli insediamenti sono densi e i prezzi dei terreni sono alti, i rischi per gli occupanti sono i frequenti aumenti degli affitti o gli sfratti finalizzati a promuovere progetti immobiliari più redditizi. Nelle comunità rurali, in realtà, questi problemi non esistono. Ma i piccoli proprietari hanno un capitale molto limitato per far funzionare il loro parco e a volte non possono permettersi le riparazioni necessarie per risolvere grossi guasti al sistema fognario o problemi di approvvigionamento idrico.» Vivere in un parco a gestione familiare in una piccola città non mette necessariamente al riparo da aumenti indesiderati. Ad Almar, per esempio, gli affitti sono rincarati del 1 0% nel mese di novembre, passando da 220 a 245 dollari, senza un motivo particolare, sebbene avessero già subito un aumento due anni prima… 
Nella maggior parte degli Stati, in effetti, nessuna legge impedisce al proprietario di un parco di aumentare gli affitti, a condizione che avverta gli Interessati con un paio di settimane di anticipo.
Questa è d’altronde una delle prime cose che Frank Rolfe insegna agli studenti della sua «università delle case mobili». Laureato in economia presso l’università californiana di Stanford, Rolfe ha fatto la sua fortuna investendo, insieme al suo socio Dave Reynolds, nei terreni per case mobili. Partito dal nulla nel 1 996, oggi si vanta di essere il sesto operatore del settore, con i 70 parchi sparsi in tutto il paese – «tranne che in California, in Florida e nello Stato di New York, dove le leggi sono troppo favorevoli ai locatari», precisa.
Ansiosi di trasmettere il loro know-how, Rolfe e Reynolds hanno aperto un corso di formazione intensivo di tre giorni, al costo di 2.000 dollari, in cui si insegnano le basi della gestione di un parco: mostrarsi inflessibili in caso di morosità, far pagare delle multe quando non vengono rispettate le regole, evitare di offrire servizi comuni come la lavanderia, che possono creare costi inutili, sfrattare i locatari sgraditi… «Gli studenti sono per lo più dirigenti sui cinquant’anni, molto delusi dai tassi di rendimento degli investimenti nella borsa statunitense. È un buon momento per lanciarsi in questo business, perché l’economia americana è in crisi da anni e c’è una forte domanda di case a buon mercato», analizza lucidamente Rolfe. Il metodo dei due soci ricalca quello usato dai promotori immobiliari nei progetti di riqualificazione urbana: comprano dei parchi, in particolare «parchi a gestione familiare», appartenenti a piccoli proprietari che non si occupano di farli fruttare, quindi li rimettono in sesto, installano qualche servizio aggiuntivo e chiedono affitti più alti... È un buon momento per lanciarsi in questo business, perché l’economia americana è in crisi da anni e c’è una forte domanda di case a buon mercato», analizza lucidamente Rolfe. Il metodo del due soci ricalca quello usato dal promotori immobiliari nei progetti di riqualificazione urbana: comprano dei parchi, in particolare «parchi a gestione familiare», appartenenti a piccoli proprietari che non si occupano di farli fruttare, quindi li rimettono in sesto, installano qualche servizio aggiuntivo e chiedono affitti più alti.
I locatari sono impotenti di fronte a questi aumenti. Da quando misurano almeno tre metri di larghezza, le case mobili sono diventate molto difficili da trasportare: una macchina non è più sufficiente e bisogna utilizzare un camion speciale, più largo di una strada ordinaria. L’operazione può costare diverse migliaia di dollari; a molti residenti conviene dunque acquistare una nuova casa, piuttosto che spostare la propria. L’immobilità delle case «mobili» indebolisce la posizione dei loro occupanti, che non possono più usare la minaccia di un trasloco quando il proprietario non si occupa della manutenzione o aumenta gli affitti.
Emily Montoya non sa dove potrebbe trovare i soldi, se dovesse lasciare Raton, una piccola città di 6.500 abitanti nel nord del Nuovo Messico, dove affitta un lotto per 150 dollari al mese. La giovane donna, che vive con i figli e il compagno, non lavora e la coppia non ha risparmi. Tuttavia, è possibile che la famiglia debba spostarsi presto. Il «parco delle colline incantate» – situato vicino al cimitero comunale… – è stato messo in vendita: 320.000 dollari per otto ettari di terreno e 46 lotti. «L’ho scoperto rientrando a casa qualche giorno fa: avevano messo un cartello con su scritto “in vendita” davanti all’entrata, racconta. Non si sa chi comprerà o cosa faranno del parco, ma di certo noi non possiamo permetterci un trasloco.»
I vicini della Montoya vivono con la stessa paura, perché nel Nuovo Messico la legge protegge molto poco i locatari dei parchi. Possono essere sfrattati in 72 ore se non pagano l’affitto; in un mese se non rispettano le regole o se «disturbano gli altri locatari». E quando un parco chiude, ricevono un preavviso di soli 60 giorni. «In alcuni Stati, come il Minnesota, se si deve traslocare o se la casa è troppo malridotta per essere spostata, il proprietario è tenuto a versare un risarcimento. Talvolta si ha anche la possibilità di unirsi ad altri proprietari e di esercitare il diritto di prelazione sul terreno al prezzo di mercato, al fine di creare una cooperativa. Più spesso, però, non c’è alcuna garanzia per gli abitanti», dice Anderson. Probabilmente il parco di Raton rimarrà aperto: quel pezzo di terra non attira molto i promotori immobiliari e la cosa migliore da fare quando si possiede un terreno all’interno di una zona autorizzata per le case mobili resta ancora affittare i lotti separati.
In California si incontra la situazione opposta: la legge protegge i locatari, ma i promotori sono molti. In vent’anni, lo Stato ha visto sparire più di 400 lotti, spazzati via dalla impennata del mercato immobiliare. Dal 2012, 400 residenti di Palo Alto si battono contro la scomparsa del loro parco, il più antico della Silicon Valley, dove un lotto si affitta a 1 .000 dollari (in città gli affitti meno cari costano il triplo). Dopo aver accettato la chiusura, il sindaco ha cambiato rotta di fronte all’ingigantirsi della questione. Ora sostiene gli abitanti e ha perfino fatto un’offerta per comprare il terreno: 39 milioni di dollari per 1,8 ettari e 117 lotti. Il proprietario ha rifiutato, dal momento che il parco vale, a dire degli agenti immobiliari, oltre 50 milioni.
Al momento il caso è nelle mani della giustizia. In attesa di una decisione, I residenti del parco Buena Vista di Palo Alto non sanno dire quale sarà il loro futuro, proprio come quelli delle colline incantate di Raton. Come ci spiega Anderson, «/ proprietari di case mobili hanno una doppia identità. Essendo sia proprietari che locatari, non sono coperti né dalle leggi che tradizionalmente regolano i rapporti tra proprietari e locatari né dalle protezhni concesse ai proprietari». E per difendersi, possono contare solo su se stessi.

