24.3.17

Luoghi letterari. Non ha più nebbie la Londra di Holmes (Marco Zatterin)

LONDRA
Era una mattina nebbiosa e sopra i tetti delle case gravitava un velo che pareva rispecchiare la superficie fangosa delle vie». John Watson, ufficiale medico di Sua Maestà rientrato da poco dall'Afghanistan con una fastidiosa ferita di guerra, descrive con puntiglio la Londra che sta attraversando di corsa diretto a Brixton, risucchiato dal caso de Il Segno dei quattro, il suo avventuroso esordio al fianco di Sherlock Holmes. Siamo all'inizio del marzo 1881, la primavera è vicina, eppure la capitale è sospesa in un clima vaporoso e inclemente, nel magico tempo vittoriano che alimenta le fantasie di chi ama i libri. Il sipario s'alza nel teatro di mille crimini e delle imprese del primo grande detective privato della storia della letteratura gialla.
A Londra le grandi nebbie non ci sono da anni, da quando il Clean Air Act ha sconfitto il pesante inquinamento da carbone. La metropoli ha smarrito un pezzo di anima in nome della modernizzazione che da sempre la cambia e la rinnova. Sebbene possa vantare «la piccola mania di conoscere esattamente Londra», Holmes si troverebbe spaesato in parecchi angoli della capitale, anche se resistono numerose le tracce della stagione in cui lo scrittore scozzese Arthur Conan Doyle ha modellato il suo investigatore, rendendolo parte vivente della prima città che non dormiva mai. Gli anni sono passati, la storia è diventata leggenda. E viceversa.
Quello che gli appassionati chiamano «il Canone», i 56 racconti e quattro romanzi sherlockiani scritti da Watson e firmati da Doyle, s'inizia in un punto preciso quanto misterioso. «Ho messo gli occhi su un appartamento in Baker Street», annuncia Holmes al buon dottore una mattina del gennaio 1881, il 6 per convenzione. I due si sono appena conosciuti all'ospedale Saint Bart, su segnalazione di un conoscente che Watson ha visto al Criterion di Piccadilly. Cercano casa, hanno poche sterline. Si studiano e si danno un appuntamento «per vedere i locali al n.221 B». «Due comode camere da letto» dall'arredamento «festoso». Il prezzo, «diviso, è conveniente». Affare fatto. I due si trasferiscono la sera stessa. Diventeranno inseparabili senza mai smettere di darsi del lei.
L'indirizzo è un'invenzione. All'epoca della regina Vittoria, Baker Street era divisa in più segmenti, non arrivava al 221 B. Oggi, all'equivalente moderno del civico, c'è il museo dedicato a Holmes, maniacale ricostruzione delle stanze della coppia, a partire dai diciassette scalini che portano allo studio. Per i fan è «canonico», il migliore dei complimenti. C'è il coltello che pugnala la posta sulla mensola del camino, c'è la pantofola persiana col tabacco. Mancano il fumo acre della «pipa di terra nera» e l'odore dello zolfo. Il numero della casa è oggetto di dibattito da anni. Si pensa agli attuali 59, 61 o 63. Per sciogliere il dilemma non basterebbe Holmes in persona.
Intorno si esprime un gran business di cappa e pipa, bar, negozi, e il caro Sherlock Holmes Hotel. Le emozioni sono sotto terra, nei corridoi della metropolitana, tappezzati con la silhouette holmesiana nei colori delle quattro linee che l'attraversano. Sulla piattaforma della Jubilee ci sono sette illustrazioni ispirate alle storie di Watson. Belle davvero. Il Tube porta lontano. A Montague Street si trovano gli alloggi che il giovane laureando Holmes scelse nel quartiere di Bloomsbury, terra di Virginia Woolf. C'è consenso, e non prove, che abitasse al 26: Doyle, guarda caso, abitò per diversi mesi al 23 di Montague Place nel 1891. Il British Museum è un passo, era l'hard disk di Sherlock, che si smarriva nei libri, quando non staffilava i cadaveri al Saint Bart, elaborando teorie criminali. Nell'ospedale, in Smithfield Square, una targa ricorda il primo incontro fra i due amici.
Di qui ci si spinge verso l'East End, il cuore dell'altra Londra di Sherlock Holmes, i teatri, i giornali, la stazione di Charing Cross. Lo Strand comincia ad Aldwych, dove c'è il Lyceum, un teatro neoclassico, all'angolo con Wellington Street, ricostruito nel 1904. Fu davanti «alla terza colonna da sinistra» che Mary Morstan, con Holmes e Watson, s'abboccò il 7 luglio 1888 l'uomo che l'avrebbe guidati oltre il Tamigi nell'«oasi d'arte» di Thaddeus Sholto all'inizio de Il segno dei quattro. Mary, in seguito, avrebbe sposato il dottore di Baker Street.
Wellington Street è il prolungamento di Bow Street, dove (L'uomo dal labbro storto) aveva sede un'importante stazione di polizia londinese usata da Holmes. Non lontano, c'è «il nostro ristorante sullo Strand», Simpson's, che è ancora lì. Ci andavano quando non erano a teatro, Saint James Hall di Piccadilly o Covent Garden Theatre (ribattezzata Royal Opera House) dove nel gennaio 1896 la coppia ascoltò un concerto di musiche di Wagner. Erano buongustai, amavano la cucina italiana del Goldini's di Gloucester Road, a Kensington. Da Simpson's un salto e si è a Charing Cross, dove Holmes fu aggredito nella primavera 1894 (La casa vuota).
Dietro la stazione, qualche traccia del bagno turco di Craven passage (Il cliente illustre) frequentato dalla coppia il 3 settembre 1902. Li anche il Northumberland Hotel in cui alloggiò Sir Henry Baskerville al suo arrivo a Londra e prima di incontrare a Dartmoor il mastino che in realtà era un bracco. Ora accoglie lo Sherlock Holmes Pub e la più antica ricostruzione della stanza principale del 221 B, realizzata nel 1951. È meno patinata di quella del Museo, ma l'incanto è maggiore.
Dall'adiacente Trafalgar square si apre Pall Mall. Nei forzieri della banca all'angolo con Waterloo Place, «in qualche sotterraneo della Cox &Co., c'è una scatoletta da viaggio rigurgitante di carte, e quasi tutte sono registrazioni di curiosi problemi che Holmes ebbe occasione di esaminare in varie epoche». È il tesoro del biografo sherlockiano, il Graal delle avventure perdute che gli holmesiani cercano da sempre, quello che svelerebbe la verità nascoste sul Signor SH. Potrebbe dire cosa è successo nell'inedito caso del Grande topo di Sumatra. Oppure da dove spunta l'Elementare Watson!, la famosa frase che il nostro non hai mai pronunciato. Circostanze che, se spiegata, richiederebbero parecchie altre storia.


La Stampa, 5 agosto 2010

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