14.3.17

Quando Sinatra cantava per il Padrino (Beniamino Placido)

In tutti (quasi tutti) gli articoli su Frank Sinatra, in tutte (quasi tutte) le trasmissioni televisive dedicate a questo grande, grandissimo cantante nell'occasione della sua morte, si poteva notare un punto scuro, una zona d'ombra. E di sospetto. Di ambiguità. I suoi rapporti con la Mafia. Mai acclarati. Mai convertiti in prove di tribunale. Ma noti a tutti. E da lui stesso quasi sbandierati. La familiarità con Lucky Luciano. Le strette di mano con Sam Giancana. Le carezze abbondantemente profuse a donne reduci da altre carezze, promiscue, di sospetta provenienza. Le allusioni, nemmeno tanto coperte, che si ritrovano nel film Il padrino di Francis Ford Coppola. E prima, nel romanzo omonimo di Mario Puzo.
La cosa non ci crea angosciosi problemi. Sappiamo benissimo che il giudizio su un personaggio si dà sulla base di una somma non banalmente aritmetica, ma algebrica. Si mette un più o un meno dinanzi a ciascuno degli addendi, poi si vede il risultato. A Sinatra assegneremo un bel "più dieci" per la qualità della sua voce e della sua presenza scenica. Un "meno due" per i suoi rapporti di eccessiva confidenza con i mafiosi d' America. Ne viene fuori un bell'"otto". Si può accontentare, là dove adesso si trova.
Rimane un problema. Specie in Italia, patria di Machiavelli, dove si professa e si pratica una curiosa forra di "machiavellismo bambocciante". Che fa tirar fuori - anche in questa circostanza - i nomi di grandi artisti. Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio: quante ne ha combinate, nella sua movimentatissima vita. Però accidenti, quanti bei quadri ci ha lasciato. Anche qui: facciamo la somma algebrica delle sue virtù e di quel pittore. La somma risulta ampiamente positiva; e ci rechiamo tranquillamente, ogni volta che possiamo, a guardare le storie e le crocefissioni da lui dipinte. A San Luigi dei Francesi o a Santa Maria del Popolo, se viviamo a (o se siamo di passaggio per) Roma.
I guai cominciano quando intervengono le mamme. Le mamme italiane. Delle quali pensiamo tutto il bene, e tutto il male possibile, insieme. Le quali mamme, quando sentono che il loro bamboccio è biasimato a scuola perché troppo indolente, o troppo impertinente, corrono sdegnate a protestare con la maestra. "Come si permette? Ma non lo sa, lei, che tutti i grandi uomini erano indolenti e insofferenti (ed anche peggio) a scuola?". La povera maestrina si vede costretta a spiegare pazientemente alla madre del bamboccio: "Sarà vero. Tutti i grandi uomini (ma proprio tutti?) a scuola andavano male, e ci andavano malvolentieri. Ma non tutti quelli che a scuola sono pigri, strafottenti e zucconi diventano poi dei grandi uomini, da adulti".
Però il male ormai è fatto. Diventati grandi, nel senso di adulti, quegli ex-bambocci si danno a predicare il "machiavellismo bambocciante". Il tale ha rubato? Embè, quanti altri creatori di imperi industriali e commerciali non hanno rubacchiato, nel passato? E Giulio Cesare aveva fama di essere un furfante, prima di partire per le Gallie. E Frank Sinatra - hai visto? - non spregiava i buoni rapporti con i mafiosi americani. Epperò, che voce!
Succede allora, paradossalmente, che il rapporto di contiguità (ambigua) fra una condotta di vita discutibile e una prestazione artistica eccellente diventa quasi un rapporto di causa-effetto. È perché frequentava i mafiosi, che Sinatra cantava tanto bene. Come dobbiamo comportarci con i personaggi bambineschi che la pensano (se questo è pensare) in questo modo? Prendendoli sul serio. Tu difendi le tue furfanterie con l'argomento: ma anche Giulio Cesare... Bene, vammi a conquistare almeno un paio di Gallie, poi al ritorno, ne riparleremo. Tu vuoi fare il cantante e per aiutarti nella carriera, rivendichi il tuo diritto a frequentare la Camorra. Va bene, te lo concedo. A patto che tu mi dimostri, prima, di avere una voce all' altezza di quella "Voce". Così ce li saremo tolti di torno. Per un po' , mica per tanto.


“la Repubblica”, 19 maggio 1998  

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