Scheda
«Meno 10% su tutte le abitazioni»
Per chi immagina le case mobili come roulotte anguste, buie e mal coibentate, non c’è niente di meglio di una vista da Clayton Homes, il leader nazionale nel settore delle case prefabbricate, di proprietà di Warren Buffett. La rivendita di Pueblo, 200 chilometri a sud di Denver (Colorado), si trova su un piccolo terreno abbandonato in cui sono allestiti dei lotti-campione visitabili insieme a un «consulente Immobiliare». All’Interno, niente distingue queste case mobili contemporanee da un appartamento classico: l’insonorizzazione è corretta, le finestre sono larghe e gli elettrodomestici ultramoderni. «Tutte le case sono garantite per un anno, dal frigorifero al tetto, ci spiega un venditore, Ryan Castellanos. Ma per 699 dollari, potete ottenere un’estensione di quattro anni. E se vi decidete prima di domani, c’è una grande promozione: il 10% di sconto su tutte le case.»
L’uomo accenna, come obbliga la legge, alla possibilità di scegliere tra differenti società di credito e poi ci porge le brochure relative a tre di esse. Nei dettagli illustrerà solo quella della Vanderbilt Mortgage and Finance, una compagnia anch’essa di proprietà di Buffett: «È molto facile, basta riempire qualche modulo». Nella maggior parte degli Stati americani, le case mobili sono considerate beni personali, allo stesso titolo di un acquascooter o di un televisore, e non come beni immobili. Di conseguenza, sono assicurate come le automobili e possono essere finanziate attraverso il credito al consumo, facile da ottenere, ma con tassi di interesse elevati. Così, secondo uno studio del Center for Public Integrity e del Seattle Times, gli acquirenti di case mobili pagano in media del tassi superiori del 3,8% rispetto a quelli praticati per un bene immobile classico. Tranne con le case Clayton, per le quali lo scarto è superiore al 7% . (B.B.)

“Le monde diplomatique – edizione italiana”, febbraio 2016

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